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Financial Times

Lo sapete che il liberista Financial Times propone piani statalisti?

Con un solo editoriale, il Financial Times è passato dalla Thatcher a Keynes, dal liberismo al neo-statalismo, che sembra ispirarsi anche al solidarismo di tipo socialdemocratico. L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

Come sarà l’Europa dopo il Coronavirus e l’inevitabile crisi economica e sociale che ne seguirà? Davvero «niente sarà come prima»? Oppure sarà «tutto come prima»?

Tra gli appelli e i manifesti su questo tema circolati negli ultimi giorni, spicca per l’originalità e il coraggio un editoriale del Financial Times, il quotidiano più letto e seguito dalle classi dirigenti europee, considerato la Bibbia del liberismo di mercato. Per decenni, questo giornale è stato l’interprete più autorevole del motto predicato a suo tempo da Margaret Thatcher, «la società non esiste, esistono gli individui», con tutto quel che segue nel rifiuto sistematico dell’intervento dello Stato. «Meno Stato e più privato» sono così diventati la religione economica del liberismo europeo, Italia compresa.Ma ora, rispetto a questa credo culturale, il Financial Times ha deciso di compiere un secco dietrofont, con un articolo firmato dal proprio comitato editoriale, dal titolo: «Virus lays bare frailty of the social contract» (Il virus mette a nudo la fragilità del contratto sociale). Ecco i passaggi salienti: «Se c’è una piccola consolazione nella pandemia di Covid-19, è che ha iniettato un senso di solidarietà nelle società colpite. Ma il virus e le chiusure economiche necessarie per combatterlo hanno anche acceso una luce abbagliante sulle disuguaglianze esistenti, e addirittura ne creano di nuove. Oltre a sconfiggere la malattia, la grande prova che tutti i paesi dovranno affrontare sarà presto se gli attuali sentimenti di unità verso uno scopo comune daranno forma a una società anche dopo la crisi. Come i leader occidentali avevano imparato nella Grande Depressione, e dopo la Seconda guerra mondiale, per chiedere un sacrificio collettivo devi offrire un contratto sociale a beneficio di tutti».

Dunque, urge un nuovo contratto sociale, da dopoguerra. Ma quale? Scrive il Financial Times: «La crisi odierna sta rivelando fino a che punto le nostre società ricche non sono all’altezza di questo ideale. I governi prendono misure per evitare i fallimenti di massa e fare fronte alla disoccupazione di massa. Ma nonostante gli appelli nazionali, non siamo davvero tutti nella stessa barca. La chiusura dei settori economici pesa di più su quelli che già stavano peggio. In un attimo, milioni di posti di lavoro e salari di sussistenza sono stati persi nei settori del turismo, alberghiero e tempo libero, mentre i lavoratori con una conoscenza meglio retribuita spesso affrontano solo il fastidio di lavorare da casa. Peggio ancora va per coloro che svolgono lavori a basso costo, e ancora possono lavorare, spesso rischiando la vita, come operatori sanitari, badanti, impilatori di scaffali, autisti per consegne, donne delle pulizie».

Più avanti: «Quei paesi che hanno consentito il consolidarsi di un mercato del lavoro precario, irregolare, in nero, ora trovano particolarmente difficile incanalare aiuti finanziari ai lavoratori con questi impieghi insicuri. Per contro, l’allentamento monetario da parte delle banche centrali soccorre i ricchi. Mentre i servizi pubblici sotto-finanziati scricchiolano sotto il peso delle politiche anticrisi. Il modo con cui facciamo la guerra al virus favorisce alcuni a spese di altri. I morti di Covid-19 sono in gran parte vecchi, ma le più grandi vittime del lock-down sono i giovani e gli attivi, a cui viene chiesto di sospendere la loro istruzione e di rinunciare a entrate preziose. I sacrifici sono inevitabili, ma ogni società deve dimostrare come risarcirà coloro che sopportano il carico più pesante degli sforzi nazionali».

A questo punto, ecco il clamoroso dietrofront culturale: «Dovranno essere messe sul tavolo riforme radicali, invertendo la politica prevalente degli ultimi quattro decenni. Gli Stati dovranno accettare un ruolo più attivo nell’economia. Si dovranno considerare i servizi pubblici come investimenti piuttosto che passività, e cercare i modi per rendere i mercati del lavoro meno insicuri». Di più: «La redistribuzione della ricchezza sarà di nuovo all’ordine del giorno; i privilegi degli anziani e dei ricchi messi in questione. Le politiche fino a poco tempo fa considerate eccentriche, come il reddito di base e le imposte patrimoniali, dovranno essere nel mix». Se non fosse già chiaro abbastanza, significa: più tasse sui consumi, imposte patrimoniali su case e risparmi, tagli alle pensioni degli anziani sopravvissuti al Covid-19, e così via. Più Stato, meno mercato.

(articolo pubblicato su Italia Oggi; qui la versione integrale)

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