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Perché sono sballati i conti dei sognatori europei

Cosa dicono veramente i numeri sul fondo "Sure". L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Nei giorni in cui si scopre che il Re è nudo – e cioè che l’unica risposta rapida e perciò efficace per mitigare l’eccezionale incremento dei costi energetici è quella proveniente dai bilanci di ciascuno Stato membro, con la Germania a fare da apripista solitaria – registriamo che ci sono ancora dei “giapponesi” che continuano a credere nel ruolo del bilancio europeo.

Dapprima il governo Draghi ha esitato per mesi nel mettere risorse “vere” (non giri di partite contabili) a disposizione di imprese e famiglie, nella non recondita speranza che tale disciplina di bilancio trovasse rapidamente supplenza in iniziative a livello europeo. Il 4 ottobre è stata la volta dei Commissari UE Paolo Gentiloni e Thierry Breton che, con un intervento pubblicato sui maggiori quotidiani europei, hanno ribadito la necessità di “strumenti mutualizzati a livello europeo”. Una risposta di bilancio europea per impedire che i diversi margini di manovra dei bilanci nazionali creino falle irreparabili nel funzionamento del mercato interno, provocando frammentazioni ed irreparabili distorsioni della concorrenza nel mercato interno.

A loro dire, è necessario ispirarsi al meccanismo “Sure”, un fondo proposto e gestito dalla Commissione che ha erogato 93 miliardi (di cui 27,4 all’Italia) agli Stati membri tra fine 2020 e l’intero 2021.

Quel fondo è stato destinato alla copertura delle maggiori spese sostenute da ciascun Stato per mitigare l’impatto dello stop produttivo causato dal lockdown pandemico. In sostanza, per l’Italia hanno coperto le spese per i 4,3 miliardi di ore di Cassa Integrazione autorizzati nel 2020. 16 volte quelle autorizzate nel 2019.

Secondo i Commissari, “L’Europa ha già dimostrato di saper reagire con forza superando le divisioni e mettendo in comune la propria potenza di bilancio a livello europeo, in modo da dimostrare solidarietà e giustizia”.

Ebbene, questo è vero solo nel mondo onirico dei sognatori europei. Poi ci sono i fatti ed i numeri che ci dicono questo:

  • Il fondo “Sure” è riuscito ad erogare 92 miliardi a favore di 19 Stati membri (Italia e Spagna sommano 48 miliardi) sotto l’unica e decisiva condizione della prestazione di una garanzia pro-quota da parte di ciascuno Stato. Altrimenti la Commissione non avrebbe potuto emettere titoli con rating tripla A ad un tasso inferiore a quello dei Btp. Altro che “solidarietà”, ognuno ha garantito per sé. Affermare, come ha fatto al Commissione, che ciò ha determinato un risparmio di 3,7 miliardi di interessi per l’Italia su una durata media di circa 15 anni di quei prestiti, è semplicemente falso perché trascura il costo della garanzia fornita dalla Repubblica Italiana che, come tutte le garanzie, ha un costo, di cui però ci si dimentica di tenere conto. Altrimenti perché un mutuo ipotecario ha generalmente un tasso più basso di uno chirografario?
  • Nel 2020 e nel 2021 il fabbisogno statale è stato rispettivamente pari a 159 e 109 miliardi. La bellezza di 268 miliardi che coincidono quasi perfettamente con i circa 290 miliardi di titoli pubblici italiani che la Bce ha messo in portafoglio da marzo 2020 e marzo 2022 col programma Pepp. Di fronte all’ordine di grandezza di tali cifre, qualcuno può ancora ragionevolmente sostenere che la “vera” solidarietà europea sia arrivata dalla Commissione, o invece dalla Bce? La quale, aumentando gli acquisti del 10%, avrebbe reso pure inutili i prestiti del Sure.
  • Non a caso Gentiloni e Breton hanno fatto l’esempio del Sure ed hanno omesso quello del Next Generation UE. Perché quest’ultimo è solo la fotografia impietosa di quanto sia lenta ed inefficiente la UE quando deve muoversi con fondi propri. Sono i numeri che lo provano. Ricordate la famosa pioggia di miliardi, faticosamente negoziata da Giuseppe Conte in un interminabile Consiglio Europeo nel luglio 2020? Da allora, bisognò attendere febbraio 2021 affinché il Regolamento UE del RRF (il cuore del NextGenEu) vedesse la luce. Poi altri due mesi per presentare il PNRR. Poi altri due mesi per ottenerne l’approvazione. Infine ad agosto, abbiamo incassato il prefinanziamento del 13%, e poi ad aprile 2022 la prima rata e, forse, entro novembre, anche la seconda. A livello europeo, il quadro è desolante. Dei 724 miliardi (a prezzi correnti) del RRF, ne sono stati impegnati solo 504 (338 sussidi e 166 prestiti) e sono rimasti tuttora non richiesti circa 200 miliardi di prestiti. Ma ciò che conta e che genera la crescita sono i pagamenti non gli impegni di spesa. E su questo fronte ci si ferma a 113 miliardi. Sì, avete letto bene. A due anni e mezzo dal lockdown pandemico, solo l’inezia di 113 su 724 miliardi sono arrivati nelle casse degli Stati membri. Lo 0,8% del PIL della UE.

Se questa è la “potenza di bilancio” di cui parlano Gentiloni e Breton, è bene che il prossimo Governo italiano sappia che il sogno europeo ha tempi biblici e non conviene. Il rischio, in questo caso, è di svegliarsi con i geloni e le tasche vuote.

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