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Sky Lavoratori

Nuvoloni neri su Sky Italia, ecco quanti lavoratori saranno tagliati

«Cambiamenti dello scenario macroeconomico dell’ultimo anno» costringono Sky a mettere 1200 lavoratori di fronte a una scelta forzata: esodo volontario incentivato oppure riconversione professionale. I fatti, i numeri e le critiche dei sindacati

“In occasione dell’incontro con l’Amministrazione Delegato di Sky per la presentazione del Piano 2024-2025, l’Azienda ha illustrato un percorso di riassetto dei costi che interesserà 1.200 lavoratori e lavoratrici di Sky Italia, fra interni ed esterni”. E’ quanto si legge in una nota delle segreterie nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil.

Salgono quindi di 400 unità i dipendenti interessati, rispetto alle comunicazioni aziendali. Questo perché “la ridefinizione del piano di trasformazione – spiega Sky Italia – prevede un impatto su 800 risorse aggiuntive, tra lavoratori interni ed esterni, che vanno ad aggiungersi alle 400 posizioni lavorative già previste nell’accordo siglato con le parti sociali nel 2021”.

QUALE FUTURO PER I 1200 LAVORATORI SKY

“Da quanto è emerso in questa prima discussione – riportano i sindacati – i lavoratori interessati dovranno scegliere fra un esodo volontario incentivato (fino a capienza del budget aziendale stanziato per gli esodi), oppure una riconversione professionale verso le attività che verranno reinternalizzate in questo biennio, con un particolare impatto sul settore del Customer” sottolinea la nota.

LA VERSIONE DI SKY

Sky, che da parte sua parla di ampio piano di upskilling, reskilling, insourcing e di uscite volontarie, illustra di “prevedere un impatto su 800 risorse aggiuntive, tra lavoratori interni ed esterni, che vanno ad aggiungersi alle 400 posizioni lavorative già previste nell’accordo siglato con le parti sociali nel 2021. Si tratta di un progetto molto ambizioso di riqualificazione professionale – da mettere a punto insieme alle organizzazioni sindacali – che risponde alla necessità di ridefinire i processi e la struttura organizzativa, inclusa quella del customer care interno e che prevede inoltre un’ampia internalizzazione di attività in diverse aree, tra cui quelle di supporto tecnico a sistemi IT, attività di post-produzione e produzione, e di supporto al ciclo attivo”.

IL TIMORE DEI SINDACATI

“Per noi non c’è spazio, in questa azienda come nel resto del settore, per scelte diverse rispetto a quanto fatto sino ad ora. Contratteremo ogni singola situazione, con particolare attenzione per i processi di reinternalizzazione e di reskilling di tutto il personale coinvolto, per verificare che si tratti effettivamente di un percorso concreto, e non di un semplice tentativo di guadagnare un po’ di tempo prima di soluzioni più drastiche” si legge nella nota.

I sindacati affermano che “pur nella consapevolezza delle difficoltà che vivono il mondo del broadcasting e della pay-tv tradizionale, un riassetto che tocca 1200 persone (fra interni ed esterni) su un organico di poco più di 4000 unità, rappresenta un elemento che potrebbe diventare dirompente se, questi strumenti messi in campo, non fossero utilizzati in modo efficace”.

I DANNI DOVUTI ALLA PIRATERIA NEL CALCIO

A incidere sui conti del Gruppo anche e soprattutto la pirateria subita dalle varie pay tv coi famosi pezzotti. Fenomeno che non solo non viene arginato, ma che qualche settimana fa aveva portato il numero 1 della Serie A, Luigi De Siervo e il presidente di Asstel – Assotelecomunicazioni, Massimo Sarmi, a un curioso scontro su presunte responsabilità in merito.

Soltanto a fine 2022 c’è stata la più grande operazione contro questo genere di criminalità audiovisiva mai portata a termine in Italia: 70 persone indagate, a vario titolo, per i reati di associazione per delinquere a carattere transnazionale, truffa, pirateria audiovisiva, trasferimento fraudolento di beni, sostituzione di persona, falsificazione di documenti e ricettazione.

L’inchiesta, coordinata dai magistrati della procura di Catania, è stata condotta sul campo dagli uomini della polizia postale e delle comunicazioni del capoluogo etneo. Perquisizioni e sequestri sono stati effettuati in diverse parti d’Italia. A Catania, Palermo, Trapani, Napoli, Salerno, Roma ma anche all’estero ed in particolare Inghilterra, Germania e Tunisia. Ed è all’estero che, hanno accertato gli investigatori, sono stati installati i server attraverso i quali poi venivano illecitamente smistati i segnali delle trasmissioni delle pay tv come Sky, Netflix, Dazn, Amazon Prime e Mediaset.

Il giro d’affari dell’organizzazione era enorme: 10 milioni ogni trenta giorni. Ma il danno causato alle pay tv era molto più grande: 30 milioni di euro di mancati introiti al mese. Gli utenti finali raggiunti dal servizio pirata erano circa un milione. E tutti rischiano una sanzione. Il costo di ogni abbonamento pirata si aggirava attorno ai dieci euro mensili che venivano pagati attraverso accrediti in card poste pay spesso intestate a cittadini ignari di ogni cosa. A volto il pagamento invece avveniva direttamente in contanti.

“È una indagine molto importante – aveva commentato Ivano Gabrielli, direttore del servizio di polizia postale e delle comunicazioni – La pirateria audiovisiva  crea un danno enorme alle pay tv e tutti i lavoratori che girano attorno al mondo dell’intrattenimento. Questa – aveva sottolineato – è solo la punta dell’iceberg”.

In tal senso il colosso della pay tv incassa favorevolmente il messaggio emerso dall’incontro fra il Ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi e il presidente della Fapav, Federico Bagnoli Rossi, sul tema della lotta alla pirateria. “Al ruolo essenziale di Agcom si deve affiancare al più presto una nuova legge antipirateria già in discussione in Parlamento in queste settimane”, ha dichiarato Bagnoli Rossi ottenendo dall’esponente dell’esecutivo, massimo impegno.

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