Ursula von der Leyen, la già ministra della Difesa tedesca ora accreditata per diventare presidente della Commissione europea, la rilasciato ieri alcune dichiarazioni che stanno facendo il giro del mondo: “Mi batterò per il salario minimo europeo”.
Anzitutto, per la sua elezione – fissata per martedì prossimo a Strasburgo – servono almeno 375 voti che al momento non ci sono: von der Leyen spera nell’appoggio dei Verdi che, tuttavia, non paiono così convinti di sostenerla.
Il punto vero però della questione è che la dichiarazione sul salario minimo europeo pare più un’“operazione simpatia” – come qualcuno l’ha definita – che una vera e propria possibilità concreta: come si fa, infatti, a fissare un parametro valido per tutti gli sSati quando, per esempio, il salario minimo legale in Belgio, Germania e Irlanda è oltre i 9 euro all’roa e in Slovacchia, Romania e Polonia non arriva ai 3 euro? Facciamo una media e lo fissiamo a 6 euro? Cosi impoveriamo i lavoratori tedeschi e arricchiamo quelli polacchi ammazzando le imprese in cui lavorano?
Il fatto è che da diversi anni qualcuno cavalca questa idea che, in realtà, apre ad un problema titanico: quale futuro di politica economico-fiscale per un’Unione che al momento è solo monetaria? È impensabile nel breve periodo uniformare queste politiche tra gli Stati membri.
Il lavoro è una delle priorità per l’Europa tutta, soprattutto per l’area mediterranea in cui gli indicatori occupazionali sono i più preoccupanti (Italia, Spagna, Grecia e Francia). Forse la cosa più sensata in questo momento potrebbe essere quella di un piano che rilanci politiche serie di inclusione sociale.
Twitter: @sabella_thinkin