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Massimo D’Antona, la Cgil e i referendum

Giuliano Cazzola ricorda Massimo D'Antona, giuslavorista assassinato 26 anni fa

Il 20 maggio non è solo la ricorrenza dello Statuto dei lavoratori (legge n.300/1970). In quella data, tanto emblematica e significativa per un giuslavorista, nel 1999 veniva assassinato dalle nuove BR Massimo D’Antona, a due passi dalla sua abitazione, lungo il marciapiede che percorreva tutte le mattine per recarsi al lavoro.

Conoscevo bene Massimo. Ne apprezzavo la correttezza, l’eleganza, la serietà e le grandi capacità professionali che ne facevano uno dei migliori giuristi della sua generazione, quella che veniva dopo i grandi maestri come Federico Mancini e Gino Giugni.

Fino al 1993, nell’ambito della segreteria confederale svolgevo il ruolo di responsabile della Cultura giuridica di cui D’Antona era coordinatore. Nella XVI legislatura, inoltre, sono stato collega alla Camera della moglie Olga.

Ricordo che, dopo il suo assassinio, volle commemorare il marito in occasione della manifestazione organizzata dopo la sua morte. Olga si rivolse direttamente ai terroristi chiedendo loro in quale caverna fossero vissuti tanto tempo, prima di uscirne per uccidere un marito ed un padre.

Olga mi fece un grande onore quando mi chiese di commemorare Massimo in occasione di un’iniziativa organizzata alla Sapienza. Parlai di suo marito davanti ad una scolaresca insieme a Monica Guerritore. Con Marco Biagi e ad altri giuristi, D’Antona aveva partecipato ai lavori della Commissione Giugni incaricata dal primo governo Prodi (un momento alto di impegno riformatore a cui la storia riconoscerà più meriti di quelli attribuiti dalla cronaca) di proporre una riforma della contrattazione collettiva.

Ci sono voluti anni perché quelle idee innovative, contenute nella relazione conclusiva, facessero un timido capolino nel sistema delle relazioni industriali. Magari per eclissarsi alle prime difficoltà al tempo degli Unni.

Massimo D’Antona ha pagato con la vita l’essere stato un civil servant riformista. Come Marco Biagi, del resto.

Una politica settaria e disonesta si è incaricata di fare di Marco il martire del centro destra e di Massimo quello della sinistra.

Sono invece convinto che i miei due amici, nella pace e nella serenità dei Campi Elisi, stiano seguendo insieme, con raccapriccio, le tristi vicende recenti del mercato del lavoro.

Sono altresì convinto che Massimo D’Antona non avrebbe mai consentito alla Cgil di infilarsi nella trappola dei referendum inutili e dannosi che segneranno una sua clamorosa sconfitta.

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