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Mps Aumento Capitale

Mps, ecco tempi e intralci dell’aumento di capitale

Che cosa succede all’aumento di capitale di Mps. L’articolo di Emanuele Rossi.

Il tempo scorre e si avvicina il 17 ottobre, giorno in cui è previsto l’inizio dell’aumento di capitale di Montepaschi. L’amministratore delegato Luigi Lovaglio, però, sembra abbia il suo bel da fare a trovare investitori che possano coprire i 900 milioni che mancano per arrivare ai 2,5 miliardi totali. Lo Stato, che ha in mano il 64% del capitale, è pronto a portare a Siena 1,6 miliardi.

COME PROCEDE L’AUMENTO DI CAPITALE

Mercoledì Lovaglio, le banche del consorzio di garanzia (Mediobanca, Bank of America, Credit Suisse, Citi, Sch, Barclays, SocGen e Stifel) e i rappresentanti del Tesoro si sono incontrati a Via XX Settembre per fare il punto sull’aumento di capitale in seguito agli incontri avuti dallo stesso ad con gli investitori. Secondo quanto riferito dall’Ansa, Lovaglio non avrebbe offerto indicazioni numeriche alle banche del consorzio di pre-sottoscrizione sugli impegni e sulla potenziale copertura delle risorse che sta cercando ma ha comunque ribadito la volontà di iniziare l’operazione lunedì 17 ottobre. La situazione però non è facile perché i 900 milioni, come rilevato da La Stampa, sono “assai difficili da recuperare in un momento di mercato complesso come questo”.

Sempre secondo il quotidiano torinese, le due principali interlocuzioni di Lovaglio, quella con i partner Axa (polizze) e Anima (risparmio gestito), stanno proseguendo su binari diversi. Gli assicuratori francesi si accontenterebbero di mantenere i termini dell’attuale partnership e potrebbero mettere sul tavolo fino a circa 130 milioni di euro, “rimarcando il loro interesse per il mercato italiano, considerato strategico”.

Diverso invece il rapporto con Anima che vorrebbe partecipare alla ricapitalizzazione – come annunciato già in estate – ma ancora non si è trovata la quadra. Secondo Il Sole 24 Ore venerdì scorso la sgr “avrebbe nuovamente affinato la propria proposta” ipotizzando “alcune ipotesi di modifica all’accordo commerciale in cambio di una disponibilità compresa tra i 100 e i 200 milioni”. Sarebbero però sorti dubbi da parte di Lovaglio, che teme ripercussioni in un’ottica futura di fusione, ma di sicuro – prosegue il giornale della Confindustria – non è nelle condizioni di ritrarsi.

Occorre ricordare che in settimana Reuters e Bloomberg hanno fornito indiscrezioni secondo cui il Tesoro, per salvaguardare l’indipendenza di Anima, potrebbe chiedere a Poste Italiane di aumentare la quota che detiene, al momento pari al 10,3% del capitale. A maggio Amundi, asset manager transalpino, aveva acquistato il 5,16% di Anima

L’APPRENSIONE DEL CONSORZIO DI GARANZIA E DEI SINDACATI

In tutto questo, e non stupisce, tra gli otto istituti di credito che fanno parte del consorzio, circolerebbe qualche apprensione per l’esito della ricapitalizzazione. Il motivo è presto detto: molto alto il rischio di ritrovarsi a dover gestire l’inoptato se non ci saranno investitori disponibili a coprire tutti i 900 milioni. E il tempo stringe: secondo Il Sole 24 Ore lunedì o martedì al massimo si dovrà capire come procedere e soprattutto quanti sono i soldi “sicuri”. Poi la parola passa alla Consob per l’autorizzazione e il 17 ottobre via all’aumento di capitale.

Anche le organizzazioni sindacali cominciano a preoccuparsi dell’andamento dell’operazione. Il segretario generale First Cisl, Riccardo Colombani, a margine di un convegno a Firenze sulla desertificazione bancaria, lo ha detto chiaramente: “Non è piacevole assistere a chiari tentativi speculativi sul mercato di deprimere la capitalizzazione di Mps per sabotare l’aumento di capitale”. Per questo, ha aggiunto, “faccio appello al Mef, ma so che è al lavoro da questo punto di vista, di raccogliere investitori istituzionali, in modo particolare le fondazioni di origine bancaria toscane e non toscane, per poter consentire la ricapitalizzazione di 2 miliardi e mezzo dell’istituto”. Secondo Colombani “dobbiamo far leva su tutti gli investitori istituzionali affinché il piano industriale e il piano di ricapitalizzazione abbiano successo, perché la banca più antica al mondo ovviamente non può essere lasciata abbandonata a se stessa, è ancora un asset del Paese”.

LE RICHIESTE DI ESODO

Intanto chi può cerca di uscire dalle pastoie della Rocca. Ecco dunque che le adesioni totali all’esodo e al Fondo di solidarietà sono state pari a 4.125, di cui 110 relative all’esodo e 4.015 al Fondo. Cifra di certo più alta rispetto alle 3.500 da definire entro il 30 novembre e che consentiranno al gruppo risparmi per . In una nota congiunta i sindacati Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin, oltre a fornire i numeri dopo un incontro con la banca, hanno anche evidenziato che il Monte nei prossimi giorni deciderà in merito all’accoglimento delle domande. “Dal canto nostro – hanno spiegato le organizzazioni sindacali – abbiamo richiesto celerità nelle decisioni ed una attenta valutazione degli impatti economici ed organizzativi, al fine di individuare le migliori soluzioni a favore delle lavoratrici e dei lavoratori”.

“Mi auguro che si stiano creando le condizioni per consentire che la banca resti autonoma e, in ultima ipotesi, per garantire comunque una soluzione che tuteli livelli occupazionali, territori e clientela – ha commentato Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi -. In questi ultimi giorni, comunque, sono arrivati importanti segnali di attenzione anche su questa seconda ipotesi”. Secondo Sileoni “il percorso del piano industriale procede, per quanto ci compete, secondo quanto previsto. Anzi: sono arrivate richieste di uscite, tutte su base volontaria da gestire con il Fondo di solidarietà, superiori alle 3.500 da definire entro il 30 novembre. Una notizia positiva che ci permetterà di far assumere giovani”.

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