I ministri delle Finanze dell’Ue ieri sera hanno raggiunto l’accordo sul nuovo Patto di stabilità e crescita. L’ultima riunione dell’Ecofin – convocata in via straordinaria e in videoconferenza – è durata due ore ma erano più che sufficienti a suggellare un’intesa che nei fatti era stata già siglata nella serata con la spinta di Francia e Germania e il sostegno dell’Italia.
L’ACCORDO IN BREVE PER IL NUOVO PATTO
Il succo dell’intesa è questo: Ii nuovo patto di stabilità è molto più complesso di quello vecchio e risponde ad una serie di input. Da un lato si mantiene una rigida sostenibilità fiscale, come chiesto da Berlino; dall’altro lato si punta a non affogare la crescita tenendo presente investimenti e interessi del debito, in particolare in un periodo transitorio triennale, dal 2025 al 2027.
COME CAMBIA IL TRATTATO
Vediamo i numeri. Il principio è ancora il Trattato di Maastricht con le soglie del 3% del Pil per il deficit e il 60% per il debito. Gli Stati non in linea con questi parametri devono mettersi in regola con piani di rientro concordati con la Commissione europea sul modello di Piani nazionali di ripresa e resilienza.
LA CLAUSOLA TRANSITORIA
Gli Stati con un deficit sopra al 3% saranno chiamati a mettere in atto una riduzione annua dello 0,5%. Su spinta di Parigi – con il sostegno di Roma, secondo l’agenzia Agi – è stata approvata una clausola transitoria per il 2025-2027 che prevede di tenere in considerazione l’aumento degli interessi sul debito nel calcolo del taglio di deficit. Non è uno scorporo pieno ma è qualcosa che ci va vicino.
COME FUNZIONERANNO I PIANI DI RIENTRO
I piani di rientro del deficit durano dai quattro ai sette anni (in caso di riforme e investimenti). Il taglio del deficit puo’ essere anche differenziato lungo il percorso (non per forza -0,5% ogni anno) per permettere ad esempio in alcuni anni più investimenti se necessario. L’importante è che al termine del percorso di rientro venga raggiunto l’obiettivo.
IL RUOLO DEGLI INVESTIMENTI PER LA DIFESA
Vengono tenuti in considerazione, nella valutazione dell’apertura di un’eventuale procedura per deficit eccessivo, gli investimenti fatti per la difesa, chiosa l’agenzia di stampa Agi: “Inoltre ai Governi sara’ consentito deviare dal percorso di spesa netta dello 0,3% del Pil su base annua e dello 0,6% del Pil cumulativamente durante il periodo di monitoraggio”.
COSA SUCCEDE AGLI STATI IN CONDIZIONI MIGLIORI
Anche gli Stati con i conti più in salute (per quanto riguarda il deficit) sono tenuti a ridurre il debito e mantenere un cuscinetto per il deficit per evitare, in caso di crisi, di sforare appunto il 3%. I Paesi con un debito superiore al 90% del Pil lo dovranno ridurre di un punto percentuale annuo durante il periodo di aggiustamento; i Paesi con un debito compreso tra il 60% e il 90% dovranno ridurlo dello 0,5%.
IL CUSCINETTO FISCALE
Il cuscinetto fiscale è pari all’1,5% (con le regole attuali tecnicamente il deficit tollerato è lo 0,5%). Per garantire il cuscinetto, l’aggiustamento annuale dovrebbe essere pari allo 0,4% del Pil (in caso di piani di rientro da quattro anni), che potrebbe essere ridotto allo 0,25% del Pil (nei piani di rientro da sette anni).
IL PARAMETRO FISSO
Ha spiegato l’Ansa: “Il percorso di rientro strutturale del deficit – ovvero quello per arrivare sotto al tetto del 3% – per i Paesi come l’Italia ha un parametro fisso, lo 0,5% annuo. Ma la velocità della correzione può cambiare: un governo, è la novità dell’ultima ora, può chiedere, se vuole, alla Commissione di concordare una traiettoria tecnica che non blocchi gli investimenti e tenga conto dell’aumento degli interessi, secondo un modello molto simile a quello usato dall’esecutivo europeo con il Pnrr. Berlino, dal canto suo, ha ottenuto un dato chiave: la cosiddetta ancora di salvaguardia che obbliga i Paesi che sono già rientrati sotto la soglia del 3% ad arrivare all’1,5% del deficit/Pil per avere un cuscinetto anti-crisi. Ma, anche in questo caso, per i paesi con debito superiore al 90% del Pil c’è una exit strategy: ridurre il deficit dello 0,25% annuo su un totale di sette anni invece dello 0,4% su un totale di 4 anni”.
