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Manovra, cosa pensa Bankitalia di Flat tax e tetto al contante

Che cosa ha detto su contanti, fisco ed evasione Fabrizio Balassone, capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, nel corso dell’audizione davanti alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato sulla legge di bilancio.

 

Estratto dall’audizione tenuta da Fabrizio Balassone, capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, nel corso dell’audizione davanti alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato sulla legge di bilancio (qui il testo integrale dell’audizione):

Viene innalzata a 85.000 euro (da 65.000) la soglia di fatturato che delimita l’applicazione del regime forfetario  per i contribuenti persone fisiche che esercitano attività d’impresa, arti o professioni. Un’altra modifica al  regime riguarda la tempistica di esclusione dallo stesso, che diventa immediata se si supera la soglia di 100.000 euro di fatturato, rimanendo invece ferma all’anno di imposta successivo se il fatturato si colloca fra 85.000 e  100.000 euro. I contribuenti con redditi da impresa o lavoro autonomo che non aderiscono al regime forfetario potranno accedere, solo per il prossimo anno, a un regime sostitutivo dell’Irpef e delle relative  addizionali, con aliquota del 15 per cento applicabile a un imponibile massimo di 40.000 euro, per le sole  eccedenze dei redditi di questa natura del 2023 rispetto al più alto tra quelli dichiarati tra il 2020 e il 2022  aumentati del 5 per cento (cosiddetta flat tax incrementale). Complessivamente questi interventi  determinerebbero una riduzione delle entrate, pari a 0,3 miliardi nel 2023, 1,2 nel 2024 e 0,4 nell’anno  successivo.

Il regime forfetario, introdotto dalla legge di stabilità per il 2015, rappresenta un regime sostitutivo dell’Irpef, delle relative addizionali e  dell’IRAP (che comunque dal 2022 non è dovuta per tutti i contribuenti che possono accedere al regime forfetario); prevede rilevanti  semplificazioni ai fini dell’IVA e a fini contabili; consente infine (per gli esercenti attività di impresa) di accedere a un regime contributivo  opzionale. L’aliquota dell’imposta sostitutiva è fissata al 15 per cento e si applica a un reddito determinato forfetariamente moltiplicando il  fatturato per coefficienti di redditività differenziati sulla base del codice ATECO dell’attività esercitata. Limitatamente ai primi 5 anni di  attività, in presenza di specifici requisiti, l’aliquota è ridotta al 5 per cento. I contribuenti che aderiscono al regime forfetario non addebitano  l’IVA sulle fatture emesse (e di conseguenza non possono detrarre l’IVA sulle fatture pagate). Se esercitano attività di impresa, possono  richiedere la riduzione del 35 per cento dei contributi dovuti alla gestione INPS di competenza, con abbattimento proporzionale dei periodi  accreditati ai fini pensionistici.

I limiti di fatturato da non superare per accedere al regime forfetario sono stati oggetto di numerose modifiche nel corso degli anni. Originariamente  tali limiti erano differenziati (compresi tra 15.000 e 40.000 euro) a seconda del codice ATECO dell’attività esercitata come anche i relativi  coefficienti di redditività; con la legge di bilancio per il 2019 è stato introdotto il limite unico di fatturato a 65.000 euro per tutte le attività  (oggetto di modifica nel disegno di legge di bilancio per il 2023), mantenendo differenziati i soli coefficienti di redditività. L’altro limite da  rispettare per l’accesso al regime riguarda le spese per lavoro accessorio, lavoro dipendente e collaborazioni che, secondo la modifica introdotta  con la legge di bilancio per il 2020, complessivamente non possono superare i 20.000 euro annui. Entrambi i limiti devono essere rispettati  non solo per l’accesso ma anche per la permanenza nel regime agevolato; in caso di violazione dei requisiti, la normativa in vigore prevede che il  contribuente rientri nel regime ordinario a partire dall’anno di imposta successivo. Su questo aspetto la manovra interviene prevedendo che,  qualora il fatturato superi i 100.000 euro, l’esclusione dal regime forfetario operi immediatamente (con la decadenza anche di tutte le  agevolazioni in termini di IVA e contributi). 

L’ampliamento della platea dei contribuenti che accedono al regime forfetario restringe ulteriormente l’ambito  di applicazione della progressività nel nostro sistema di imposizione personale sui redditi, che come noto è  garantita dall’Irpef. Come già evidenziato dalla Banca d’Italia10, la sussistenza di regimi fiscali eccessivamente  differenziati tra differenti tipologie di lavoratori pone anche un rilevante tema di equità orizzontale, con il  rischio di trattare in modo ingiustificatamente dissimile individui con la stessa capacità contributiva.

