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Landini

Vi racconto la nuova telenovela sulle pensioni

In tema di pensioni, i sindacati concentrano la loro attenzione sul dito ed ignorano la luna. L'analisi di Giuliano Cazzola.

È ripartita ieri un’altra puntata della telenovela delle pensioni. Con altri protagonisti, ma sempre a dibattere dei soliti temi.

Quando era molto più giovane, durante il pranzo, mia madre seguiva uno dei primi serial provenienti dagli Usa; mi pare si chiamasse Sentieri. Non c’era una trama: succedevano delle cose, si svolgevano dei dialoghi tra i diversi personaggi. Finiva sempre che anch’io ci gettassi un occhio. A un certo punto mi resi conto che i personaggi erano sempre gli stessi, ma cambiavano gli interpreti, magari perché erano scaduti i contratti con  gli attori precedenti e c’era la necessità di persone nuove. È un po’ la trama del film Tootsie, magistralmente interpretato da Dustin Hoffman e Jessica Lange, dove un attore disoccupato riesce ad ottenere una scrittura travestendosi da donna.

L’INCONTRO TRA I SINDACATI E LA MINISTRA CALDERONE

Ieri i sindacalisti si sono presentati al ministero del Lavoro, ricevuti da un nuovo ministro, Marina Calderone, con le solite facce e le proposte che, imperterriti, sostengono da anni, come se le avessero ricevute sul Monte Sinai insieme alle tavole della Legge.

Calderone, come gli altri ministri  del Lavoro dei governi precedenti non ha avuto il coraggio di rispondere alla trojka sindacale citando un principio generale del diritto: ad impossibilia nemo tenetur. Ovvero, nessuno governo con la testa sulle spalle è in grado di condividere, a fronte degli scenari demografici che si intravvedono, le proposte che avanzano i sindacati per il pensionamento: 62 anni di età con 20 di versamenti contributivi oppure 41 anni di anzianità di servizio a prescindere dall’età anagrafica. Così il ministro non ha potuto che essere vaga, come lo era stata fino ad ora in occasione delle audizioni parlamentari, assicurando di nuovo solo il massimo impegno per rivedere opzione donna.

I SINDACATI CHIEDONO PIÙ SPESA PER LE PENSIONI

Ciò ha suscitato il malcontento dei leader sindacali. Il segretario della Cgil, Maurizio Landini ha dichiarato, al termine della riunione, che, i primi passi non vanno nella giusta direzione: “L’incontro non è andato bene. Non abbiamo avuto nessuna risposta, solo una disponibilità generica”, ha detto, lamentando che non sono state date risposte né sui tempi, che a suo parere dovrebbero essere stretti e chiudersi entro aprile, né sulle risorse.

Da ciò si deduce che per i sindacati la spesa pensionistica dovrebbe aumentare; basterebbe solo fare nel bilancio dello Stato il gioco delle tre carte che un tempo si svolgevano all’uscita delle stazioni ferroviarie: separare la previdenza dall’assistenza. Come se non si sapesse che la spesa pensionistica è finanziata attraverso i contributi e i trasferimenti dal bilancio dello Stato.

Secondo la logica degli imbroglioni separatisti, oggi, quando gran parte del prelievo contributivo viene fiscalizzato allo scopo di ridurre il maledetto “cuneo” tra costo del lavoro e retribuzione netta la spesa dovrebbe essere considerata tutta assistenziale, visto che quando si parla di assistenza non si pensa più a quanto previsto, in proposito, dal comma 1 dell’articolo 38 Cost. ma alle prestazioni che vengono finanziate dal “soccorso fiscale”, non essendo più i contributi in grado di pareggiare le uscite per le prestazioni.

IL CONFLITTO DI INTERESSI SULLE PENSIONI

I sindacati concentrano la loro attenzione sul dito ed ignorano la luna. C’è un oggettivo conflitto di interessi. Le generazioni che vanno in pensione in questi anni provengono da coorti molto numerose (nel 1964 nacquero in Italia 1,1milioni di bambini) che hanno avuto la possibilità di accedere presto nel mercato del lavoro e restarvi a lungo stabilmente. Costoro, soprattutto le donne, hanno visto modificare le condizioni di pensionamento perché le regole sono diventate più severe, ma sono in grado di andare in pensione abbastanza presto e di restarci per molti anni visto l’incremento dell’attesa di vita (un anno ogni dieci).

SCONTRO GENERAZIONALE

Con l’appoggio dei sindacati, i baby boomers pretendono di godere della loro condizione anche da pensionati. Il fatto è che le generazioni future che devono assicurare tutto ciò sono meno numerose e gravate da un mercato del lavoro più difficile (nel 2021 sono nati meno di 400 mila bambini inclusi gli immigrati) la denatalità e l’invecchiamento peseranno anche sul mercato del lavoro.

Tra una ventina di anni mancheranno da 5 a 6 milioni di persone in età di lavoro. Ecco perché e necessario un flusso ordinato ed integrato di stranieri. È dal 2014 che gli stranieri non riescono più a colmare il saldo demografico negativo. Da allora abbiamo perduto 1,4 milioni di persone residenti di cui 900mila nel Sud.

IL X RAPPORTO SUL SISTEMA PENSIONISTICO

Nei giorni scorsi, Itinerari previdenziali ha pubblicato il suo X Rapporto sul sistema pensionistico. ‘’A oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 10-15 anni, quando le ultime frange dei baby boomers – in termini previdenziali assai significative, data la loro numerosità – si saranno pensionate», ha  spiegato il Presidente Alberto Brambilla, precisando: «Perché si mantenga questo delicato equilibrio, sarà però indispensabile intervenire maniera stabile e duratura sul sistema, tenendo conto di 4 principi fondamentali:

  1. le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (circa 63 anni l’età effettiva in Italia contro i 65 della media europea) nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale;
  2. l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione;
  3. la prevenzione, intesa come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute;
  4. le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job».

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Insomma, un serio cambio di rotta da parte del nostro Paese, che oggi vede la quasi totalità della spesa pubblica indirizzata verso sussidi e assistenzialismo, quando invece necessiterebbe di una seria revisione della propria organizzazione del lavoro e dei propri modelli produttivi’’.

Ecco perché va tenuto d’occhio il rapporto tra attivi e pensionati. Il governo nella legge di bilancio è riuscito a barcamenarsi. Un pasticcio che però non procura eccessivi danni, perché è con una mano nega ciò che riconosce con l’altra. In sostanza introduce una pensione anticipata flessibile (quota 103) ma la rende impraticabile e non conveniente, attraverso le condizioni per avvalersene. Ma comunque è indubbia l’iniquità dell’operazione.

Cito i dati del governo: per anticipare di qualche mese il pensionamento di 41mila lavoratori (quasi tutti maschi per le ragioni già dette) si è massacrata Opzione donna (da 20mila a meno di 3mila) e si è ridotta, per due anni, la perequazione automatica all’inflazione (nel momento in cui è in crescita) a 3,3 milioni di pensionati. E adesso?

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