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Landini

La mia verità su assistenza e previdenza

L'intervento di Giuliano Cazzola

 

Ho letto sbigottito l’articolo di Pietro Gonella sulla separazione tra previdenza ed assistenza. Ormai ho imparato a non stupirmi più del gioco delle tre carte in cui si esercitano i sindacati per imbrogliare i conti del sistema pensionistico, come se bastasse spostare una cifra da una partita del bilancio pubblico ad un’altra per risolvere il problema della sostenibilità del sistema stesso; come se noi fossimo tanto stupidi da fornire ad Eurostat dei dati sbagliati allo scopo di mortificare l’Inps.

Ma quando mi imbatto in una persona che vuole spiegare l’esigenza della separazione con argomenti tecnici, mi sento offeso, perché questa idea balzana ha lo stesso valore scientifico del “terrapiattismo”. E questa non è l’opinione di uno studioso che contrasta l’arroganza altrui con la propria, ma che si sforza di attenersi alle norme, alle regole della contabilità e alle fonti ufficiali. Cominciamo da queste ultime.

Il Comitato tecnico incaricato dal governo, su input dei sindacati, di approfondire il tema della separazione della previdenza dall’assistenza ha concluso i suoi lavori con un documento che ricostruisce i termini del problema e arriva ad una conclusione – tra le tante approfondite e corrette – che dovrebbe fare testo e spazzare via dal dibattito una operazione truffaldina come quella che appunto passa come separazione della previdenza dall’assistenza (o viceversa) che potrebbe consentire all’Italia di ridare la verginità ad un sistema pensionistico che l’ha perdita da un pezzo.

Prima di spiegare le conclusioni del Comitato è opportuna qualche premessa. Tanto intensa è stata la campagna che l’idea della separazione è assurta nell’empireo dei luoghi comuni, che vengono accettati come verità assolute. È la solita storia: quando si pretende di avere soluzioni semplici per problemi complessi, si fa sempre bella figura.

Infatti, quale è la tesi dei “separatori”: mandiamo a Bruxelles solo la percentuale (sul Pil) di quella che è – secondo loro – la spesa pensionistica purificata (Gonella usa l’aggettivo “pura”) da quella per l’assistenza (2% circa di Pil) e torniamo ad avere le carte in regola rispetto alle critiche che ci rivolgono.

Ma le statistiche si compilano secondo regole comuni e concordate in sede Eurostat. Infatti, il documento del Comitato chiarisce quali sono i criteri dell’Eurostat per calcolare la spesa pensionistica. E seguendo questi criteri che emergono i dati anomali del nostro sistema. In teoria, si possono adottare regole diverse, ma lo si deve fare uniformemente, assieme agli altri. Ma l’argomento fondamentale per smentire i separatisti è un altro. Che cosa è considerata assistenza secondo la Costituzione?

Leggiamo il comma 1 dell’articolo 38: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. È evidente che – proprio per la loro natura – le prestazioni che sono riconosciute ai cittadini in quelle condizioni sono a carico della fiscalità generale. Da noi il concetto si è rovesciato: è assistenza (lo scrive anche Gonella) tutto ciò che viene finanziato dal bilancio dello Stato e non dalle risorse provenienti dalla contribuzione sociale.

Il ragionamento corretto è ancora un altro: la spesa pensionistica – per una serie di motivi – è finanziata in parte con la contribuzione della produzione e in parte con trasferimenti dal bilancio dello Stato, che sono entrate regolari come i contributi, perché è la legge che prevede che talune prestazioni o parte di esse siano coperte con risorse provenienti dalla fiscalità generale. Se così non fosse, se bastasse il finanziamento tramite trasferimenti per far divenire assistenza ciò che era previdenza, alla luce della massiccia fiscalizzazione di contributi sociali che viene annunciata (in misura di 18 miliardi) allo scopo di ridurre il cuneo, si dovrebbe concludere che anche le pensioni transiterebbero dall’empireo della previdenza allo scantinato dell’assistenza.

Il punto è ben chiarito nel documento della Commissione. “La Commissione concorda sul fatto che il canale di finanziamento delle prestazioni (contributi sociali o fiscalità generale) non può essere utilizzato come criterio per la quantificazione della spesa previdenziale per una duplice ragione:

i) nulla osta che una spesa di carattere previdenziale sia finanziata attraverso imposte invece che con contributi, come dimostra anche la comparazione europea (e lo stesso caso italiano, ad esempio in presenza di forme di sgravi contributivi);

ii) in Italia la fiscalità generale finanzia anche voci chiaramente di natura previdenziale, come si osserva dal bilancio della GIAS, la “Gestione degli Interventi Assistenziali e di Sostegno alle Gestioni Previdenziali”, istituita dall’art. 37 della legge n. 88 del 1989 nell’ambito del bilancio dell’INPS.