Inoltre, in un periodo di inflazione elevata la coesistenza di un regime a tassa piatta, come quello forfetario, e  di un regime soggetto alla progressività, come quello dell’Irpef, comporta un’ulteriore penalizzazione per i  redditi sottoposti a quest’ultimo in quanto gli eventuali adeguamenti delle retribuzioni alla maggiore inflazione  comporteranno una quota più ampia di reddito assoggettata ad aliquota marginale più elevata (il cosiddetto  drenaggio fiscale), cui invece i contribuenti del regime forfetario non sono sottoposti.

Anche limitandosi all’area del reddito di impresa o da lavoro autonomo, il regime decisamente più favorevole  garantito al di sotto di determinate soglie di giro d’affari può condurre, come le prime evidenze empiriche  mostrano, a scelte organizzative subottimali e incentivare l’evasione per evitare l’aggravio fiscale in cui si  incorre al superamento delle stesse.

La Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva per l’anno 2022, analizzando i dati delle  dichiarazioni dei redditi per l’anno fiscale 2019, mostra che dei circa due milioni di contribuenti esercenti attività d’impresa, arti e professioni  con ricavi inferiori a 100.000 euro il 74 per cento aveva aderito al regime forfetario che, come sopra riportato, da quell’anno aveva visto  l’introduzione della soglia unica di ricavi a 65.000 come requisito di accesso. L’analisi mostra inoltre la presenza di una forte discontinuità  nella distribuzione dei contribuenti per fatturato dichiarato intorno alla soglia dei 65.000 euro nel 2019; tale discontinuità non si registrava  negli anni precedenti l’applicazione del nuovo regime forfetario.

L’introduzione della flat tax incrementale, sebbene possa attutire le differenze di trattamento tra lavoratori  autonomi e imprenditori con ricavi sotto o sopra la soglia di accesso al regime forfetario, difficilmente potrà  eliminare l’eccessiva concentrazione dei fatturati dichiarati su valori appena inferiori alla soglia. Per evitare che  la stratificazione nel tempo di regimi speciali crei ulteriori spazi per comportamenti elusivi ed evasivi occorrerebbe mirare a una riforma organica del complessivo sistema fiscale, con l’obiettivo di semplificarlo e  di accrescerne l’equità.

 Misure in materia di accertamento, contenzioso e riscossione 

Il disegno di legge include interventi che riguardano diverse fasi del rapporto tra il contribuente e  l’amministrazione finanziaria (accertamento, contenzioso e riscossione). Vengono ridotte le sanzioni (e  in alcuni casi anche le imposte dovute) e viene consentita la rateizzazione pluriennale dei versamenti.  Sono inoltre previste disposizioni per accelerare le procedure di smaltimento dei crediti tributari  inesigibili. 

Nel complesso, le misure determinano un aumento dell’indebitamento di 1,1 miliardi nel 2023 e una sua  riduzione di circa 0,8 miliardi in media nel biennio successivo. Oltre agli effetti immediati sui conti  pubblici, come più volte ricordato in passato, interventi di questo tipo – soprattutto se riproposti in forme  molto simili e in tempi ravvicinati – possono avere un effetto negativo sul rispetto delle norme tributarie  da parte dei contribuenti.  

La manovra prevede la definizione agevolata di alcune violazioni tributarie, riducendo le sanzioni e  permettendo la rateizzazione delle somme dovute. 

Per quanto riguarda le somme dovute a seguito dei controlli automatizzati delle dichiarazioni per i periodi d’imposta 2019, 2020 e  2021, le sanzioni sono ridotte al 3 per cento (imposte, interessi e altre somme sono dovuti in misura integrale) ed è possibile la  rateizzazione fino a venti rate trimestrali.  

Le violazioni formali, che non incidono sulla determinazione degli imponibili e quindi su quella delle imposte da pagare, possono essere  regolarizzate con il versamento di 200 euro per ogni annualità. Per le violazioni sostanziali riguardanti i tributi amministrati  dall’Agenzia delle entrate si prevede: 1) se non ancora contestate dagli uffici, un ravvedimento speciale, con sanzioni ridotte a un  diciottesimo di quella minima irrogabile e il versamento di quanto dovuto anche in otto rate trimestrali; 2) se già contestate, la possibilità  di definire i diversi atti del procedimento di accertamento, con sanzioni ridotte a un diciottesimo del minimo previsto e possibilità di  rateizzare le somme dovute fino a venti rate trimestrali. 

