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Quota 100

PA: il patto di Brunetta, le parole di Draghi e i veri nodi da sciogliere

"Non credo possibile porsi l’obiettivo di una maggiore efficienza della PA evitando di prendere per le corna il padre di tutti i problemi: l’azione della magistratura. Ecco perché". L'analisi di Giuliano Cazzola che commenta anche il Patto sulla pubblica amministrazione firmato da Draghi e Brunetta con Cgil, Cisl e Uil

 

In audizione al Senato, lo scorso 8 marzo, il ministro Daniele Franco aveva definito il PNRR ‘’un progetto del Paese, che richiede uno sforzo corale delle diverse istituzioni coinvolte e un dialogo aperto e costruttivo, con un orizzonte che va oltre il breve periodo e che produrrà auspicabilmente effetti duraturi per la crescita del Paese’’.

Vi è una sostanziale assonanza (che è di buon auspicio per l’attività del governo Draghi) tra quanto, un paio di giorni dopo, presentando il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, ha affermato nel suo breve speech il ministro Renato Brunetta, prima che il premier e i segretari di Cgil, Cisl e Uil sottoscrivessero il documento la cui importanza sta anche nel fatto di essere stato redatto in un tempo così breve.

Uno degli obiettivi del Patto è quello di ‘’riconoscere alla Pubblica Amministrazione il ruolo centrale di motore di sviluppo e catalizzatore della ripresa: la semplificazione dei processi e un massiccio investimento in capitale umano sono strumenti indispensabili per attenuare le disparità storiche del Paese, curare le ferite causate dalla pandemia e offrire risposte ai cittadini adeguate ai bisogni’’.

Il Patto dovrebbe superare il difficile rapporto che si era determinato tra governo Conte 2 e sindacati in materia di pubblico impiego al punto da sfociare in un (discutibile) sciopero di tutte le categorie interessate.

Quanto sia rilevante  in una fase come questa un’amministrazione pubblica più efficiente è assolutamente chiaro ed evidente; ma è un obiettivo di non facile realizzazione.

Non a caso il governo si è detto impegnato ad avviare una nuova stagione di relazioni sindacali che punti sul confronto con le organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori e porti a compimento i rinnovi contrattuali del triennio 2019-2021.

Pertanto il Governo emanerà in tempi brevi gli atti di indirizzo all’Aran per il riavvio della stagione contrattuale: i rinnovi interessano 3,2 milioni di dipendenti pubblici per un aumento medio di circa 107 euro.

Nei futuri contratti collettivi nazionali del pubblico impiego sarà definita una disciplina normativa ed economica del lavoro agile che superi l’attuale assetto emergenziale (la constatazione del ministro riferisce lo stato delle cose al di là della propaganda di questi mesi, ndr) garantendo condizioni di lavoro trasparenti e conciliando le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con quelle delle pubbliche amministrazioni.

Attraverso i contratti si provvederà alla successiva rivisitazione degli ordinamenti professionali del personale, adeguando la disciplina contrattuale ai fabbisogni di nuove professionalità e competenze.

Saranno disegnate politiche formative di ampio respiro, con particolare riferimento alle competenze informatiche e digitali e a specifiche competenze avanzate di carattere professionale.

Sarà valorizzato il ruolo della contrattazione integrativa e verranno implementati gli istituti di welfare contrattuale, anche con riferimento al sostegno alla genitorialità e all’estensione al pubblico impiego delle agevolazioni fiscali già riconosciute al settore privato per la previdenza complementare e i sistemi di premialità.

Brunetta è già stato – e a lungo – titolare della Funzione Pubblica nella XVI Legislatura. Ed è consapevole di quanto sia difficile cambiare le cose.

Da ministro del governo Berlusconi fece approvare in breve tempo una legge delega di riforma del pubblico impiego e riuscì pure a varare con rara sollecitudine i relativi decreti delegati. Ma la navigazione della riforma finì per frantumarsi sul blocco della contrattazione (e delle assunzioni) allo scopo di contenere la spesa pubblica.

Nella legislatura successiva anche il ministro Marianna Madia volle rimettere mano all’impianto di Brunetta senza riuscire a completare l’operazione causa la fine della legislatura. F

acendo tesoro di queste esperienze, sembra che Brunetta intenda intraprendere la scorciatoia della contrattazione (in particolare di quella decentrata) per realizzare gli obiettivi prefissi con modalità più dirette e in prossimità dei problemi (che evidentemente non sono uniformi per tutte le amministrazioni e le realtà territoriali).

Il governo promette anche di procedere ad assunzioni, sbloccando al più presto i concorsi, in particolare negli enti locali dove Brunetta ha accertato una carenza di personale, destinata, in generale, ad aggravarsi perché nel giro di qualche anno saranno almeno 300mila i dipendenti pubblici che andranno in quiescenza. E occorrerà non ostacolare tale esodo perché è necessario svecchiare gli organici, la cui età media è superiore ai 50 anni.

Certo la vicenda di quota 100 ha dimostrato che contare, soprattutto nel pubblico impiego, sulla staffetta generazionale può solo provocare danni (lo si è visto nella scuola e nella sanità). Ciò in quanto le procedure per accedere nella PA sono molto più complesse di quelle richieste per uscirne.

Ecco allora che è intenzione di Brunetta – d’accordo con Franco – di fare assunzioni di giovani (under 35 anni) in modo più diretto – tempo determinato – attingendo dagli albi e dagli ordini professionali (ovvero rivolgendosi a personale già sperimentato) che abbia competenze diverse da quelle canoniche di solito limitato al campo giuridico-normativo.

Il PNRR ha davanti a sé un orizzonte di sei anni, un tempo idoneo a formalizzare e a stabilizzare queste assunzioni.

Chi scrive non crede possibile porsi l’obiettivo di una maggiore efficienza della PA evitando di prendere per le corna il padre di tutti i problemi: l’azione della magistratura.

Draghi è centrato il punto critico, intervenendo all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti. ‘’È necessario – ha detto il presidente del Consiglio in quell’occasione – sempre trovare un punto di equilibrio tra fiducia e responsabilità: una ricerca non semplice, ma necessaria. Occorre, infatti, evitare gli effetti paralizzanti di quella che viene chiamata la “fuga dalla firma”, ma anche regimi di irresponsabilità a fronte degli illeciti più gravi per l’erario. Tenendo conto peraltro che, negli ultimi anni, il quadro legislativo che disciplina l’azione dei funzionari pubblici si è “arricchito” di norme complesse, incomplete e contraddittorie e di ulteriori responsabilità anche penali’’.

Poi Draghi ha continuato: ‘’Tutto ciò ha finito per scaricare sui funzionari pubblici responsabilità sproporzionate che sono la risultante di colpe e difetti a monte e di carattere ordinamentale; con pesanti ripercussioni concrete, che hanno talvolta pregiudicato l’efficacia dei procedimenti di affidamento e realizzazione di opere pubbliche e investimenti privati, molti dei quali di rilevanza strategica’’.

Stanno qui – ad avviso di chi scrive – i veri motivi di quelle che pretestuosamente vengono definite le disfunzioni burocratiche. Sono la cultura del sospetto e la mistica della corruzione che impongono alla pubblica amministrazione la linea del ‘’non fare’’ che è diventato l’unico modo per evitare, in sequenza, una intercettazione telefonica magari trascritta non correttamente, un avviso di garanzia per abuso di ufficio con annesso ‘’sbatti il corrotto in prima pagina’’.

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