Due piccioni con una fava: si punta a inglobare Mediobanca per puntare anche al controllo di Assicurazioni Generali.
E’ questo in soldoni l’obiettivo del gruppo Caltagirone e della holding finanziaria della famiglia Del Vecchio, Delfin, con l’Ops lanciata da Mps su Mediobanca, guidata dall’amministratore delegato Alberto Nagel (nella foto).
Offerta pubblica di scambio (Ops) lanciata ovviamente con il beneplacito del governo, visto che il ministero dell’Economia è al momento il maggior azionista del Monte dei Paschi di Siena (Mps) con l’11,7%, mentre Delfin ha il 9,78% e Caltagirone il 5%.
Le convergenze parallele tra Palazzo Chigi e i due capitalisti orgogliosamente italiani (col cuore che batte un po’ anche in Lussemburgo, dove ha sede Delfin, e in Olanda, dove ha sede il colosso caltagironiano delle costruzioni Cementir) si basano anche su un’opposizione comune al progetto di Generali con la francese Natixis per far nascere uno dei maggiori operatori mondiali nel risparmio gestito. Operatore troppo filo-francese, secondo Palazzo Chigi e Mef.
La mossa di Mps, spalleggiata da ministero dell’Economia, Caltagirone e Delfin, castra le ambizioni di Banco Bpm che proprio con Mps puntava (senza mai dirlo esplicitamente) a costruire quel terzo polo bancario che ora è in cantiere tra Roma e Siena.
Evidentemente a sfavore dei progetti di Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Banco Bpm, ha giocato il peso rilevante seppure discreto, ovvero sornione, dei francesi di Credit Agricole (che con il 15,1% sono il primo azionista dell’istituto milanese). Il corollario è che, ora, Unicredit sembra avere la strada spianata con l’Ops lanciata su Banco Bpm: evidentemente la mossa del numero uno di Unicredit, Andrea Orcel, intralciava i piani che erano in fieri tra Tesoro, Caltagirone e Delfin con Mps.
Certo fa specie il ruolo di protagonista del ministero dell’Economia, dunque dello Stato, in una partita bancaria rilevante come quella fra Mps e Mediobanca, visto che il Tesoro è il maggior azionista del Monte, frutto di salvataggi e aumenti di capitale costati allo Stato fior di miliardi. Mps? “La storia delle ricapitalizzazioni e degli interventi dello Stato è un elenco davvero lungo, che può essere riassunto così: sette aumenti di capitale in 14 anni. Tutto compreso, ma davvero tutto, il valore degli interventi supera i 30 miliardi”, ha rimarcato oggi il Sole 24 ore. Ma non solo a carico dello Stato: “Mps? Una banca che sette anni fa il Tesoro dovette salvare dal crac con 6 miliardi, e che ancora due anni fa dovette ricapitalizzare per 2,5 miliardi per coprire passate perdite”, ha scritto Repubblica.
Ma fa anche specie un atteggiamento altezzoso dalle parti di Mediobanca, almeno come si evince stamattina dal quotidiano Repubblica che ha raccolto – si presume – umori e malumori anche dei vertici della banca d’affari milanesissima. Emblematico questo virgolettato – sussurrato da Piazzetta Cuccia e dintorni – che si legge sul giornale del gruppo Gedi: “E’ come mettere insieme l’olio con l’acqua, oltre al fatto che la piccola rete commerciale di Mps a noi non porta nessun vantaggio, e in compenso tutto il nostro personale migliore e con vocazione internazionale, specie senza un accordo preliminare, non rimarrebbe mai a lavorare per un marchio legato alle Pmi del Centro Italia».
D’accordo pensare che l’Offerta di Mps sia troppa bassa come prezzo (lo ha sentenziato di fatto ieri anche la Borsa, dove il titolo Mps è calato e quello di Mediobanca è salito), d’accordo ritenere che gli effetti positivi delle sinergie siano inferiori rispetto a quelli che potranno esserci con la complementarietà delle attività di Mps e Mediobanca, ma sputacchiare sulle pmi e snobbare il centro Italia sono sintomi di spocchia da banchieri con alti stipendi ma di basso livello.
Invece di lamentazioni, servono operazioni: se sono davvero bravi e apprezzati, i vertici di Mediobanca troveranno modi, alleati e soldi per surclassare l’Ops di Mps.
Come si dice?, à la guerre comme à la guerre.
E buona fortuna a tutti.