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L’inflazione si allarga a macchia d’olio, ecco come e perché

I dati Istat sull'inflazione analizzati da Giuseppe Liturri

 

Ad agosto la crescita dei prezzi al consumo non accenna a rallentare. Anzi, tocca nuovi massimi. L’indice NIC cresce del 8,4% su agosto 2021 (7,9% il dato di luglio) e del 0,8% su luglio 2022. L’indice armonizzato IPCA (misura da utilizzare per i confronti internazionali) mostra lo stesso aumento su base mensile ed un aumento del 9% su base annuale. Incrementi che non si vedevano dal 1985.

Protagonisti dell’aumento sono ovviamente i beni energetici regolamentati e non, ormai stabilmente attestati su una crescita annua intorno al 44-47%. Di rilievo la crescita dei prezzi dei beni alimentari lavorati (10,5%) e dei beni di consumo durevoli (3,9%). Decisamente più contenuta la crescita dei servizi, che è pari al 3,7% (3,6% la precedente rilevazione), comunque in crescita.

L’indice che esclude i prodotti energetici e gli alimentari freschi – la cosiddetta inflazione “di fondo” depurata cioè delle componenti più volatili – sale del 4,4% dal 4,1% di luglio.

Ed è proprio quest’ultimo l’elemento più preoccupante perché segnala che, da tempo, non siamo più in presenza di un fenomeno che investe un singolo comparto, ma che l’onda lunga originatasi dai prodotti energetici ha ormai toccato tutti i settori.

Si tratta di quello che gli economisti definiscono come “second round effect”. Dove agli effetti diretti ed indiretti sugli aumenti dei prezzi di una determinata categoria di prodotti (ad esempio quelli energetici), si cumula anche l’aumento dei prezzi degli altri beni, i cui produttori cominciano a scaricare sui rispettivi consumatori i loro aumenti dei costi. Si innesca così una spirale di aumenti molto persistente e potenzialmente capace di durare anche ben oltre lo shock dei prezzi dei prodotti energetici che l’ha fatta partire. Centrale in questo effetto domino è il ruolo dei salari, che sono il prezzo del lavoro. I percettori di reddito fisso sono i primi ad essere incisi dagli aumenti ed è ragionevole aspettarsi una stagione di aumenti salariali che, a sua volta, si tradurrà in maggiori prezzi richiesti ai consumatori per recuperare i margini erosi dai maggiori costi. Ad oggi tali pressioni non sono evidenti ma, dato che ormai il “second round effect” è partito, è ragionevole attendersi tensioni anche su questo fronte, pur essendo decisiva la struttura del mercato del lavoro nel determinare l’esito finale.

A questo punto la parola è alle banche centrali, che si vedono quasi obbligate a fare qualcosa. Cioè aumentare i tassi e mandarci in recessione, sperando di ottenere qualcosa sul fronte dei prezzi.

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