L’Italia è sotto infarto, ma la colpa è del cardiologo che ha eseguito la diagnosi. E non si tratta di un singolo professionista, che, comunque, può sbagliare. Ma di un consulto, a livello internazionale, che unisce le teste coronate dei principali esperti. Andando nell’ordine: Banca d’Italia (crescita 0,6 per cento), Fondo monetario internazionale (stessa previsione, con in più l’indicazione del pericolo di un contagio per l’intera Europa), Standard Poor’s (0,7 per cento), Commissione europea che, pentita delle concessioni strappate, abbassa l’asticella allo 0,2 per cento, Centro studi di Confindustria (0,4 per cento), Prometeia (0,5 per cento), Cer (0,6 per cento), analisti delle principali banche italiane: stessa percentuale.
I teorici “dell’uno vale, vale uno” dovrebbero rimanere colpiti dalla mole quantitativa degli interventi, che convergono tutti nella stessa direzione. A prescindere dalle qualità intrinseche degli interlocutori. Al tempo stesso amanti come sono dell’analisi costi-benefici, che non vale solo per la Tav, dovrebbero essere interessati a quelle 63 pagine del Bollettino economico della Banca d’Italia: zeppo di dati, grafici e tabelle. Un check up approfondito dello stato del paziente. Lo stesso dicasi per il Fondo monetario. Anche in questo caso un’analisi strutturata della situazione italiana, eseguita al termine della tradizionale visita dei suoi economisti, durata giorni e giorni. Nel corso dei quali il confronto è stato permanente con tutti i soggetti che hanno responsabilità nella gestione del Paese. Secondo procedure – quelle previste dall’Article IV – che sono consolidate da un’esperienza decennale, valida per tutti i Paesi dell’intero Pianeta.
Alle preoccupazioni colà espresse non si può rispondere con una scrollatina di spalle, predicando un ottimismo di maniera. E’ seguire l’esempio dello struzzo o giocare a mosca cieca con i destini del Paese. Né si può pensare che vi sia una sorta di congiura planetaria contro l’Italia ed il governo dei 5 stelle. Può sembrare un giudizio ingeneroso, che salva la Lega di Matteo Salvini. Ma se si rimane ancorati ai parametri di una democrazia parlamentare e non alle fumisterie della democrazia diretta, il giudizio è ineccepibile. Alla Camera i deputati 5 stelle sono 220, contro i 123 della Lega. A Palazzo Madama, i senatori Pentastellati sono 107, contro i 58 del gruppo alleato. Oneri e onori, quindi. Anche se Matteo Salvini deve stare attento a non farsi travolgere da una deriva, che gli si può ritorcere contro.
Poi ci sono le divergenze, che, inevitabilmente, montano come la chiara di un uovo che viene sbattuto. Differenze programmatiche profonde: sviluppo da un lato, assistenza e pauperismo dall’altro. Sorprendenti le ultime dichiarazioni di Luigi Di Maio. Tagliamo gli stipendi ai parlamentari, non perché costano troppo rispetto ai sottostanti livelli di produttività, ma per un obiettivo culturale. Far provare loro come si vive a non arrivare alla fine del mese. Principio che può essere – ed in parte è stato già applicato – a tutti coloro che si sono conquistati non una posizione di relativo benessere, ma di semplice tranquillità economica. Tesi che ricordano da vicino i misfatti delle “guardie rosse” durate la rivoluzione culturale cinese. Morire come borghesi per rinascere come proletari.
Si spiegano così determinate posizioni di politica estera. L’appoggio dato al dittatore venezuelano, Nicolás Maduro, non è un incidente della storia. Conta poco per loro che, in quel Paese, l’inflazione abbia raggiunto il 1.300 per cento e sarà dieci volte tanto negli anni a venire, se non si arriverà ad un cambio di regime. Che gran parte della popolazione muore di fame o è costretta a fuggire all’estero per avere visite mediche e medicinali. Che gli aiuti internazionali sono bloccati, per evitare di favorire Juan Guaidó. Che il cinismo di questa posizione isola l’Italia dai suoi storici alleati, consegnandola nelle braccia dei “regimi illiberali”: il pericolo denunciato da Mario Draghi, nel suo intervento alla Scuola superiore di Sant’Anna. “Molti nemici, molto onore”: diceva qualcuno in passato. Ma non è stata una grande trovata.
Le smagliature diplomatiche non sono, quindi, una variabile impazzita. Rispondono ad una visione, ad un comune sentire che un Paese, debole e compromesso come l’Italia dal punto di vista economico e sociale, non può permettersi. Non si può indossare la pelle del leone ed illudersi di essere divenuti tale. Se c’è una logica nell’America first di Donald Trump, che si sviluppa ancora a ritmi impressionanti, quella prospettiva, importata meccanicamente in Italia, diventa una caricatura. Dato il suo bisogno di avere l’appoggio degli altri Paesi europei. Soprattutto della Francia e di Macron che, nonostante le sue contraddizioni, può, comunque, rappresentare un condizionamento per limitare il peso delle politiche di cieca austerità.
Ed invece il vice presidente del Consiglio, nonché capo politico della principale forza politica italiana, si reca in Francia per sostenere casseur e vandali incendiari. Se, come sembra probabile, tra meno di una settimana avremo la dimostrazione che il rapporto debito-Pil, invece di scendere come promesso salirà, su quali alleanze potremo contare, per scongiurare l’eventuale “procedura d’infrazione”? Hai voglia a ripetere che non ci sarà alcuna “manovra correttiva”. Più un esorcismo che non una reale prospettiva. L’Italia, come già è avvenuto per la legge di bilancio, dovrà andare a Canossa. Ma, forse, non troverà più quelle disponibilità che, comunque, le hanno consentito di chiudere un accordo.
Se questi sono i dati e non le incognite del problema, è bene prepararsi al peggio. In apertura di seduta la borsa italiana è stata tra le peggiori, sebbene anche altrove le cose non siano andate per il meglio. E gli spread sono, nuovamente, balzati a 280 punti base. Un brivido di pessimismo? Questa è la speranza. Ma è bene cominciare a riflettere sulle contraddizioni che si nascondono sotto il pelo dell’acqua. L’Italia, nonostante i suoi acciacchi e suoi malanni, merita un destino migliore. Dovrà, forse, passare per la cruna dell’ago. Ma questo sarà possibile solo se la politica cesserà di essere quel deserto che oggi si intravede, per tornare a poggiarsi su basi razionali: oggi travolte dal protagonismo, un po’ lumpen, dei suoi principali attori.