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Piattaforma Lavoro

Le nuove regole hanno ridotto la precarietà del lavoro. Analisi Ref

L’analisi dell’economista Fedele De Novellis, responsabile di Congiuntura Ref, sull'andamento del lavoro in Italia

L’andamento dell’occupazione deve essere letto anche alla luce dei cambiamenti intervenuti nella normativa, e in particolare delle restrizioni sui contratti a termine introdotte dal decreto Dignità, convertito in legge ad agosto 2018 (riduzione della durata massima, reintroduzione delle causali, aumento dei costi e limiti quantitativi), di cui alcune estese anche ai contratti di lavoro in somministrazione.

In particolare, dalla fine del 2018 i dipendenti permanenti hanno ripreso ad aumentare; nel secondo trimestre dell’anno in corso la variazione positiva dell’occupazione dipendente (+0.5 per cento nel confronto tendenziale) è unicamente da attribuire ai contratti stabili (+0.7 per cento), mentre il lavoro a termine ha subito una contrazione dello 0.5 per cento.

Si può così parlare di un parziale avvicendamento delle forme contrattuali: se il 2018 era stato l’anno del boom dei contratti a termine, nel 2019 la tendenza diventa maggiormente a favore del tempo indeterminato, grazie principalmente ad un’accelerazione delle trasformazioni dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a carattere permanente.

Gli stessi dati Istat sulle transizioni da una condizione occupazionale all’altra a 12 mesi di distanza evidenziano che tra i dipendenti a termine da un lato si è ridotta la permanenza nell’occupazione, dall’altro sono aumentate in misura cospicua le transizioni verso il lavoro dipendente a tempo indeterminato. In un anno la probabilità di rimanere occupato per chi aveva iniziato un rapporto di lavoro a termine è infatti passata dal 62.8 al 58.6 per cento, mentre quella di transitare verso l’occupazione a tempo indeterminata è salita dal 15 al 23 per cento. Tali andamenti si leggono ancora meglio considerando i dati amministrativi Inps sui flussi di assunzione, cessazione e trasformazione dei contratti di lavoro.

Nei primi otto mesi dell’anno in corso il saldo dei rapporti a tempo indeterminato è risultato positivo (+366 mila nuovi contratti), sospinto essenzialmente dalla crescita delle stabilizzazioni, quasi raddoppiate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (530 mila contro 359 mila). La crescita delle trasformazioni di rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato osservabile a partire dall’inizio del 2018 è attribuibile a diversi fattori. Il trend crescente si è avviato dal primo trimestre dello scorso anno riflettendo inizialmente, oltre che l’impatto dell’esonero contributivo per i giovani fino a 34 anni in vigore da gennaio, anche l’incremento fisiologico dovuto al forte allargamento della platea di contratti a tempo determinato avvenuto tra il 2017 e il 2018.

Nel quarto trimestre 2018 e nella prima parte dell’anno in corso l’ulteriore robusta spinta alle trasformazioni è riconducibile agli effetti del decreto Dignità, che ha in vari modi disincentivato il ricorso ai contratti a termine. L’accelerazione delle trasformazioni è stata utilizzata per evitare sia il superamento dei 24 mesi, sia l’apposizione di causali in caso di proroghe oltre i 12 mesi o di rinnovi, e i maggiori costi contributivi connessi. Le imprese così facendo hanno probabilmente anticipato delle trasformazioni che sarebbero avvenute più avanti se fosse rimasta in vigore la vecchia normativa.

Questo effetto “anticipo”, tuttavia, è destinato ad esaurirsi nel medio-lungo periodo; in effetti, già nel secondo trimestre 2019 la variazione tendenziale delle trasformazioni si è riportata sui valori del secondo trimestre 2018. In definitiva l’introduzione del decreto Dignità sembra avere sortito gli eff etti sperati. Non solo, dopo l’introduzione delle norme più stringenti sul lavoro temporaneo non si è verificato un aumento della probabilità di transitare verso la disoccupazione o l’inattività. Il risultato è significativo, considerando la fase ciclica sfavorevole, che avrebbe invece potuto sollecitare le imprese a ridurre gli organici a partire proprio dai contratti più flessibili.

