skip to Main Content

Mes

Da dove nascono ansia e disappunto di Draghi?

Che cosa significa la sfuriata di Draghi a von der Leyen trapelata sui giornali. L'analisi di Giuseppe Liturri

La tua proposta, Ursula, arriva sette mesi troppo tardi. Durante questi sette mesi abbiamo finanziato la guerra di Putin e svuotato le nostre casse. Ora andiamo verso una recessione. Ecco il costo di sette mesi di ritardo”. È questa la frase che, secondo quanto riportato dal quotidiano Il Foglio, Mario Draghi avrebbe rivolto ad Ursula Von der Leyen durante il vertice informale di Praga del 7 ottobre.

Troppo comodo e troppo tardi, rispondiamo noi. È una scusa per nascondere l’evidente colpevolezza di aver centellinato gli aiuti all’economia – facendo leva solo sulla redistribuzione delle crescenti entrate tributarie e su dirottamenti di voci di spesa da una destinazione all’altra – invece di sfruttare i primi mesi del 2022 per mettere fieno in cascina e poter aiutare in modo significativo famiglie ed imprese italiane. Invece, no. Tutti ad attendere mitologici prestiti europei. Draghi non può non sapere che – ammesso e non concesso che si arrivi a prestiti europei – i tempi, le condizioni e le garanzie richieste, sono incompatibili con l’urgenza necessaria.

Le bollette delle famiglie e delle imprese sono già scadute e non possono attendere mesi di trattative, peraltro legittime in una UE che vede spesso interessi contrastanti e sospetti tra gli Stati membri.

Fa specie sentire un Presidente del Consiglio invocare “prestiti europei”, come se la Repubblica Italiana avesse perso, di fatto, l’accesso ai mercati finanziari o il sostegno della Bce. Sospetto che diventa sempre più fondato, alla luce di quanto pubblicato dalla Bce e da Bankitalia negli ultimi giorni.

Partiamo dalla Bce. Da Francoforte ad agosto e settembre sono stati improvvisamente investiti da una certa repulsione verso i titoli pubblici italiani. Infatti, i reinvestimenti dei proventi dei titoli che giungono progressivamente a scadenza, hanno visto pesantemente penalizzato il nostro Paese. Il saldo netto tra rimborsi ed acquisti, che dovrebbe essere sempre intorno allo zero, perché la Bce ha smesso di eseguire acquisti netti aggiuntivi da marzo (programma Pepp) e giugno (programma Pspp), è pari a 8,3 miliardi. A peggiorare le cose c’è un aspetto che è sfuggito ai numerosi commenti che abbiamo letto sull’argomento. Quegli 8,3 miliardi sono la somma di 1,2 miliardi relativi al programma Pepp che pure dovrebbe avere una elevata flessibilità, infatti sfruttata dalla Bce a giugno/luglio con 9,7 miliardi di acquisti netti aggiuntivi. Ben 7,1 miliardi di titoli scaricati dalla Bce provengono dal programma Pspp, quello fatto partire nel 2015 da Draghi, che non ha la stessa flessibilità. In oltre 7 anni di durata del Pspp non si era mai vista una variazione mensile negativa di questa entità relativa all’Italia. Solo a settembre è stata pari a 4,3 miliardi ed hanno beneficiato di acquisti aggiuntivi i titoli francesi ed olandesi. Ci limitiamo solo a far notare la curiosa “coincidenza” che ha portato il rendimento del Btp decennale proprio nell’ultima settimana di settembre a toccare il massimo storico degli ultimi 5 anni al 4,7%. Se l’Eurotower, principale compratore di Btp da anni ormai, sparisce dal mercato, gli effetti si notano. L’importanza del programma Pspp è anche data dal suo ammontare, ben superiore a quello del Pepp, perché ha investito 2.700 miliardi, di cui circa 440 in titoli pubblici italiani. Il Pepp ha invece investito 1.661 miliardi, di cui 288 in titoli italiani.

I dati di Bankitalia – sempre relativi a fine settembre – confermano questo andamento. Infatti i titoli pubblici in portafoglio scendono in picchiata a 673 miliardi da 730 miliardi a fine giugno. Poco meno di 60 miliardi in due mesi. Il dato è altamente segnaletico perché da via Nazionale partono buona parte degli acquisti di titoli pubblici italiani, nella qualità di “filiale” della Bce. Quindi, pur riferendosi quel dato a tutti i titoli pubblici dell’eurozona oggetto di compravendita, è ragionevole dedurre che quel calo si riferisca principalmente a titoli italiani. Solo presumibili acquisti della Bce e di altre banche centrali del SEBC, hanno attenuato il saldo negativo.

Il secondo indizio, che in genere costituisce una prova, arriva dal saldo del conto disponibilità liquide del Tesoro detenuto presso Bankitalia per il servizio di Tesoreria, insomma la “cassa” del Mef.

Qui, al 30 settembre assistiamo ad un eccezionale prosciugamento di risorse, perché il saldo scende da 78 a 46 miliardi. Al Mef hanno preferito attingere dalla cassa per finanziare il fabbisogno e rimborsare titoli in scadenza, anziché emettere nuovi titoli e continuare a conservare questa preziosa riserva.

Ora si capisce meglio l’ansia ed il disappunto di Draghi.

Back To Top