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Il Sud-est asiatico sceglie i pagamenti digitali per affrancarsi dal dollaro

La crescita dei pagamenti digitali nel Sud-est asiatico segnala anche una volontà di distaccarsi dal dollaro. Ecco perché secondo un focus dell'Ispi

Affermatisi definitivamente durante la pandemia da Covid-19, i sistemi di pagamento transnazionali tramite smartphone e QR Code stanno generando una vera e propria rivoluzione nei Paesi del Sud-est asiatico, avviati verso una nuova era di cooperazione e di integrazione regionale. Ma dietro questo fenomeno, oggetto di un recente approfondimento da parte dell’Ispi da cui prenderemo spunto, potrebbe celarsi un tentativo di questi Paesi di affrancarsi progressivamente dall’egemonia del dollaro.

Boom dei nuovi pagamenti elettronici

I Paesi del Sud-est asiatico stanno conoscendo un vero e proprio boom dei pagamenti transfrontalieri tramiti codici QR (Quick Response Code). “Negli ultimi anni – scrive l’Ispi – Malesia, Indonesia e Tailandia hanno stabilito collegamenti in tal senso, mentre l’ormai prossimo coinvolgimento di Singapore, Vietnam e Filippine permetterà di collegare ben sei dei dieci Paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN)”.

Grazie ai nuovi sistemi di pagamento transfrontalieri, i cittadini di quei Paesi che si trovano all’estero sono in grado di pagare beni e servizi scansionando i codici QR con il loro smartphone. Due i principali vantaggi: si semplifica il movimento di merci all’interno della regione e si riducono i costi delle transazioni fino al 30%.

I nuovi sistemi di pagamento sono definitivamente decollati durante la pandemia che ha innescato un trend di crescita che non conosce sosta. Forte di 125.000 nuovi utenti internet al giorno e di ben 460 milioni di consumatori coinvolti, l’economia digitale dei Paesi ASEAN aggiungerà 1.000 miliardi di dollari al Pil regionale di qui al 2030, rendendo il Sud-est asiatico il mercato on line in più rapida espansione al mondo.

Il nuovo sistema

I Paesi ASEAN non stanno facendo altro che emulare la rivoluzione tecnologica della Cina, che da tempo ha abbandonato le carte magnetiche ed adotta oggi sistemi digitali basati su smartphone e codici QR.

La medesima transizione è destinata a produrre effetti duraturi in una regione come il Sud-est asiatico che si appresta a diventare la quarta economia al mondo entro il 2030.

Le prospettive di crescita per i nuovi investimenti nel settore della finanza digitale si basano su fattori che si alimentano a vicenda: l’elevata penetrazione degli smartphone e la limitata diffusione dei sistemi bancari. A ciò si aggiunge una facilità di utilizzo e distribuzione che rende la tecnologia accessibile alla maggior parte della popolazione.

Accesso a nuove linee di credito

In una regione dove il 99% delle aziende è costituita da piccole e medie imprese (Pmi), lo sviluppo dei pagamenti digitali transfrontalieri sembra destinato anche ad espanderne le attività all’estero. Ma per le Pmi il beneficio più significativo sembra essere rappresentato dalla possibilità di accedere a nuove linee di credito, fondamentali in una regione in cui il 60% delle imprese dichiara di non riuscire ad accedere ai finanziamenti di cui hanno bisogno.

Infatti, come scrive l’Ispi, “l’impronta digitale dalle transazioni online facilita la valutazione della solidità finanziaria delle imprese e, di conseguenza, l’accensione di nuovi crediti (con le BigTech spesso più propense a concedere prestiti a nuovi mutuatari rispetto alle banche tradizionali)”.

In definitiva, il mondo digitale sembra annunciare una nuova fase di dinamismo per l’economia dell’ASEAN, e i governi della regione ne sono a tal punto consapevoli da avere affrontato il tema all’ultimo vertice dello scorso maggio. Ma dietro gli sforzi degli esecutivi potrebbe anche esserci altro.

Verso la de-dollarizzazione?

I sistemi di pagamento transfrontalieri convertono la valuta nazionale dell’acquirente direttamente in quella locale del destinatario. Ciò porta numerosi vantaggi in termini di riduzione dei costi di transazione derivanti dal duplice cambio di valuta e dalle commissioni previste dai circuiti internazionali. Ma il vero beneficio apportato dal progressivo affrancamento da valute commerciali consolidate come il dollaro potrebbe essere un altro.

Come osserva l’Ispi, “dietro lo sviluppo di un sistema finanziario meno dipendente dalla moneta statunitense si intravedono anche ambizioni di più lungo periodo: una riduzione dell’esposizione alle fluttuazioni del tasso di cambio con il dollaro (che nell’ultimo anno hanno reso le importazioni più costose) e forse anche un tentativo di ‘de-dollarizzazione’ della propria economia”.

Sono state l’aggressiva politica restrittiva della FED e le fluttuazioni del dollaro sui mercati internazionali a rendere molti Paesi diffidenti nei confronti del biglietto verde, specialmente dopo che gli Usa hanno preso ad utilizzarlo come arma economica verso i propri avversari politici.

A tal proposito l’Ispi rileva come le crescenti tensioni tra Usa e Cina non giovino all’economia della regione, che si mantiene in posizione di neutralità per non danneggiare i profondi legami economici con il Dragone.

Se dunque i dati mostrano almeno per ora una relativa tenuta della supremazia del dollaro, che non sarà messa in discussione da pagamenti al dettaglio che rappresentano ancora una quota irrisoria del commercio, non è detto che lo stesso varrà anche in futuro.

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