Va comunque anche segnalato che una parte di tali buoni risultati sembra riflettere più che altro la reazione degli operatori ai mutamenti nella normativa, con una ricomposizione nelle forme di inquadramento. In particolare, l’irrigidimento determinato dalla nuova normativa ha avuto considerevoli effetti anche sul lavoro in somministrazione, visto che la legge ha esteso al rapporto tra l’agenzia e il lavoratore la disciplina del contratto a tempo determinato. Come successivamente chiarito in una specifica circolare, non scatta invece alcuna limitazione se la missione di lavoro riguarda lavoratori assunti a tempo indeterminato dal somministratore: in detta situazione, gli stessi possono essere inviati in missione sia a tempo indeterminato che a termine presso gli utilizzatori senza obbligo di causale o limiti di durata. Le assunzioni in somministrazione erano cresciute ininterrottamente dal 2013 al 2017, in parte perché si tratta di una tipologia di lavoro fortemente pro-ciclica e in parte anche come conseguenza dell’abolizione dei voucher avvenuta a marzo 2017. Nel corso del 2018 il flusso di assunzioni ha subito una battuta d’arresto, e nella prima parte del 2019 si è registrata un’inversione di tendenza con una riduzione di circa 260 mila assunzioni rispetto allo stesso periodo del 2018.

Parallelamente si è osservato un trend nettamente crescente per quanto riguarda le trasformazioni da rapporti di lavoro in somministrazione verso il tempo indeterminato, probabilmente effettuate dall’agenzia di somministrazione stessa. Utilizzando i microdati della rilevazione Istat sulle forze di lavoro che permettono di individuare gli occupati in somministrazione (misurati in termini di teste), distinti in base al tipo di contratto (a termine o indeterminato), si osserva che all’inizio dell’anno questi risultavano essere circa 170 mila, in calo del 20 per cento su base annua: una contrazione interamente dovuta alla componente a termine (-71 mila unità), dato che i lavoratori interinali a tempo indeterminato sono invece cresciuti (+28 mila unità nello stesso periodo). Ad ogni modo, gli effetti della nuova regolazione sul tempo determinato potranno essere valutati compiutamente nei prossimi mesi, una volta che agenzie somministratrici e imprese utilizzatrici avranno completato l’adattamento al nuovo ambiente istituzionale. Dal lato della disoccupazione, nella prima metà dell’anno in corso le persone in cerca di occupazione sono diminuite di 190 mila unità rispetto allo stesso periodo del 2018, e il tasso di disoccupazione ha seguito lo stesso andamento portandosi dal 10.7 al 9.8 per cento, al netto della stagionalità. Questo risultato si è prodotto grazie al lieve aumento dell’occupazione e a un ripiegamento della forza lavoro.

Il numero di persone inattive è infatti tornato ad aumentare, confermando non solo il meccanismo di vaso comunicante fra i due bacini, ma anche il fatto che la ripresa dell’inattività potrebbe prefigurare un segnale di sfiducia, e quindi il riaccendersi dell’effetto “scoraggiamento” nel cercare lavoro, collegato alla fase di stagnazione economica in atto. Gli stessi trend relativi a disoccupazione e inattività si riscontrano anche nei dati mensili più recenti. È esattamente il contrario di quanto ci si attendeva sarebbe potuto accadere con il reddito di cittadinanza. La conferma di questo quadro è stata evidenziata anche nella nota di aggiornamento del Def, dove si sottolinea che dai dati dell’indagine sulle forze di lavoro non emerge ancora pienamente l’incremento del tasso di partecipazione che sarebbe dovuto scaturire dall’adesione al reddito di cittadinanza e dal conseguente patto per il lavoro. Secondo l’ultimo monitoraggio dell’Inps i nuclei familiari che hanno presentato domanda di reddito o pensione di cittadinanza sono stati finora 1.5 milioni, inferiori alle attese; il 64 per cento delle domande sono state accolte, il 27 per cento sono state respinte, mentre le restanti sono ancora in fase di lavorazione. I nuclei familiari percettori nello specifico del Rdc sono circa 825 mila, con 2.1 milioni di persone coinvolte.

Per quanto riguarda le politiche attive, ci sono evidenti ritardi dal momento che a sette mesi dall’avvio dei pagamenti del Rdc, solo dall’inizio di settembre sono partite le prime chiamate dei centri per l’impiego alla platea di circa 700 mila “occupabili” individuati tra quanti beneficiano del Rdc.  Alla luce di queste considerazioni, nei prossimi trimestri il rientro della disoccupazione potrebbe subire una battuta d’arresto, complice il rallentamento della crescita occupazionale e un’espansione della forza lavoro. La ricerca attiva di un impiego potrebbe coinvolgere un numero crescente di persone attualmente fuori dalla forza lavoro se la seconda fase di implementazione del Rdc, quella delle politiche di attivazione al lavoro dei beneficiari ritenuti “occupabili”, inizierà effettivamente ad ingranare. Tenendo conto di questi fattori stimiamo che il tasso di disoccupazione nel 2019 si attesterà sul 10 per cento in media d’anno per poi salire intorno al 10.3 per cento l’anno prossimo. Il numero di persone occupate in media d’anno registrerà un +0.9 per cento, mentre nel 2020, se l’economia non riparte, la dinamica dell’occupazione si abbasserà rispetto a quest’anno.

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