Non si ferma la diffusione della peste suina africana (Psa) in Italia. Di settimana in settimana aumenta il numero dei focolai tra i suini domestici ed è molto difficile quantificare il numero di cinghiali infetti che trasportano il virus. Di conseguenza proseguono anche gli abbattimenti che, però, stanno mettendo in ginocchio l’intera industria italiana, con effetti negativi sia per il mercato nostrano sia per l’export.
I NUMERI DEL SETTORE
L’Italia, come riferito da Confagricoltura, ospita circa 8,7 milioni di suini domestici e quasi 50.000 persone sono impiegate nell’industria dei prodotti suini. Stando alle statistiche ufficiali, le vendite di prosciutto, salsicce e altri prodotti derivati generano un fatturato di circa 8,2 miliardi di euro all’anno. Per Coldiretti, secondo quanto riportato da Repubblica, “fra produzione e indotto il valore complessivo del comparto raggiunge 20 miliardi di euro, con 100mila posti di lavoro”.
Tuttavia, l’epidemia di peste suina, la peggiore del Paese dagli anni ’60, sta minacciando l’intera industria e il sostentamento dei lavoratori del comparto. “C’è solo una parola che può descrivere lo stato d’animo degli allevatori in questo momento: terrorizzati”, ha detto al Financial Times Rudy Milani, presidente di FNP Suini di Confagricoltura. “Siamo in un mare grosso con un vento forte, questo è certo. Dobbiamo sopravvivere alla tempesta”.
I NUMERI DEGLI EFFETTI DELLA PESTE SUINA
Confagricoltura stima che la peste suina sia costata finora agli allevatori di suini 40 milioni di euro in perdite dirette e 75 milioni di euro in perdite indirette da quando il virus è stato rilevato per la prima volta nel gennaio 2022.
Da allora, la mancanza di rapidi ed efficaci interventi però ha contribuito a una maggiore diffusione della malattia, che negli ultimi mesi ha raggiunto livelli preoccupanti. Ad agosto le autorità sanitarie hanno quindi imposto il divieto di trasporto di suini vivi all’interno di una zona di contenimento di 21.000 kmq nel cuore della produzione suinicola dell’Italia settentrionale, lasciando centinaia di allevatori con circa 700.000 animali indesiderati, che rappresentano il 7-8% della produzione annuale di suini in Italia.
Da metà luglio, inoltre, sono stati abbattuti in Italia più di 50.000 suini, a causa del virus rilevato in più di 25 allevamenti di Lombardia ed Emilia-Romagna.
Infine, per quanto riguarda l’export, sebbene per il nuovo commissario straordinario nominato per gestire l’emergenza, Giovanni Filippini, “la situazione è complessa, ma definirla drammatica è esagerato”, Milani ribatte che “il commissario parla dal punto di vista tecnico, ma sul piano commerciale siamo vicini al baratro”.
“L’export sta andando a picco – afferma il presidente di FNP Suini di Confagricoltura -. Registriamo perdite fra 20 e 30 milioni al mese, dall’inizio dell’epidemia abbiamo subito danni per più di mezzo miliardo”.
LA DIFFICILE GESTIONE DEI CINGHIALI
Oltre agli abbattimenti dei suini domestici, Filippini ha ribadito che l’Italia ha urgentemente bisogno di ridurre la sua enorme popolazione di cinghiali, che sono stati e sono tuttora i principali portatori del virus. Questi animali, precisa il Financial Times “si erano quasi estinti in Italia alla fine del XIX secolo, ma sono stati reintrodotti negli anni Cinquanta per soddisfare la domanda dei cacciatori sportivi e oggi sono stimati in 1 milione-1,5 milioni”.
Ora, per far fronte al problema, 177 soldati italiani, supportati da droni dotati di termocamere, sono stati dispiegati per aiutare a seguire i movimenti dei cinghiali nella zona cuscinetto tra la regione colpita e le aree in cui il virus non è stato rilevato. E Confagricoltura afferma che, stando agli impegni presi dal governo, le misure restrittive sono accompagnate da un piano di abbattimento per ridurre dell’80% i cinghiali nei prossimi cinque anni.
La decisione ha tuttavia incontrato una forte resistenza da parte della lobby venatoria – “desiderosa di mantenere il fascino dell’Italia come destinazione per i ricchi cacciatori sportivi stranieri”, scrive il FT – e degli ambientalisti. Ma anche il team di emergenza veterinaria dell’Unione europea, che dopo una missione nel nord Italia all’inizio di luglio ha bocciato il nostro Paese per la gestione dell’emergenza, ha messo in guardia dall’abbattimento di massa, che potrebbe spaventare i cinghiali e indurli a migrare altrove, diffondendo ulteriormente il virus. Secondo gli esperti dell’Ue, l’Italia dovrebbe invece “stanziare urgentemente più denaro e personale per costruire recinzioni che impediscano ai cinghiali infetti di spostarsi in nuove aree, come la Toscana”.
CHI PAGA GLI INDENNIZZI?
Come scrive Repubblica, “c’è poi il capitolo degli indennizzi diretti e indiretti. I primi, riservati agli allevatori che hanno subito il sequestro e l’abbattimento degli animali infettati dal virus, sono di competenza del ministero della Salute. Gli indennizzi indiretti, riconosciuti alle aziende agricole cui sono state imposte restrizioni perché ricadenti nella fascia di contenimento, devono essere liquidati dal ministero dell’Agricoltura. Su quest’ultimo versante, le aziende denunciano ritardi nella liquidazione dei ristori, che risultano fermi a novembre 2023. Gli operatori del settore non vogliono rassegnarsi al peggio e chiedono al governo un deciso cambio di passo”.