È scoppiata un’altra guerra di parole e numeri sulle spiagge, sulla crisi del turismo balneare, sul calo di bagnanti: alle opposizioni piace dire che è colpa di Giorgia Meloni, del suo governo che ha impoverito gli italiani e ingrassato lobby come ristoratori e balneari, che speculano alzando i prezzi. La scarsa fantasia di Pd, M5S e altre minoranze nello scovare temi polemici è nota, basti pensare che sono riusciti a raccogliere il campo più largo per difendere i diritti degli LGBTQ+ ungheresi, evidente priorità nell’agenda dell’elettore nostrano. Non sembrano proprio preoccupati dalla scarsa efficacia di queste battaglie retoriche, dalla stabilità dei sondaggi in favore di Meloni, dalla sua permanenza a Palazzo Chigi, che da oggi la porta al quarto posto per longevità governativa nella storia italiana.
Nella scelta dell’ultimo oggetto del contendere, poi, ha probabilmente inciso la strenua difesa da parte di Meloni di una ministra del Turismo effettivamente un po’ imbarazzante. Ieri però sono usciti i dati della Polizia, che per legge deve raccogliere le registrazioni degli ospiti delle strutture ricettive, cifre che parlano di forti aumenti rispetto all’anno scorso, a giugno, luglio e prima decade di agosto 2025. La crisi balneare pare una tendenza internazionale, la lamenta anche la Spagna, ma forse vamos menos a la playa perché c’è overtourism nelle città d’arte (le si visita e poi si dorme fuori, per pagare meno) e soprattutto in montagna, dove si registrano file e torme di vacanzieri. A osservarli, pare abbiano deciso di cambiare meta ma non outfit: li incontri sui percorsi in ciabattine e sneaker con la para liscia, ogni tanto scivolano e si fanno male.
Vabbè, questo è un altro discorso, resta però che l’oggetto del contendere scelto dalle opposizioni sembra un po’ loffio, anche quando si dà un tono virando su un’altra infinita battaglia retorica: i turisti vanno verso il fresco, cercano scampo dal cambiamento climatico, che il governo non combatte perché è negazionista, nemico della scienza. Tanto da aver messo nel Nitag, il Comitato per le vaccinazioni, i medici Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle, noti per aver espresso posizioni no-vax: questo, almeno, secondo il Pts, Patto trasversale per la Scienza, che ha lanciato una petizione al riguardo. Peccato che il presidente del Comitato inviti alla prudenza, a farli prima riunire per confrontarsi; peccato che esitanza e scetticismo siano cose diverse dall’anti-vaccinismo e che l’imposizione vaccinale sia considerata una politica sanitaria controproducente, sia da prima sia soprattutto dopo l’esperienza Covid.
Peccato soprattutto che il modo strumentale con cui le opposizioni si appendono a qualunque gancio la cronaca offra loro impedisce di cogliere lo spunto per una riflessione opportuna e utile a comprendere meglio. In questo caso balneare, l’ennesimo sintomo di un cambio sociale e culturale più profondo: meno mare più montagna, meno ombrellone più spiaggia, meno ristorante più pranzo al sacco, meno stabilimento più sentiero. Non è solo meno soldi in tasca. Sono modi di dire meno bene materiale e più appagamento spirituale, meno divertimento e più fatica, meno folla e più compagnia selezionata (o digitale!); cambiamenti che ne sposano altri come servizio anziché possesso, streaming e non palinsesto. Cambiamenti che si accentuano nei giovani e indicano direzioni future diverse, interessanti: studiano meno, lavorano meno, guadagnano meno, escono meno; in alcuni casi però viaggiano e si spostano di più, cambiano facilmente città, impiego e vita.
Se si profila un futuro diverso, meno materiale, tutta l’economia, l’industria, il commercio e i servizi si riducono e rimodulano: meno auto specialmente endotermiche, meno case e più piccole, meno obsolescenza programmata della tecnologia e più riparazioni, meno vestiti che sono ormai uno scarto immediato, indossati una stagione nemmeno… Di questo sì avrebbero da parlare maggioranza e opposizione.
Spunti di riflessione e approfondimento per guardare al futuro che vorremmo e a quello che avremo non mancano certo anche nell’altra guerra in corso in questi giorni, quella sul Ponte sullo Stretto, che minaccia di proseguire per anni, seppure soggetta agli andamenti stagionali. Ma anche qui la logomachia politicante sceglierà il solito profilo basso, terra-terra. O terra-mare.