Tra le polemiche più o meno sterili degli ultimi due decenni c’è stata anche la contrapposizione fra economia reale ed economia finanziaria. E forse era inevitabile. La supremazia conquistata dai mercati finanziari ha finito per essere considerata quasi una minaccia per le attività produttive. Bolle speculative e strumenti abbastanza spericolati come i derivati hanno suscitato una legittima diffidenza. Passata la stagione degli eccessi della finanza si può finalmente dire che la contrapposizione non ha ragione di esistere. Senza le banche e le borse l’economia reale non andrebbe da nessuna parte. E così è stato anche in passato. Lo dimostra Paolo Zannoni con “Moneta e promesse. Sette storie di banchieri che hanno plasmato il mondo” (Rizzoli, 336 pagine, 20 euro). E senza dubbio è un approccio tanto originale quanto intrigante per raccontare la vera storia dell’economia. Basta dire che non si sarebbe mai costruita la Torre di Pisa se nel XII secolo non ci fosse stata una innovativa attività finanziaria. L’Opera del Duomo, che aveva l’incarico di realizzare la nuova cattedrale, era però a corto di capitali. E per un ente cattolico era tassativamente proibito ricorrere al debito perché, almeno formalmente, l’usura è un peccato. La maniera per reperire i finanziamenti fu trovata attraverso un complesso sistema di transazioni commerciali. L’arrivo dei soldi venne considerato un miracolo e non a caso i pisani battezzarono piazza dei Miracoli quella antistante il duomo. Ma fu soprattutto l’inizio di una fiorente attività bancaria ed è proprio a Pisa nei secoli successivi che nasce il corporate banking. In altre parole, nel Trecento avevano già compreso che le banche sono un supporto alle imprese.
La storia continua con un’altra grande repubblica marinara. Venezia ha esigenze diverse. I capitali sono indispensabili per costruire navi e cannoni con cui difendere i suoi possedimenti nel Mediterraneo orientali che sono d’importanza vitale per l’economia della Serenissima. Gli intrecci fra la Zecca e il Banco Giro sono la formula per avviare a soluzione il problema. Un altro capitolo di “Moneta e promesse” si svolge a Napoli nel periodo della dominazione spagnola. E in questo caso è la riscossione delle imposte a far nascere nuove forme di attività bancaria. Il viaggio nel tempo di Zannoni prosegue negli Stati Uniti e in pratica è il racconto della nascita del dollaro ed è Alexander Hamilton, l’ex aiutante di campo di George Washington poi diventato segretario del Tesoro, a comprendere pienamente l’esigenza di quella che diventerà la moneta più potente del mondo. Ancora più sorprendente è la concezione sovietica della banca. Dopo la conquista del potere con la rivoluzione d’ottobre, non è più uno strumento bieco del capitalismo. Lenin vuole una sola banca ovviamente statale e non esita a definirla l’ossatura portante del socialismo. Alla fine, pare evidente che “Moneta e promesse” ha la rara caratteristica di raccontare l’economia in maniera gradevole.