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Meloni fa felice Caltagirone col ddl Capitali. Parola del Financial Times

Che cosa scrive il Financial Times sul ddl Capitali difeso da Meloni in conferenza stampa. Le partite in Generali e Mediobanca, il ruolo di Caltagirone e non solo

“Si sarebbe diffuso un allarme tra alcune aziende e azionisti che la legislazione” del Ddl Capitali “anziché liberalizzare e incrementare gli investimenti in Italia, potrebbe fare l’opposto”. E’ quanto sostiene il Financial Times, in un articolo pubblicato sul sito web del giornale finanziario della City, nella sezione “Inside business”.

“Le misure dovrebbero stimolare l’economia italiana e fermare la fuga di aziende locali verso sedi dell’Ue concorrenti, in particolare i Paesi Bassi. Dovrebbero anche beneficiare direttamente il programma di privatizzazione del governo, previsto per raccogliere 20 miliardi di euro nei prossimi tre anni”, si legge sempre sul Ft. “Gli emendamenti più recenti – sostiene Patrick Jenkins, deputy editor del quotidiano finanziario londinese – gli hanno dato una piega protezionistica, servendo gli interessi degli alleati di Meloni e potenzialmente scoraggiando gli investimenti internazionali. Tra gli emendamenti più eclatanti c’è una regola che darebbe un incentivo estremo a detenere azioni per 10 anni o più, concedendo a tali investitori 10 volte più diritti di voto rispetto agli azionisti a breve termine. Mentre la disposizione teoricamente si applicherebbe a qualsiasi investitore, di fatto favorisce certi tipi di azionisti italiani – tipicamente entità a controllo familiare che cercano di mantenere il controllo delle aziende, oltre ai tipi di fondazione locale che sono stati azionisti a lungo termine, sebbene spesso politicizzati, delle banche italiane”. Per Jenkins del Ft, “il beneficiario più ovvio del disegno di legge emendato è Francesco Gaetano Caltagirone” e “se la legge dovesse essere approvata come proposto, rappresenterebbe un secondo passo indietro per i mercati italiani in pochi mesi”, secondo l’opinione ospitata dal giornale economico finanziario.

Il ddl capitali, con le modifiche approvate dal Senato, favorisce Caltagirone e tutti gli alleati della premier. Il provvedimento «sembra positivo», ma in realtà ha un approccio «protezionistico», potenzialmente «scoraggiante per gli investimenti internazionali», è in sostanza il commento dal titolo Come il nuovo Ddl capitali della Meloni potrebbe ritorcersi contro le imprese italiane. Dunque il Financial Times smonta la tesi della premier, Giorgia Meloni, secondo cui il ddl dà più poteri ai soci senza mettere a rischio la gestione delle aziende, come ha sottolineato il presidente del Consiglio nel corso dell’ultima conferenza stampa.

Durante la conferenza stampa di fine-inizio anno, Meloni ha spiegato di non ritenere «corretta» la lettura secondo la quale il ddl capitali «rischia di allontanare gli investimenti e rendere ingovernabili alcuni grandi gruppi». La risposta di Meloni era indirizzata – secondo l’interpretazione di Milano Finanza – “al ceo di Generali, Philippe Donnet, che ha sollevato perplessità sulla norma per il rinnovo del cda e ha paventato il rischio di ingovernabilità delle società”.

La norma sulle modalità di presentazione della lista dei consigli di amministrazione «serve a limitare il meccanismo con cui si perpetuano all’infinito i cda a prescindere dai soci. Al mercato una previsione che rafforza il peso degli azionisti piace», ha precisato Meloni sottolineando che «io ci vedo una norma che consente di avvicinare investimenti a qualcosa che non ha sempre funzionato in passato».

Ma senza giri di parole, il quotidiano della City sostiene che «il beneficiario più evidente» del ddl capitali – così come modificato – è Francesco Gaetano Caltagirone, «l’ottuagenario barone dell’edilizia e dei media, e azionista di rilievo di due dei più potenti gruppi di servizi finanziari italiani, Assicurazioni Generali e Mediobanca. Lui e i suoi alleati (tra cui Leonardo Del Vecchio, ndr) furono ostacolati nei loro tentativi di imporre nuovi consigli di amministrazione in entrambe le società. Anche Caltagirone è un alleato fondamentale per la Meloni: possiede giornali influenti nelle regioni dove la premier ha il consenso maggiore». Se la legge dovesse passare come proposto, prosegue il giornale, rappresenterebbe «un secondo passo indietro dei mercati italiani nel giro di pochi mesi», dopo il passo falso fatto in agosto dal governo con l’annuncio «caotico» sulla volontà di imporre una tassa sugli extra-profitti delle banche. Risolto poi con la possibilità delle banche di non pagare l’imposta destinando un importo pari a 2,5 volte la tassa a riserva.

Ma qual è il nodo del contendere che vede in Italia contrapposte una parte della finanza e in particolare, nei casi Generali e Mediobanca, i soci Caltagirone e Delfin con i vertici appunto di Generali e Mediobanca?

Oggi è lo stesso consiglio di amministrazione uscente a proporre all’assemblea dei soci i propri successori. Con le nuove regole la lista del cda dovrà essere proposta con il voto favorevole di due terzi dei consiglieri (unico caso di maggioranza qualificata nella votazione del cda, a parte il diritto di veto delle minoranze sulle questioni relative alle parti correlate), deve contenere un numero di candidati pari al numero di candidati pari al numero da eleggere maggiorato di un terzo. “Si tratta di un impianto molto dissuasivo dell’uso di liste del consiglio, soprattutto grazie alla norma che dà maggiore spazio in cda alle liste di minoranza nel caso in cui la lista del consiglio risulti la più votata”, ha notato la giornalista esperta di finanza, Camilla Conti, sul quotidiano La Verità: “Il ddl capitali prevede la distribuzione proporzionale dei posti in consiglio in base ai voti ricevuti. Se una lista di minoranza prende il 20% dei voti ha diritto al 20% dei posti, oggi il vincitore prende tutto anche se ha pochi voti di scarto rispetto alla lista arrivata seconda). Quanto al super premio alle minoranze (il 49% dei posti in cda per la lista che raccoglie più del 20% dei voti in assemblea) previsto inizialmente, ha lasciato posto a parametri più morbidi: alla lista di minoranza che prenderà più del 20% dei voti spetterà un numero di posti definiti con il metodo proporzionale. Non è però chiaro come verrà data questa proporzionalità. E per un fondo azionista si tratta di un dettaglio determinante per scegliere il campo in cui giocare calibrando la strategia sul margine ipotizzabile che potrebbe cambiare gli equilibri nella governance a fine partita. Se la progressività si ferma al 33% è un conto, se consente di arrivare quasi alla soglia del 49 un altro”.

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