Allo stato attuale i mercati appaiono cristallizzati intorno a un outlook ottimista per il 2023. I prezzi degli asset indicano che l’inflazione inizierà a calare velocemente, la Federal Reserve USA adotterà un approccio meno aggressivo e la crescita globale non sarà tanto più debole del 2022. Ad ogni modo la politica monetaria è fluida, l’incertezza geopolitica è elevata e la solidità dei mercati del lavoro è controbilanciata dalla debolezza del mercato residenziale e di altri settori. Nel complesso, tutto ciò apre un’ampia gamma di esiti possibili.
Abbiamo elaborato quattro scenari contrarian secondo cui il consensus di mercato attuale, come si riflette nei prezzi degli asset, potrebbe non essere l’esito più probabile.
1. La Fed manterrà i tassi elevati più a lungo
Le attuali dinamiche inflazionistiche continueranno a indurre la Federal Reserve USA ad alzare ulteriormente i tassi, laddove sia realmente intenzionata a non ripetere gli errori commessi negli anni Sessanta e Settanta. Ma il mercato non è ancora convinto che la Fed porterà i tassi oltre il 5. Inoltre, la view di consensus sul prodotto interno lordo (PIL) statunitense continua a indicare una sorta di soft landing nel 2023. Riteniamo invece che l’economia USA potrebbe scivolare in una moderata recessione, con una contrazione pari circa al 2%.
Esiste il rischio reale che la Fed aumenti i tassi oltre il 5%. Non prevediamo inoltre una virata da parte della Fed (con un taglio dei tassi al 3% o al 2%) a meno che la recessione non si aggravi o i mercati finanziari mostrino segni di cedimento. La Fed potrebbe interrompere i rialzi dei tassi al 5% (o meno) in risposta a una debolezza economica. Ad ogni modo riteniamo che la decisione di interrompere i rialzi prima del previsto comporterebbe tassi elevati per un periodo ancora più lungo.
Riteniamo che questa ripresa potrebbe rivelarsi più solida rispetto alle ultime due recessioni. Gli USA potrebbero essere all’inizio di un solido ciclo di spesa in conto capitale, con il reshoring della produzione e il riallineamento delle filiere nel corso del prossimo decennio.
Grazie al mercato del lavoro contratto, i consumatori potrebbero trovarsi in una situazione migliore rispetto a quella in cui solitamente si trovano al termine di una recessione. Di conseguenza, la spesa al consumo potrebbe recuperare più velocemente del solito.
2. Le pressioni inflazionistiche in Europa persisteranno
Secondo il consensus Bloomberg, gli economisti europei prevedono che l’inflazione dei prezzi al consumo rallenterà rispetto al recente 10% su base annua, passando al 3% a fine 2023 e al 2% nel 2024. Dubitiamo tuttavia che l’inflazione tornerà velocemente al target.
Innanzitutto, prevediamo una pressione al rialzo più persistente sui prezzi dell’energia, perché nei prossimi anni l’Europa cercherà una diversificazione rispetto al petrolio e al gas russi. Questo comporterà probabilmente un forte shock negativo a carico dell’offerta, aumentando effettivamente i costi nell’intera economia per un periodo prolungato. Il risultato potrebbe essere un peggioramento nel trade-off tra inflazione e crescita economica.
In secondo luogo, riteniamo che i policymaker tollereranno un’inflazione più elevata mentre l’economia si adatta a un significativo declino nei redditi reali. L’alternativa per i governi e le banche centrali sarebbe quella di trascinare le economie in una recessione ancora più profonda del previsto il prossimo anno.
In terzo luogo, riteniamo che lavoratori e aziende siano ora più disposti ad accettare incrementi di prezzi e salari, il che sosterrà le pressioni inflazionistiche. I sindacati si stanno adoperando per incrementare i salari in linea con l’inflazione in un contesto di costante carenza di manodopera. Le aziende sembrano disposte a fare qualche concessione in termini di salari, ma sono intenzionate ad aumentare i prezzi per gestire i salari più elevati e gli altri costi.
3. L’economia cinese non registrerà una ripresa solida
Per la Cina prevediamo una crescita del PIL reale compresa tra il 3% e il 4% nel 2023, rispetto alla previsione del 4,4% del Fondo Monetario Internazionale. Ad ogni modo, riteniamo che il freno posto dalla politica zero-COVID verrà allentato, il mercato immobiliare raggiungerà il picco minimo e l’economia cinese verrà moderatamente risollevata dalla spesa in infrastrutture.
La virata anticipata della politica zero-COVID di Pechino potrebbe stimolare quantomeno una moderata ripresa della spesa al consumo. La portata di questa ripresa dipenderà tuttavia dal calo della disoccupazione, che prevediamo lento.
I redditi delle famiglie, la crescita dei salari e i prestiti sono stati deboli, mentre la fiducia dei consumatori è ancora scarsa e i dati sulla disoccupazione sono alti. Ovviamente le politiche zero-COVID pesano molto sulla fiducia dei consumatori, ma la crescita dei salari è un importante motore per i consumi.
4. Un imminente deprezzamento del dollaro è improbabile
A nostro avviso, il mercato obbligazionario rimane giustamente focalizzato su quello che ha trainato i movimenti del dollaro negli ultimi anni: i differenziali dei tassi di interesse.
È possibile che i rendimenti reali a 10 anni dei Treasury USA abbiano già raggiunto il picco. In tal caso, potrebbe venire a mancare un importante elemento di supporto al dollaro nella misura in cui una modifica nei rendimenti, piuttosto che nel livello di rendimento assoluto, trainerà le oscillazioni valutarie.
Se e quando il dollaro inizierà a perdere parte del suo valore relativo, l’effetto potrebbe essere particolarmente pronunciato rispetto alle valute dei mercati emergenti (ME). Molte banche centrali dei ME hanno iniziato anticipatamente ad alzare i tassi di interesse e sono state più aggressive rispetto alle principali controparti dei mercati sviluppati. Di conseguenza, i tassi di interesse reali dei ME appaiono più interessanti rispetto ai mercati sviluppati. A nostro avviso, comunque, ci vorrà almeno un anno.