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Mps: come è andata la mossa del Tesoro e cosa succederà ora

Il ministero dell'Economia, che controlla Mps, ha messo sul mercato il 25% del capitale della banca al prezzo di 2,92 con uno sconto del 4,9% rispetto alla chiusura di ieri sera. Gli obiettivi centrali e gli scenari. Il punto di Giuseppe Liturri

 

È stato un vero e proprio blitz quello annunciato e chiuso in poche ore della serata di ieri dal parte del Ministero dell’Economia sul capitale di Banca Mps. Il consorzio di banche incaricate del collocamento presso investitori istituzionali (banche, fondi) ha portato a termine il compito ricevuto dagli uffici del ministro Giancarlo Giorgetti e il 25% del capitale di Mps è passato di mano al prezzo di 2,92 euro con uno sconto del 4,9% rispetto alla chiusura di ieri sera, ma nettamente superiore al prezzo di 2,82 che nella giornata odierna sta facendo segnare il titolo.

920 milioni affluiranno così nelle casse di via XX Settembre che comunque resterà azionista di peso della banca con il 39% del capitale (dal 64% pre collocamento).

Per patto esplicito con le banche collocatrici, il Tesoro non potrà eseguire altre operazioni sul capitale per i prossimi 90 giorni.

LA TRANSITORIETÀ DELL’INVESTIMENTO PUBBLICO IN MPS

Va detto che si tratta del primo passo lungo un percorso che dovrebbe portare il Tesoro del tutto fuori dal capitale della banca senese, perché la Commissione UE, quando nel 2017 autorizzò la ricapitalizzazione precauzionale da parte del ministero guidato allora da Pier Carlo Padoan, pose l’esplicita condizione della transitorietà dell’investimento pubblico. Un termine tuttavia prorogato più volte perché in passato è sempre stato oggettivamente impraticabile un’operazione di mercato in condizioni accettabili. E questo è senz’altro un segnale positivo verso la Commissione: si vende se e quando l’operazione è conveniente per lo Stato, non quando lo impongono le scadenze scritte da Bruxelles.

Apprezzabili anche le modalità “lampo” con cui l’operazione è avvenuta. Facendo dimenticare il dannoso chiacchiericcio di qualche mese fa che favoriva solo potenziali compratori, che contavano sull’obbligo di cessione incombente sul governo. Queste operazioni non si annunciano settimane prima, si eseguono e basta.

Ieri, sull’onda dei soddisfacenti risultati economici dell’ultimo trimestre, si sono realizzate quelle condizioni e Giorgetti è passato all’incasso. Realizzando peraltro una discreta plusvalenza almeno rispetto al valore di carico (2 €) dell’ultimo aumento di capitale da 2,5 miliardi.

I DUBBI SUL FUTURO

Ora sorgono perplessità sul futuro. Il mito della “contendibilità” della banca non pare aver suscitato eccessivi entusiasmi sui mercati (e il tonfo odierno dei prezzi ne è una provvisoria prova), perché il 39% dello Stato è ancora molto ingombrante e nessuno ha voglia di investire somme ingenti per fare il socio di minoranza di Giorgetti. Le banche potenzialmente interessate ad un’aggregazione sono in prudente posizione di attesa.

Dal punto di vista del Tesoro, si impone una riflessione sull’opportunità di proseguire sulla strada appena intrapresa. La banca ha appena riconquistato una discreta redditività e le attività che rendono vanno vendute considerando anche le perdite del flusso di proventi annuali che arriverebbero dai rispettivi bilanci. Cedere un bene che produce utili, perdipiù in fretta, è una cosa che si fa solo nelle liquidazioni. E ci permettiamo di credere che la Repubblica Italiana non sia in quelle condizioni, qualsivoglia sia il pensiero della Commissione. Per cui ora, calma e gesso e si ponga mano ai calcoli di convenienza, senza alcuna fretta.

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