Più in generale, l’intervento della fiscalità generale tramite il fondo GIAS e il sistema di anticipazioni di tesoreria a cui periodicamente attinge l’INPS ha come finalità quella di finanziare/ripianare gli squilibri finanziari dell’ente preposto all’erogazione delle prestazioni piuttosto che dare copertura finanziaria alle singole prestazioni. A conferma di ciò, la Commissione evidenzia un dato che il dibattito italiano non sembra tenere nel debito conto: nel 2019 i contributi sociali hanno coperto una quota della spesa previdenziale pari solamente al 76,3%, proseguendo una tendenziale riduzione della sua copertura nel corso degli ultimi anni”.

Pertanto è scorretto affermare che è aumentata la spesa per l’assistenza; la verità è che – per varie ragioni – è aumentato l’apporto dei trasferimenti per finanziare la spesa pensionistica. Un altro motivo taglia la testa al toro: LA SEPARAZIONE È GIÀ STATA FATTA.

Il principio della separazione tra assistenza e previdenza ha trovato attuazione nella legge n. 88/1989 che ha riformato in tal senso la struttura del bilancio dell’Inps. In particolare – oltre alla Gestione delle prestazioni temporanee, che eroga le prestazioni contro la disoccupazione involontaria, la Cig ordinaria, gli assegni al nucleo familiare, l’assistenza alla malattia e alla maternità, nell’ambito del Comparto dei lavoratori dipendenti – venne istituita (art. 37) la già ricordata Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno al reddito (GIAS) che divenne il collettore degli apporti dal bilancio dello Stato a quello dell’Inps.

Così, una serie di prestazioni (pensioni sociali, agevolazioni contributive, prepensionamenti, quota parte per ciascuna mensilità di pensione, ora anche agevolazioni agli esodati, ecc.) furono poste a carico dello Stato, il quale si accollò anche l’onere di ripianare il debito accumulato dall’Istituto (17.650 miliardi di lire nel 1986 a copertura del disavanzo patrimoniale al 31 dicembre della Cig e a copertura parziale dei disavanzi patrimoniali al 31 dicembre 1986 del Fpld e della Gestione Coltivatori diretti (Cdcm) per 20mila miliardi di lire nel 1987 e 40mila nel 1998). Così, già dal 1989 i bilanci delle gestioni Inps furono predisposti secondo le nuove direttive, che prevedevano una ricomposizione funzionale delle attività con riferimento alla loro natura previdenziale o non previdenziale.

Per mostrare l’influenza delle nuove regole lo stesso Inps formulò una simulazione assai interessante dimostrando che in un eventuale rendiconto per il 1989, redatto secondo i previgenti criteri, la previdenza – intesa come la somma di tutte le gestioni previdenziali – anziché avere un saldo attivo di 155 miliardi di lire (come risultava in conseguenza della riforma della struttura del bilancio) – avrebbe avuto un passivo di oltre 11mila miliardi di lire. A sua volta, l’intervento a carico dello Stato anziché avere un passivo di 10mila miliardi, avrebbe avuto un attivo di 1.200 miliardi di lire.

Va riconosciuto, tuttavia, che gli effetti della legge n. 88/1989 furono importanti nel determinare – sia pure ope legis – un processo di risanamento del bilancio Inps, sia attraverso l’istituzione del Comparto dei lavoratori dipendenti che, accorpando Fpld e Gpt, finiva per compensare le passività del primo con il saldo attivo della seconda e per realizzare un risultato complessivo positivo; sia grazie alla GIAS che aveva il compito di raccogliere le prestazioni più critiche, poste a carico della fiscalità generale.

Sulla via della separazione tra previdenza ed assistenza vanno segnalati due interventi molto importanti: il primo contenuto nella legge n. 449/1997 (la Finanziaria per il 1998); il secondo nella legge n. 448/1998 (la Finanziaria per il 1999).

