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Occupazione

Chi beneficia di più dell’aumento dell’occupazione in Italia. Report Popolocrazia

C'è un dato da non sottovalutare nell’andamento (positivo) del numero dei lavoratori nel nostro Paese. Estratto dall'analisi della newsletter Popolocrazia.

Quando si parla di demografia, in Italia, prevale il vizio di coniugare soltanto al futuro le analisi che si elaborano sull’andamento della popolazione, così come le proposte di soluzione che vengono avanzate. La demografia diventa così materia per futurologi e scenaristi, tutt’al più per analisti e politici apparentemente lungimiranti, con ragionamenti del tipo “ecco cosa accadrà se il tasso di fecondità…” o allarmi come “ecco come sarà l’Italia nel 2100”. In realtà il nostro è un Paese con squilibri demografici tali da condizionare in profondità, già qui ed ora, la realtà che ci circonda. A partire dal mercato del lavoro.

Qual è oggi la situazione del lavoro in Italia? È possibile farsi un’idea sintetica e realistica della situazione, districandosi nell’“overload informativo”, cioè il “sovraccarico” di contenuti e informazioni cui i media ci espongono, tra dati e annunci e propaganda politica?

Iniziamo chiedendoci quanti sono attualmente gli occupati nel nostro Paese. Secondo l’Istat, a gennaio 2024 erano 23 milioni e 738mila. Tanti o pochi? Tanti, per i nostri standard. Si pensi che a inizio 2008, quando eravamo ancora alla vigilia del crack di Lehman Brothers e della crisi finanziaria globale, gli occupati erano 23 milioni, dunque 700.000 in meno rispetto a oggi. La crisi finanziaria americana poi si trasformò in una lunga crisi dei debiti sovrani nel nostro Continente, danneggiando gravemente l’economia reale. Nell’estate 2013, gli occupati scesero a 21,8 milioni. Per tornare a quota 23 milioni abbiamo dovuto attendere l’inizio del 2020. A febbraio di quell’anno però iniziò a diffondersi la pandemia da Covid-19. Seguirono lockdown e fallimenti, gli occupati diminuirono fino a 22 milioni nell’estate di quell’anno. Poi la ripresa, relativamente rapida, fino al record attuale di 23,7 milioni di lavoratori.

L’andamento della disoccupazione è in linea di massima coerente con la dinamica descritta finora: i disoccupati in Italia erano 1,5 milioni alla vigilia della crisi del 2008, poi sono aumentati a 3,2 milioni nel 2014 dopo la crisi dell’euro, infine sono ridiscesi a 1,8 milioni oggi.

Tra i dati positivi, c’è anche l’aumento del tasso di occupazione, cioè del rapporto percentuale tra occupati e popolazione di riferimento in età da lavoro (15-64 anni). Nel gennaio scorso, il tasso di occupazione ha fatto segnare il 61,8%, più 6% dagli anni post-crisi del debito. Vuol dire che nel nostro Paese, fortunatamente, ci sono sempre più possibilità per donne lavoratrici e adulti. C’è ancora spazio per migliorare, l’obiettivo di Agenda 2030 (78%) è lontano, ma i progressi sono indiscutibili.

La considerazione più allarmante è che perfino questa maggiore partecipazione degli Italiani al mercato del lavoro già non è sufficiente, in alcune fasce d’età, a disinnescare il calo demografico in corso. Nell’ultimo anno, per esempio, il tasso di occupazione dei 35-49enni è aumentato dello 0,4% ma il numero di lavoratori dello stesso intervallo d’età è diminuito di oltre 100mila unità, arrivando a 8milioni 759mila. Vent’anni fa, nel 2004, i lavoratori 35-49enni erano 9,7 milioni, dunque un milione in più di oggi. Se rappresentiamo i dati in un grafico (grazie ChatGpt!), il calo è davvero impressionante.

In rapida diminuzione inoltre i lavoratori della fascia d’età 25-34 anni. In questo gli occupati sono passati da 6 milioni nel 2004 a 4,2 milioni oggi. Ecco servito un altro grafico per visualizzare questo andamento.

I nostri giovani lavoratori sono sempre meno numerosi, e presto – se la natalità non invertirà la rotta – i lavoratori di tutte le età saranno sempre meno numerosi. Cosa ci “salva” finora? La crescita, davvero intensa, del numero di occupati over 50.

Attenzione dunque a compiacersi troppo per l’andamento (positivo) del numero dei lavoratori nel nostro Paese. Si tratta di un dato che nasconde squilibri crescenti che potranno esplodere non appena gli over 50 di oggi andranno in pensione.

Con un restringimento così rapido delle giovani generazioni di lavoratori, il rischio di una riduzione della crescita potenziale del Paese si fa concreto. Ecco un altro motivo per cui, in Italia, non dovremmo far altro che parlare di come incrementare nel breve-medio periodo la produttività (e dunque gli stipendi) e di come rilanciare la natalità per ridurre gli scompensi demografici nel medio-lungo periodo.

(Articolo pubblicato su Popolocrazia; ci si può iscrivere qui)

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