IL COMMENTO DI MELONI
Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, considera importante che sia stato trovato tra i 27 Stati membri della Ue un compromesso di buonsenso per un accordo politico sul nuovo Patto di stabilità e crescita. È quanto si legge in una nota di Palazzo Chigi. “Nonostante posizioni di partenza ed esigenze molto distanti tra gli Stati – prosegue – il nuovo Patto risulta per l’Italia migliorativo rispetto alle condizioni del passato”. “Regole meno rigide e più realistiche di quelle attualmente in vigore, che scongiurano il rischio del ritorno automatico ai precedenti parametri, che sarebbero stati insostenibili per molti Stati membri. Grazie a un serio e costruttivo approccio al negoziato, l’Italia è riuscita, non solo nel proprio interesse ma in quello dell’intera Unione, a prevedere meccanismi graduali di riduzione del debito e di rientro dagli elevati livelli di deficit del periodo Covid”, osserva ancora la nota. “Si terrà conto degli investimenti del Pnrr e dei maggiori costi sugli interessi causati dall’innalzamento dei tassi di interesse da parte della Bce e le spese per la difesa saranno considerate separatamente in quanto fattori rilevanti”. È uno dei punti messi in evidenza nella nota di Palazzo Chigi sull’accordo Ue sul Patto di Stabilità. “Sebbene il nuovo Patto contempli dei meccanismi innovativi volti a tener conto degli effetti di eventi esterni e straordinari nel computo dei parametri numerici da rispettare, rimane – si legge ancora – il rammarico per la mancata automatica esclusione delle spese in investimenti strategici dall’equilibrio di deficit e debito da rispettare. Una battaglia – conclude la nota – che l’Italia intende comunque continuare a portare avanti in futuro”.
LE PAROLE DI CROSETTO
“Ringrazio il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti per il grande risultato ottenuto nella ridefinizione delle regole e dei parametri europei per i prossimi anni. Per quanto riguarda la Difesa, sono contento che sia stata recepita la posizione italiana e che gli investimenti per la difesa siano stati considerati fattore rilevante per l’esclusione dal calcolo degli obiettivi di bilancio”. Così il Ministro della Difesa Guido Crosetto in una nota. “In un momento difficile come questo – aggiunge – era giusto liberare risorse per sanità, sociale, interventi per la fiscalità e per la competitività delle aziende, senza rinunciare alla sicurezza. Il nostro lavoro di squadra e la serietà delle nostre posizioni sono state coronate dal successo”.
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ESTRATTO DI UNA SCHEDA DEL CORRIERE DELLA SERA SUL NUOVO PATTO DI STABILITÀ:
Cosa prevede la riforma?
Mantiene inalterati i parametri di Maastricht: il rapporto deficit/Pil non deve superare il 3% e il rapporto debito pubblico/Pil deve essere al di sotto del 60%. Ma scompare la regola che stabilisce che per la quota del rapporto debito/Pil in eccesso rispetto al livello del 60%, il tasso di riduzione debba essere pari ad 1/20 all’anno. Sono invece previsti piani nazionali di bilancio-strutturali a medio termine definiti in base alla spesa primaria netta. Il piano dura 4 anni ma in caso di riforme e investimenti può essere esteso a 7 anni. Sarà tenuto in considerazione anche il Pnrr. La Commissione fornisce una traiettoria tecnica che copre il periodo di aggiustamento. È rimasta la regola automatica, per i Paesi sopra il 3% di deficit, del rientro annuo dello 0,5% del Pil.
Su cosa si basa la traiettoria tecnica?
È basata sul rischio ed è specifica per ogni Paese e ancorata alla sostenibilità del debito. Dovrebbe garantire che, entro la fine del periodo di aggiustamento, il debito segua una traiettoria plausibilmente discendente o si mantenga a livelli prudenti, anche in scenari avversi. Sono previste delle salvaguardie quando un Paese è fuori dalla procedura per deficit eccessivo: parametri quantitativi comuni per la riduzione annua di debito e deficit.
Cos’è la salvaguardia sul debito?
I Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90% (l’Italia) dovranno ridurre il debito di 1% all’anno, i Paesi sotto quella soglia dello 0,5% all’anno.
E quella sul deficit?
I Paesi Ue non potranno limitarsi a un rapporto deficit/Pil al 3%, ma dovranno garantire un cuscinetto per le situazioni di crisi e scendere all’1,5%. L’Italia ad esempio passa da un obiettivo di medio termine di avanzo primario dello 0,25% a un deficit strutturale dell’1,5%.
E gli investimenti?
Nel valutare la procedura per deficit eccessivo, la Commissione potrà nel 2025, 2026 e 2027 «al fine di non compromettere gli effetti positivi del Pnrr» adeguare il benchmark di riduzione dello 0,5% all’anno (quindi ridurlo), per tenere conto dell’aumento dei pagamenti di interessi e degli investimenti per la transizione verde e digitale e la difesa.
Con che velocità gli Stati Ue devono convergere verso la salvaguardia del deficit?
Il miglioramento annuale del saldo primario strutturale per raggiungere il margine dell’1,5% è pari allo 0,4% del Pil in 4 anni, ridotto allo 0,25% del Pil in caso di proroga a 7 anni. È più graduale rispetto alle regole attuali.
Qual è lo scostamento ammesso dal conto di controllo?
La massima deviazione consentita rispetto al percorso di spesa netta annua è dello 0,3% annuo e dello 0,6% cumulativo.