Le disposizioni ricalcano in parte quelle che erano contenute nel decreto legge n. 119 del 2018. Rispetto a queste ultime, la novità  principale riguarda la possibilità di definire anche le irregolarità emerse dai controlli automatizzati e le violazioni sostanziali non  ancora contestate. Per quanto riguarda, invece, la definizione degli altri atti dell’accertamento, il precedente intervento prevedeva  l’integrale annullamento delle sanzioni.  

È possibile regolarizzare, attraverso il versamento della sola imposta e con la possibilità di rateizzare il pagamento in un massimo di  venti rate trimestrali, l’omesso versamento di rate relative ad accertamenti con adesione e acquiescenza, nonché quelle dovute a seguito  di reclamo o mediazione e a conciliazioni giudiziali qualora non sia stata ancora notificata la cartella di pagamento o l’atto di  intimazione. 

Il disegno di legge include alcune misure straordinarie volte a ridurre il contenzioso tributario arretrato  presso le Corti di giustizia tributaria e la Corte di Cassazione. Queste disposizioni, alcune delle quali già  adottate in passato, possono facilitare l’avvio della recente riforma della giustizia tributaria. 

Viene introdotta una definizione agevolata delle controversie tributarie con il versamento (in tutto o in parte) degli importi contestati al  contribuente in primo grado (valore della lite), senza pagare sanzioni e interessi di mora. È dovuto l’intero importo del valore della lite  in caso di soccombenza in entrambi i gradi di giudizio o in secondo grado; il 90 per cento nel caso in cui il giudizio sia in primo grado;  il 40 per cento se è intervenuta una sentenza di primo grado favorevole al contribuente; il 15 per cento in caso di sentenza favorevole in  secondo grado; il 5 per cento in caso di sentenza favorevole in entrambi i gradi. L’importo così definito può essere rateizzato in un  massimo di venti rate trimestrali. 

La definizione agevolata delle controversie è stata adottata già diverse volte negli anni passati; la misura attuale replica quella prevista  dal decreto legge n. 119 del 2018. Per i giudizi pendenti in Cassazione, essa si affianca, con un ambito di applicazione più esteso, a  quella prevista dalla legge n. 130 del 2022 relativa alle controversie pendenti innanzi alla Corte al 15 luglio 2022.  

In alternativa alla definizione agevolata, sono previste la conciliazione agevolata delle controversie pendenti in primo e secondo grado e  la rinuncia a seguito di definizione transattiva dei giudizi pendenti in Cassazione, con la riduzione delle sanzioni a un diciottesimo del  minimo previsto (e il pagamento integrale delle somme dovute per le imposte, gli interessi e gli altri oneri accessori) e, nel caso di conciliazione agevolata, la rateizzazione di quanto dovuto in un massimo di venti rate trimestrali. La definizione transattiva, che  prevede un vero e proprio accordo tra le parti, rappresenta uno strumento nuovo che potrà concorrere alla riduzione delle liti tributarie  pendenti in Cassazione (alla fine del 2021 queste ultime erano pari al 42,6 per cento di tutto il contenzioso civile pendente presso la  Suprema Corte). Il successo della conciliazione agevolata e della definizione transattiva dipenderà dall’effettiva disponibilità degli uffici  a ridurre l’imponibile oggetto di pretesa, in caso contrario risulterà più conveniente la definizione agevolata delle controversie.  

In materia di riscossione, viene prevista la definizione agevolata delle cartelle esattoriali (cosiddetta  “rottamazione”) e l’annullamento di quelle fino a 1.000 euro (cosiddetto “stralcio”), con misure pressoché  identiche a quelle adottate nel 2018 (decreto legge n. 119 del 2018)

Infine un ulteriore insieme di interventi mira ad accelerare lo smaltimento dei crediti tributari di fatto  inesigibili ma che comportano rilevanti oneri amministrativi. Questo consentirebbe di liberare risorse  umane e materiali e di aumentare l’efficienza della riscossione. 

La normativa vigente prevede che l’agente della riscossione, attraverso la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità, informi gli  enti impositori dell’irrecuperabilità dei crediti affidatigli a partire dalle posizioni riguardanti gli anni più recenti; secondo l’attuale  calendario, la procedura si dovrebbe concludere nel 2042 con il discarico dei crediti sorti nel 2000. Il disegno di legge di bilancio prevede  un diverso calendario che, a partire dai crediti più remoti, dovrebbe concludersi nel 2032. Un’ulteriore accelerazione dovrebbe derivare  dalla disposizione che consente all’agente della riscossione di presentare in ogni momento, anche prima delle scadenze sopra indicate, le  comunicazioni di inesigibilità, al ricorrere di determinate situazioni (ad esempio indisponibilità o insufficienza di beni passibili di  esecuzione o prescrizione dei crediti). 

