Elogi per gli equilibri garantiti della finanza pubblica, apprezzamenti per il rating del debito pubblico italiano, ma staffilate poderose sulle intenzioni di componenti dell’esecutivo di colpire banche e assicurazioni su fisco e dintorni.
Non ricorre a tanti giri di parole l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, nel giudicare la politica economica del governo Meloni. Ecco i passi salienti delle considerazioni svolte dal numero uno della prima banca italiana in un’intervista concessa al Sole 24 ore.
GIUDIZI E AUSPICI DI MESSINA (INTESA SANPAOLO) SUL GOVERNO MELONI
“Serve fare di più per la crescita economica dell’Italia, perché l’interesse del Paese è rafforzare i motori di sviluppo” e, allo stesso tempo, serve maggiore rispetto verso le banche, perche’ “senza il ruolo svolto da banche e assicurazioni nel finanziare il debito, lo Stato italiano si troverebbe in condizioni molto più complesse”. E’ questo uno dei concetti-chiave di Messina, che, al direttore al quotidiano confindustriale, Fabio Tamburini, ha sottolineato che va “bene il rigore nei conti pubblici, ma è necessario rafforzare i motori di sviluppo. L’uscita dell’Italia dalla procedura d’infrazione europea e’ una priorità strategica, consentirà al governo d’incidere sulle diseguaglianze. Le banche sono fondamentali per la tenuta dei conti pubblici. Non va dimenticato”. Del resto, “è un obiettivo importante e i tempi sono maturi, grazie anche all’ottimo lavoro sul debito pubblico fatto dal presidente del consiglio Giorgia Meloni”.
SERVONO INCENTIVI PUBBLICI PER SOSTENERE GLI INVESTIMENTI DELLE IMPRESE
E’ pero’ importante che il Paese cresca di più e il ruolo dello Stato deve essere proattivo: “Di sicuro il Pnrr è servito e serve ancora ma non basta”, ha detto Messina, sottolineando che bisogna anche “approvare incentivi pubblici per sostenere gli investimenti delle imprese, esattamente come avviene in tutto il mondo: dagli Stati Uniti alla Cina, dalla Germania alla Francia. Ciò dev’essere previsto nella manovra finanziaria in arrivo, insieme a interventi radicali per la sburocratizzazione e per la riduzione del costo dell’energia. Occorre uno sforzo di semplificazione”.
LA DIFESA DI BANCHE E ASSICURAZIONI DA PARTE DI MESSINA: UN MESSAGGIO CRITICO DIRETTO IN PARTICOLARE A MELONI E SALVINI
Guardando avanti, secondo Messina, “si dovrebbe tenere a mente che banche e assicurazioni non sono controllate dallo Stato. Quindi non sono condizionabili. Per questo occorre il gioco di squadra. Perche’ dobbiamo essere soltanto noi a pagare quando e’ necessario far quadrare i conti pubblici? Ci sono oggi in Italia 22 aziende con oltre 1 miliardo di utile netto all’anno. E soltanto nove sono banche e assicurazioni. Meta’ delle altre sono a partecipazione pubblica. In un’ottica di sostegno ai conti pubblici perché non pensare ad una platea più ampia? Vedo un rischio nell’additare banche e assicurazioni come portatori di profitti da tassare in maniera eccessiva, anche se straordinaria”. Il rischio è “indebolire l’asse portante della crescita del Paese. Negli Stati Uniti sono le grandi aziende hi-tech, in Italia sono le banche”.
ECCO UN ESTRATTO DELL’INTERVISTA DI MESSINA (INTESA SANPAOLO) RILASCIATA AL SOLE 24 ORE:
Il presidente del consiglio Meloni ha dichiarato che lei era d’accordo sul contributo che le banche potevano dare al risanamento dei conti pubblici. Può spiegarne il presupposto?
Senza dubbio negli ultimi anni a favore del sistema bancario hanno giocato diversi fattori, a partire dai tassi d’interesse elevati. Anche per questo le banche da subito si sono dette disponibili a dare una mano. Grazie all’ottimo lavoro di Giorgia Meloni sui conti pubblici, l’uscita dalla procedura d’infrazione comporterà un miglioramento delle condizioni strutturali del Paese di cui beneficia anche il settore bancario. Ma questo non significa essere messi sotto scacco come sta accadendo da almeno un paio di mesi, accusati di pensare soltanto agli utili immediati. Si trascura il fatto che siamo il pilastro del Paese e che il nostro settore rappresenta un’eccellenza in Europa. Non solo. Banche e assicurazioni hanno avuto, hanno e avranno un ruolo fondamentale per la tenuta dei conti pubblici. Sarebbe bene non dimenticarlo.
