Il metodo tradizionale della Cina di stimolare la crescita quando necessario o desiderato (ad esempio, dopo la crisi finanziaria globale del 2008) ha prodotto benefici a catena in tutta l’economia globale. La Cina ha aperto il rubinetto del credito per stimolare gli investimenti pubblici e privati, questi ultimi particolarmente concentrati nel settore immobiliare. Hard commodities e i beni strumentali necessari per sostenere questi investimenti hanno di conseguenza dato una spinta agli esportatori di materie prime, come Cile, Brasile e Australia, e di beni strumentali, come quelli della Germania e dell’Europa orientale.
L’attuale ripresa della Cina sta assumendo una forma completamente diversa. Il Paese non solo sta sperimentando rendimenti decrescenti dal suo modello guidato dagli investimenti, ma sta anche affrontando la fine del boom delle esportazioni legato al blocco globale. Di conseguenza, la ripresa farà sempre più affidamento sui consumatori cinesi. Tuttavia, i dati recenti mostrano che la ripresa dell’attività di vendita al dettaglio in termini reali è già in fase di stallo e ancora molto al di sotto del trend precedente al 2020: l’esatto contrario della ripresa statunitense. Questo contrasto non sorprende, dato che i consumatori cinesi hanno ricevuto un sostegno di stimolo molto inferiore a quello delle famiglie statunitensi o europee e le loro risorse limitate sottolineano lo stato alterato dell’attuale ripresa cinese.
GLI EFFETTI GLOBALI
L’aumento contenuto dell’attività di consumo della Cina è stato accompagnato da una moderazione dei suoi indicatori tradizionali di investimento, come la domanda di hard commodities, tra cui il rame, il minerale di ferro e il cemento, e dell’attività commerciale con l’Europa.
Se da un lato i consumatori cinesi possono fornire un certo sostegno al greggio e alle materie prime alimentari, dall’altro la loro attenzione per gli investimenti immobiliari potrebbe aver fatto il suo naturale corso. Dopo anni di enfasi, le famiglie cinesi possiedono il maggior numero di immobili su base comparativa internazionale e, di conseguenza, il mercato immobiliare del Paese è diventato il più costoso al mondo. Date le questioni di sostenibilità derivanti da queste dinamiche immobiliari, le autorità cinesi hanno dato un giro di vite agli investitori immobiliari con una leva eccessiva nell’ambito della loro politica delle “Tre Linee Rosse” durante l’apice della pandemia. Questo tempismo ha probabilmente esacerbato il massiccio shock che ha colpito il settore in tutto il Paese, incidendo pesantemente sulla percezione della ricchezza dei consumatori e mandando in frantumi il loro concetto di proprietà come riserva di valore. A sua volta, l’avvio dell’edilizia abitativa è diminuito drasticamente, con una performance di gran lunga peggiore rispetto al mercato immobiliare statunitense, rappresentando una fonte di preoccupazione continua per gli investitori.
Osservando il quadro degli eventi, le autorità cinesi hanno lanciato un’iniziativa al Congresso del Partito Comunista dell’ottobre 2022 per rilanciare il settore con vari incentivi. Tuttavia, ciò ha prodotto solo miglioramenti temporanei ai margini (ad esempio, il completamento di edifici già avviati) e la domanda sembra già indebolirsi a metà dell’anno ancora in corso. È improbabile che il mercato immobiliare cinese riceva un sostegno significativo dal mercato del lavoro, che è peggiorato in modo significativo, soprattutto per i giovani e per i laureati. Infatti, il tasso di disoccupazione giovanile è salito a un picco storico di oltre il 20% – questo prima che oltre 10 milioni di nuovi laureati entrino nel mercato del lavoro alla fine dell’estate del 2023.
PERCHÉ NON USARE IL METODO COLLAUDATO?
I punti precedenti sollevano la questione del perché la Cina non torni ai metodi di ripresa economica già sperimentati. In linea di massima, i rendimenti ridotti e i rischi crescenti di questi metodi hanno reso le autorità riluttanti a perseguirli. Partendo dal livello macro, inondando ripetutamente l’economia di credito, la Cina si è posta in un dilemma ciclico di debito. Un rapporto debito/PIL di circa il 300%, con un tasso d’interesse medio intorno al 5%, produce una spesa annua per interessi pari al 15% del PIL, a fronte di un tasso di crescita del PIL nominale del Paese che di recente è stato del 6%-8%. Pertanto, da un punto di vista creditizio fondamentale, la spesa annua per interessi della Cina è doppia rispetto alla crescita organica del PIL: non è mai una bella storia quando un mutuatario deve contrarre ulteriore debito solo per pagare gli interessi.