Nel primo caso, a seguito di un negoziato del Governo Prodi con le organizzazioni sindacali, furono ridisegnati i confini tra due settori, spostando nel campo dell’assistenza (e quindi del finanziamento di natura fiscale), oltre ad ulteriori trasferimenti (per 1.773 miliardi di lire) e all’adeguamento degli oneri di cui all’articolo 37 legge n. 88/89 (per 664 miliardi di lire), la copertura degli oneri delle pensioni d’invalidità ante 1984 (per 6mila miliardi di lire), degli oneri delle pensioni Cdcm ante 1989 (per 3.782 miliardi di lire). Venne, altresì, stabilito che lo Stato avrebbe garantito la copertura piena alla GIAS, la quale da allora in poi sarebbe stata, per definizione, in pareggio. Così è avvenuto.

La legge n. 448 dell’anno successivo fece il resto, nel senso che stabilì il superamento della pratica delle anticipazioni di tesoreria, usate al posto dei trasferimenti dovuti e sancì la cancellazione (articolo 35) del debito pregresso accumulato a tale titolo dall’Inps.

Si trattò di un’operazione che toglieva di mezzo un debito contabile di 160mila miliardi di lire. Il bilancio dell’Inps ricevette un notevole beneficio, in termini di risultato d’esercizio, per effetto della integrale finanziamento della GIAS; quanto alla situazione patrimoniale passò da un dato negativo di 99mila miliardi di lire nel 1997 ad uno positivo di 24mila miliardi di lire al 31.12.1998 per effetto dell’articolo 35 della legge n. 448/1998 che stabilì che le anticipazioni di tesoreria concesse dallo Stato all’Inps fino al 31.12.1997 dovessero essere riconosciute ex post in trasferimenti definitivi.

In seguito confluirono nella GIAS altre prestazioni (esempio: il ripiano del Fondo FS – che costituisce senza ombra di dubbio una istituzione previdenziale – viaggia nell’ordine di oltre 4 miliardi di euro l’anno) man mano che i relativi compiti erano trasferiti all’Inps. Al dunque, dopo quest’insieme di operazioni che hanno lasciato il segno nella contabilità nazionale, è sempre più difficile attribuire, in via di principio, una prestazione al settore dell’assistenza piuttosto che a quello della previdenza secondo i canoni dell’articolo 38 Cost.

Si può riconfermare, allora e senza tema di smentita, che oggi le prestazioni assistenziali vengono considerate tali non in base alla loro natura, ma se il loro finanziamento è a carico della contribuzione oppure dei trasferimenti dello Stato. Ma sotto questo aspetto la fiscalità generale si è già sobbarcata oneri considerevoli. In poche parole: potremmo dire che “ha già dato”. Le si chiede di dare di più di quanto si è aggiunto in tutti questi anni (si veda il pacchetto Ape, la c.d. quattordicesima, ecc.) e di mettere a carico dei trasferimenti dal bilancio dello Stato tutto ciò che il bilancio dell’Inps non riesce a coprire? Non è proibito.

Nel ‘98 si andò oltre quanto era stato concordato nel ’89. Ma almeno si chiamino le cose con il loro nome. E non si contrabbandi per assistenza quella che è comunque spesa pensionistica, al solo scopo di rappresentarne una minore incidenza sul Pil. Non è l’assistenza a gravare sulla previdenza. È quest’ultima a ricevere un aiuto dall’altra, attraverso bonifici dal bilancio dello Stato. La scheda sottostante tratta dall’VIII Rapporto di Itinerari Previdenziali indica l’ammontare degli apporti che lo Stato trasferisce alla Gias, per il sono ambito previsto dalla legge n° 88 del 1989, che potremmo definire la “madre” della separazione.

L’importo a carico della GIAS per l’anno 2019 (citiamo questi dati per comodità di consultazione, ma nei bilanci successivi la sostanza non cambia), trasferito alle gestioni a copertura degli oneri pensionistici, pari a 78.428 milioni di euro, è relativo: alle gestioni pensionistiche per 37.961 milioni di euro ai quali si debbono aggiunge 11.495 milioni delle gestioni ex INPDAP; copertura delle spese per gli assegni sociali, le pensioni sociali e le relative maggiorazioni erogate nell’anno per 4.720 milioni; gli oneri pari a 18.459 milioni di euro destinati alla Gestione degli Invalidi civili e 4.555 milioni di € relativi ai deficit di esercizio delle gestioni dei dipendenti di alcuni Fondi Speciali INPS ( spedizionieri doganali, addetti alle imposte di consumo, lavoratori portuali di Trieste e Genova e lavoratori ex FF.SS.); altre spese.

