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Inflazione

La Bce lotta contro l’inflazione o favorisce la Germania?

Cosa succede all'inflazione? In Germania sale, mentre in Francia, Italia e Spagna cala. E la Bce cosa fa? Per lottare contro l'inflazione, continuerà ad alzare i tassi... L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Non si vedevano da tempo misure dell’inflazione così diverse da Paese a Paese nell’eurozona. Dopo anni in cui la Germania è stata l’alfiere della moderazione salariale, con conseguenti rilevanti guadagni di competitività verso i partner europei, i dati arrivati tra mercoledì e venerdì ci descrivono un mondo diverso. Sono Italia e Spagna ad avere un’inflazione più bassa di quella tedesca. Ma non solo, i due Paesi mediterranei hanno un trend in discesa, mentre la Germania a giugno ha fatto segnare un lieve rimbalzo.

Su base annuale, a Berlino l’indice armonizzato dell’inflazione è risalito da 6,3% a 6,8%, a Madrid è sceso dal 2,9% al 1,6% ed a Roma da 8% a 6,7%. L’inflazione al netto di alimentari ed energia (cosiddetta “core”) è risultata rispettivamente pari a 5,8% (5,4% a maggio), 5,9% (6,1% a maggio), 5,6% (5,8% a maggio).

Oggi sono arrivati i dati francesi che, in scia ad Italia e Spagna, confermano il trend discendente dell’inflazione, con l’indice armonizzato sceso a giugno al 5,3% (6% a maggio).

Poche ore dopo sono stati i pubblicati i dati relativi all’Eurozona, dove l’inflazione è scesa al 5,5% (da 6,1% a maggio). Il dato escludendo alimentari ed energetici si è attestato al 5,4% da 5,3% di maggio. Segno di una persistenza del fenomeno di inflattivo soprattutto nel settore servizi.

Numeri che complicano ulteriormente il già difficile compito della Bce nella gestione dei rialzi dei tassi di interesse. Quale inflazione dovranno combattere quei rialzi? Quella tedesca? Ma perché colpire anche Francia, Spagna ed Italia? Sono solo gli ultimi nodi al pettine, che ormai da più di 20 anni intercetta tutte le contraddizioni strutturali dell’eurozona.

Ma perché ci sono variazioni così rilevanti e diverse tra questi Paesi? Dipende quasi tutto da come hanno gestito gli interventi per mitigare l’impatto della crisi energetica partita nell’autunno 2021 e poi esplosa nella primavera-estate del 2022 a causa dell’invasione russa in Ucraina.

Per esempio, in Germania, tra giugno ed agosto 2022 sono stati concessi eccezionali sconti sui trasporti ferroviari, e quindi oggi è normale che, rispetto a quei livelli di prezzi contenuti, si registri un lieve aumento.

Quindi la Bce non dovrebbe trarre dal dato tedesco motivazioni per ulteriori rialzi dei tassi. La Spagna, non dipendente dal gas russo e con rilevanti forniture dal nord Africa e via nave con il GNL, è stata tra i primi Paesi capaci di contenere l’impatto dei rialzi prezzi energetici. Ed ecco che oggi registra variazioni ampiamente negativi nei prezzi dei prodotti energetici, in grado di abbassare drasticamente l’indice generale.

In Italia, la variazione nulla di giugno su maggio dell’indice nazionale NIC è la risultante della spinta verso l’alto di variazioni significative dei prodotti alimentari, dei servizi legati all’abitazione, del settore ricettivo e ristorazione e del settore mobili e articoli per la casa. Tutte le altre divisioni di spesa crescono meno dell’indice generale.

Osservando gli andamenti per tipologia di prodotto, spicca il calo dei prodotti energetici non regolamentati. Gli alimentari crescono ancora a doppia cifra (+11%, da 11,4%), calo che nasconde la compensazione tra l’incremento di quelli non lavorati (+9,6% da +8,8%) ed il decremento di quelli lavorati (+11,9%, da +13,2%). È confortante che l’inflazione nel settore dei servizi cominci a manifestare segnali di rallentamento, così come, già da tempo, sta accadendo a tutti i beni.

È ancora più interessante guardare le cose in prospettiva. Infatti, se nei prossimi mesi ci fossero variazioni mensili nulle, come accaduto a giugno, ad ottobre potremmo già misurare un’inflazione pari al 1,4%. Come accaduto in Spagna e quindi ben al di sotto dell’obiettivo indicato dalla Bce.

È la potenza dell’effetto base. Infatti la variazione annuale sarà misurata rispetto ad una base dell’indice di prezzi che ad ottobre scorso fece registrare un rilevante incremento, e quindi quello “scalino” ad ottobre non si leggerà più.

Siamo quindi nella situazione in cui il “motore” dei prezzi energetici, che aveva fatto partire l’onda lunga degli aumenti degli altri beni e dei servizi, si è spento e che, con un fisiologico ritardo, anche quest’ultima onda lunga si sta esaurendo. Certo, restano ancora sacche di resistenza in alcuni servizi (ristorazione, ricettività, abitativi) dove la concorrenza fatica ad operare come fattore di livellamento, ma sembra proprio che, a meno di altri shock esterni, la spirale dei prezzi abbia smesso di avvitarsi all’insù.

Ora la palla è alla Bce. Che continua a fare esibizioni muscolari guardando però l’economia dallo specchietto retrovisore. Infatti, dopo 400 punti base di aumento dei tassi in meno di dodici mesi, il settore manifatturiero in Europa si è fermato e, come detto, pure i prezzi dei servizi stiano trovando un nuovo equilibrio. Allora che senso ha aumentare ancora i tassi, ammesso e non concesso che siano pienamente efficaci di fronte a rialzi dei prezzi partiti da uno shock di prezzi esogeno che è rientrato ma di cui bisogna gestire ora le conseguenze sugli altri settori? Forse per far dimenticare di essere restati a dormire fino a luglio 2022, dopo ben 10 mesi di variazioni congiunturali che si ritenevano “transitorie”, salvo accorgersi mesi dopo che lo shock di prezzi si era trasmesso a tutti i settori dell’economia?

La Bce rischia di fare come quell’arbitro che – per compensare un rigore negato – ne assegna uno inesistente. Ma purtroppo non stiamo giocando a calcio.

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