Tuttavia, i fattori di crescita a medio termine della Cina appaiono sempre più deboli, in quanto costituiti da un eccesso di capacità manifatturiera e da un deterioramento della demografia in presenza di un rapido invecchiamento della popolazione. Un modo per valutare questi fattori di crescita è la produttività totale dei fattori, ossia l’efficacia con cui un Paese utilizza le proprie risorse per generare crescita. Questa misura è diminuita rapidamente in Cina negli ultimi 10 anni.
Dato che i principali fattori fondamentali della crescita cinese a medio termine si stanno indebolendo, la nostra previsione del PIL per il 2024 indica una moderazione al 4,5% che probabilmente continuerà. Nell’arco di cinque anni, la crescita del Paese potrebbe avvicinarsi al suo potenziale, leggermente inferiore al 4%, per poi ridursi a meno del 3% nei prossimi 10 anni.
Per quanto riguarda la sfera geopolitica, le crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti hanno certamente un peso nella nostra visione. Gli sviluppi nel Mar Cinese Meridionale forniscono un esempio del perché non vediamo un miglioramento delle condizioni a breve. Se la leadership cinese considera il Paese come una potenza globale emergente – ritornando a una posizione che occupava in epoca preindustriale – questa proiezione è evidente a livello regionale nell’espansione navale e nella costruzione di isole nel Mar Cinese Meridionale, che è un’importante rotta di navigazione globale. Tuttavia, gli Stati Uniti e i loro alleati regionali continuano a opporsi a questa espansione. Questi punti di vista non allineati – la convinzione della Cina di avere il diritto di rafforzare la propria presenza regionale e le intenzioni degli Stati Uniti di mantenere le norme internazionali del secondo dopoguerra – sono alla base dell’escalation delle tensioni.
In un contesto economico, la tensione geopolitica è evidenziata dal crescente divario tecnologico tra la Cina e gran parte del mondo sviluppato, che esita sempre più a condividere con la Cina i progressi e i dati. Sebbene la Cina rappresenti un mercato importante, il divario espone la Cina al rischio di diventare un’isola tecnologica e di dati, con le relative implicazioni per la crescita.
CONCLUSIONI
Con il perdurare del dibattito e dell’incertezza sulla direzione dell’economia globale, la Cina non sarà più il motore della crescita che traghetterà l’economia mondiale in generale fuori da ogni stagnazione. Nel medio termine, infatti, l’indebolimento dei fondamentali e l’enfasi sui consumi interni potrebbero comportare un ritmo di crescita che converge rapidamente con il mondo sviluppato.
Questo ci porta a due ulteriori punti in cui ci aspetteremmo meno cambiamenti, contrariamente a quanto sostenuto da gran parte dell’opinione pubblica. Il primo riguarda l’idea che le iniziative di quasi delocalizzazione siano sul punto di prosciugare la domanda manifatturiera cinese. Sebbene esista un eccesso di capacità produttiva, la struttura economica della Cina l’ha resa la fabbrica del mondo e questo non si sbloccherà rapidamente. Chi indica altre basi produttive, come il Vietnam o il Messico, che potrebbero registrare un aumento della domanda di produzione, dovrà di conseguenza importare più componenti dalla Cina per soddisfare tale domanda.
Il secondo punto riguarda la prospettiva che, con il tempo, lo yuan cinese sostituisca il dollaro statunitense come valuta di riserva mondiale. Ma per far sì che una valuta lo faccia, è necessario che i capitali circolino liberamente. Le misure che la Cina dovrà adottare per gestire il suo carico di debito – in particolare la riduzione dei tassi d’interesse, con la conseguente resistenza dello yuan – richiedono controlli sui capitali, per evitare che la fuga di capitali diventi un rischio sempre più tangibile. In effetti, il conto capitale della Cina è strettamente controllato, il che non è qualcosa a cui gli investitori globali sono abituati, o che desiderano, quando impiegano capitali all’estero. Pertanto, per il prossimo futuro, lo yuan non rappresenta una minaccia per il primato del dollaro, soprattutto se la ripresa della Cina assume una forma diversa da quelle del passato.