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Recovery Plan

La Bce di Draghi aiuterà l’Italia per evitare rischi alle banche francesi

L'analisi di Fabio Dragoni e Antonio Maria Rinaldi

Affermando che «la mancanza di disciplina fiscale nei Paesi ad alto debito aumenta la loro vulnerabilità a shock esterni sia che siano originati dalla messa in discussione dell’euro o da contagi esterni», Mario Draghi si è di fatto messo al riparo da ogni futura critica di Germania e Olanda. Potrà ben dire di avere rampognato il Belpaese. I casi di Spagna e Irlanda sono lì a dimostrarlo perché pur avendo rapporti di debito pubblico contenuti al di sotto del 60% del pil, sono state fra le prime economie a entrare in crisi dopo il 2008. Ancora a maggio 2018 Irlanda e Spagna risultavano aver ricevuto sostegno finanziario dagli altri partner europei (fra cui l’Italia) in misura rispettivamente pari a 68 e 41 miliardi. Ma Draghi doveva pur correre in soccorso della Commissione Ue da settimane impegnata in uno sterile confronto con il governo italiano a colpi di improvvide dichiarazioni spesso rese a mercati aperti e quindi tali da condizionare la dinamica dei rendimenti dei nostri titoli.

Nessuno può tuttavia negare che è la mancanza esplicita e continuamente ripetuta di una garanzia da parte di Francoforte a rendere i titoli di Stato dell’eurozona intrinsecamente fragili esponendoli al teorico rischio di controparte, sconosciuto invece a tutti gli altri bond governativi come quelli di Usa, Regno Unito o Giappone. Acquistando i quali si potranno correre rischi di mercato (dovuti ad avverse dinamiche dei tassi) o di valuta (dovuti a sfavorevoli andamenti dei cambi), ma non certo il rischio di non veder onorato alla scadenza quel credito potendo i governi debitori contare sul controllo nell’emissione della propria valuta. L’innalzamento dei rendimenti dei Btp rappresenta insomma una formidabile arma di pressione con cui Bruxelles sta provando a forzare la mano del governo nella stesura di una legge di bilancio diversa rispetto a quella presentata. Peccato che questa arma sia ormai quasi del tutto spuntata. Il rischio contagio (al momento escluso) è infatti lì pronto a esplodere.

Nessuno potrà premere il grilletto sul nostro debito pari a oltre quattro volte quello di Lehman Brothers. Il solo ipotizzare sostegni equiparabili a quelli spagnoli e irlandesi per il nostro Paese prefigurerebbe importi elevatissimi: 58 miliardi se ricevessimo in proporzione al pil gli aiuti della Spagna e oltre 530 miliardi se ci paragonassimo all’Irlanda. Somme al di fuori di qualsiasi capacità contributiva a meno che non si dia mandato alla Bce di stampare denaro ad libitum finendo quindi per distruggere ogni possibile disciplina interna.

Ma è osservando i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali che scopriamo come vi siano creditori, quali per esempio le banche francesi, esposti nei confronti della nostra economia (governo, banche, imprese e famiglie) per quasi 320 miliardi di dollari a fronte di mezzi propri per circa 480 miliardi. Quanto basta per mettere a tappeto pure l’economia dei cugini francesi che con un’esposizione nei confronti dell’economia greca, circa quattro volte più bassa, hanno di fatto rischiato l’osso del collo nel 2012. Riuscirono allora a imporre con la compiacenza dell’allora governo Monti un salvataggio collettivo praticamente consistito nell’acquisto di quei crediti anche da parte nostra. Il tutto grazie ai finanziamenti dei vari fondi salva stati ad Atene serviti esclusivamente a rimborsare alle banche francesi e tedesche quei crediti incautamente elargiti alla Grecia. Riuscirono in pratica a scaricare i loro errori gestionali sul conto del condominio europeo e ancora oggi l’Italia risulta aver versato oltre 58 miliardi a quella causa persa. Somme che difficilmente torneranno nelle nostre tasche.

E poiché Draghi ha ben presente più di ogni altro quale rischio atomico potenziale sui bilanci delle banche francesi possa essere il debito italiano fuori controllo, ecco che mentre rampogna il nostro governo ha di fatto implicitamente lasciato la porta aperta a un possibile ulteriore accomodamento della politica monetaria arrivando financo a mettere in cantiere un eventuale prolungamento del Qe. Il tutto con la scusa ufficiale di dover fronteggiare un’inflazione media dell’eurozona ben al di sotto dell’obiettivo del target del 2%.

Quell’arma spuntata dello spread e della conseguente solvibilità del debito pubblico nei confronti dell’Italia, il cui governo sembra godere del consenso politico della larghissima maggioranza dell’elettorato, è semmai capace di generare perversi sconquassi nei bilanci delle banche francesi e di tutta l’eurozona. Serve acqua per spegnere l’incendio (il proseguimento del Qe) e una scusa a modo (l’inflazione bassa dell’eurozona intorno all’1%) pur continuando a redarguire l’Italia. A Draghi il riconoscimento che è praticamente riuscito a tenere insieme tutto questo.

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