Gli interventi della GIAS in materia pensionistica costituiscono, sulla base del quadro normativo vigente, l’approccio al complesso tema della separazione tra previdenza e assistenza realizzato attraverso i seguenti interventi:

a) assunzione di quote dei trattamenti pensionistici in carico alle singole gestioni relative a particolari periodi non coperti da contribuzione o con contribuzione ridotta, al fine di favorirne l’equilibrio economico-finanziario;

b) assunzione diretta del carico pensionistico di alcune categorie di trattamenti (pensioni erogate ai CDCM ante 1989; prestazioni alle dipendenti del soppresso ENPAO; pensioni di invalidità ante l. 222/1984 e altro);

c) erogazione diretta di prestazioni assistenziali relative agli invalidi civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, quattordicesima mensilità e importi aggiuntivi. oneri pensionistici mantenimento del salario interventi a sostegno della famiglia prestazioni economiche derivanti da riduzioni di oneri previdenziali sgravi di oneri sociali e altre agevolazioni interventi diversi reddito di cittadinanza e pensione di cittadinanza.

Tra gli interventi che inizialmente la legge 88/1989 e successivamente i molti provvedimenti intervenuti in materia hanno posto a carico della GIAS, di seguito si evidenziano i principali per importanza e rilevanza economica:

• Quota parte di ciascuna mensilità di pensione il cui onere – al netto delle quote erogate ai pensionati del pubblico impiego in carico alle gestioni ex INPDAP per 2.491 milioni – ha raggiunto i 21.409 milioni di euro, a fronte dei 20.967 registrati nel 2018;

• Quota parte delle pensioni di cui all’art. 1, legge n. 59/1991 (pensioni d’annata), pari a 506 milioni di euro, in flessione rispetto ai 567 milioni del 2018; • Prestazioni aggiuntive art. 5, della legge n.127/2007 (quattordicesima mensilità) pari a 1.595 milioni di euro, in flessione rispetto ai 1.689 milioni dell’anno precedente;

• Quota parte delle pensioni di invalidità ante l.222/1984 per un valore di 5.444 milioni di euro, rispetto ai 5.332 milioni del 2018; ecc.

Tra i principali interventi che inizialmente la L. 88/1989 e successivamente i molti provvedimenti intervenuti in materia hanno posto a carico della GIAS, si evidenziano di seguito per l’importanza e la rilevanza economica:

• Quota parte di ciascuna mensilità di pensione erogata il cui onere – al netto delle quote erogate ai pensionati del pubblico impiego in carico alle gestioni ex INPDAP per 2.388 milioni – ha raggiunto i 20.516 milioni di euro, a fronte dei 20.328 registrati nel 2016;

• Quota parte delle pensioni di cui all’art. 1, L. 59/1991 (pensioni d’annata), pari a 630 milioni di euro, in flessione rispetto ai 705 milioni del 2016;

• Prestazioni aggiuntive art. 5, l. 127/2007 (quattordicesima mensilità) pari a 1.777 milioni di euro, in aumento rispetto agli 894 milioni dell’anno precedente;

• Quota parte delle pensioni di invalidità ante L. 222/1984 per un valore di 5.217 milioni di euro, rispetto ai 5.171 milioni del 2016;

• Pensionamenti anticipati pari a 1.915 milioni di euro, in crescita rispetto ai 1.666 milioni del 2016, di cui 827 milioni relativi alle rate di pensione delle salvaguardie per gli esodati (dalla 2° all’8°, poi alla 9°).

Ovviamente, con la logica per cui lo Stato si accolla con trasferimenti (che costituiscono entrate ordinarie al pari dei contributi) le prestazioni prive di copertura o dotate di copertura inadeguata, nulla vieta che si individuino, altre misure affidate alla copertura dei trasferimenti, ma non si venga a raccontare che quella maggiore spesa che viene comunque dedicata al quantum delle pensioni, se riesce ad essere etichettata come assistenza, diventa leggera e asessuata come gli angeli. Sparisce dai conti della spesa.

Sembra che abbiano l’onore di definirsi “previdenziali” solo le prestazioni delle gestioni sorrette dalla contribuzione sociale (è un ragionamento solo teorico perché è dubbio che ne esistano ancora) è una pura invenzione. Il comma 4 dell’articolo 38 recita infatti: “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”.

Pare proprio che sia secondario sapere chi paga. Con buona pace del signor Pietro Gonella.

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