 Interventi in materia di strumenti di pagamento 

Il disegno di legge prevede che dal prossimo gennaio la soglia massima per l’utilizzo del contante nelle transazioni, attualmente pari a 2.000 euro, venga innalzata dal livello previsto per allora dalla legislazione  vigente – pari a 1.000 euro – a 5.000 euro. Introduce inoltre un limite, pari a 60 euro, al di sotto del quale  non si applicherebbero le sanzioni per gli esercenti che non accettano mezzi di pagamento elettronici.  

La “rottamazione” prevede il pagamento, rateizzabile in diciotto rate, delle somme dovute a titolo di capitale e il rimborso  delle spese esecutive e di notifica, mentre lo “stralcio” comporta la completa cancellazione di tutte le somme dovute, a qualsiasi  titolo.

Tali misure, contrariamente a quanto complessivamente accaduto negli ultimi anni, vanno nella direzione  di agevolare l’utilizzo del contante.  

Nel maggio del 2010 la soglia è stata ridotta a 5.000 euro (da 12.500), poi dimezzata nell’agosto 2011 e infine abbassata a 1.000  euro a partire dal gennaio 2012. Innalzata a 3.000 euro dal gennaio 2016, la soglia è stata successivamente ridotta a 2.000 euro dal 1 luglio 2020 e, a legislazione vigente, ne è prevista un’ulteriore riduzione a 1.000 euro a partire dal 1o gennaio 2023. 

Il decreto legge n. 152 del 6 novembre 2021 prevedeva una sanzione nei casi di mancata accettazione di un pagamento, di qualsiasi  importo, effettuato con una carta di pagamento. La sanzione, pari a 30 euro più il 4 per cento del valore della transazione, sarebbe  stata applicata a partire dal 1° gennaio 2023. Il decreto legge n. 36 del 30 aprile 2022 anticipava tale termine al 30 giugno 2022.  

A livello europeo, mentre in alcuni paesi (tra i quali la Germania) non è prevista alcuna soglia massima  per l’ammontare delle transazioni in contanti, in altri sono previsti tetti inferiori a quello indicato nel  disegno di legge (500 euro in Grecia, 1.000 in Francia e in Spagna, 3.000 in Belgio). Rispetto al 2016 la  percentuale di transazioni operate con il contante è diminuita in Italia – anche per effetto della pandemia– rimanendo comunque al di sopra della media europea.  

Secondo le statistiche dell’Eurosistema sui pagamenti al dettaglio, alla fine del 2019 il numero di transazioni elettroniche annuali pro  capite in Italia era pari a circa 130, valore considerevolmente inferiore a quello medio dell’area dell’euro (quasi 300). Simmetricamente,  secondo i dati della survey Study on the Payment Attitudes of Consumers in the Euro area la percentuale di transazioni  regolate in contanti era pari a circa l’80 per cento, in linea con Spagna, Portogallo e Grecia ma superiore a quella media dell’area  dell’euro (73 per cento).  

Come già ricordato in passato, i limiti all’uso del contante, pur non fornendo un impedimento assoluto  alla realizzazione di condotte illecite, rappresentano un ostacolo per diverse forme di criminalità ed  evasione. In particolare, negli ultimi anni sono emersi studi – anche condotti nel nostro Istituto su dati  italiani– che suggeriscono che soglie più alte favoriscono l’economia sommersa; c’è inoltre evidenza  che l’uso dei pagamenti elettronici, permettendo il tracciamento delle transazioni, ridurrebbe l’evasione  fiscale.  

Anche le Raccomandazioni specifiche per l’Italia formulate dalla UE nell’ambito del semestre europeo  muovono da tale presupposto. Nello specifico, nel 2019 si suggeriva all’Italia di “contrastare l’evasione  fiscale, in particolare nella forma dell’omessa fatturazione, tra l’altro potenziando i pagamenti elettronici obbligatori, anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti”. La  definizione di efficaci sanzioni amministrative in caso di rifiuto dei fornitori privati di accettare pagamenti  elettronici era inclusa tra i traguardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza relativi al primo semestre  di quest’anno. 

Con riferimento agli oneri legati alle transazioni effettuate mediante strumenti di pagamento elettronici è  opportuno ricordare che anche il contante ha costi legati alla sicurezza (come quelli connessi con furti,  trasporto valori, assicurazione). Nostre stime relative al 2016 indicano che, per gli esercenti, il costo del  contante in percentuale dell’importo della transazione è superiore a quello delle carte di debito e credito. 

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