Qual è stato il contributo decisivo?
Abbiamo sostenuto il debito pubblico in momenti difficili, quando era fuori controllo e lo spread puntava quota 500. Il giudizio delle agenzie di rating era negativo e l’indice di gradimento dei titoli di Stato italiani era ai minimi. Banche e assicurazioni hanno fatto la loro parte quando i collocamenti di titoli pubblici andavano deserti. Così come, in tempi più recenti, abbiamo sottoscritto emissioni a tassi molto bassi, con conseguenti minusvalenze che ancora oggi nel bilancio di Intesa Sanpaolo superano i benefici di cui ho parlato prima.
E attualmente?
La richiesta dei supervisori europei è di ridurre la quantità dei titoli di Stato italiani che abbiamo in portafoglio. E insistono molto nel chiederlo. In Europa siamo un unicum. Banche e assicurazioni tedesche, ma anche francesi, sono a livelli di circa la metà. Questa è la ragione principale per cui non si fa l’unione bancaria. Senza il ruolo svolto da banche e assicurazioni nel finanziare il debito, lo Stato italiano si troverebbe in condizioni molto più complesse. Attualmente, nel possesso di BoT e BTP siamo secondi soltanto all’Eurosistema che, peraltro, sta riducendo la posizione.
(…)
Quale rischio?
Indebolire l’asse portante della crescita del Paese. Negli Stati Uniti sono le grandi aziende hi-tech, in Italia sono le banche.
La loro redditività è molto elevata. E’ una virtù o un peccato grave?
Le banche andrebbero considerate come risorse, non indebolite. Prendiamo l’esempio di Intesa Sanpaolo. Siamo un grande promotore della coesione sociale: riteniamo giusto che una parte degli utili servano per contrastare le diseguaglianze. Nel periodo 2023-2027 gli utili trasferiti dagli azionisti alla comunità saranno pari a 1,5 miliardi. E sarebbe un peccato doverli ridurre. Forse non tutti sanno che ogni anno destiniamo risorse rilevanti per aiutare i più deboli. Non solo. Il 20 per cento del capitale della banca è controllato da fondazioni, che a loro volta distribuiscono sostegni al territorio. Poco meno del 20 per cento fa capo a famiglie italiane, in buona parte pensionati che hanno investito in titoli Intesa Sanpaolo perché la redditività delle azioni integra la previdenza. Perché inceppare o depotenziare questo meccanismo virtuoso? Ripeto, ritengo sbagliato questo atteggiamento nei confronti del sistema bancario. In un Paese che deve ancora risolvere il problema del debito pubblico.
Può ricordarlo?
Il rapporto tra debito e prodotto interno lordo rimane elevato, intorno al 137 per cento: un moloch da 3 trilioni di miliardi da fronteggiare. Significa 2,5 trilioni finanziati con l’emissione di titoli che rendono necessario il collocamento annuale di 600 miliardi. La Bce sta riducendo la quota ed è scesa da 750 a circa 550 miliardi, le banche sono a 400 miliardi, il settore assicurativo a 250 miliardi, 50-100 miliardi i fondi d’investimento. Ricordiamo che le quantità acquistate dalla Bce continueranno a ridursi, mentre per le famiglie si prospetta la diminuzione dei tassi d’interesse. E, ricordo, ogni anno devono essere assorbite emissioni, al netto delle scadenze, per 160 miliardi. Se dovessero tornare situazioni d’emergenza, certo non potremmo contare sugli investitori esteri. Rimangono banche e assicurazioni italiane che gestiscono, utilizzo questa espressione, le terre rare del made in Italy: il risparmio degli italiani. Siamo un’azienda solida, in grado di creare valore per gli azionisti e per la comunità, un leader a livello europeo. Anche per questo, il giudizio delle agenzie di rating su Intesa Sanpaolo è migliore di quello sullo Stato italiano. Più esattamente per Moody’s la classificazione è A contro Baa2, peraltro aumentata nei giorni scorsi, e per Ficht A- contro BBB+, premiando così la nostra credibilità e affidabilità.



