Anche a febbraio, l’Italia continua a primeggiare in Europa sul fronte dell’inflazione.
Infatti, per il quinto mese consecutivo fa registrare una crescita dei prezzi largamente inferiore a quella di Germania, Francia ed a quella media dell’Eurozona.
L’indice armonizzato (HICP) – che è l’unico da osservare quando si fanno comparazioni internazionali, per non rischiare di paragonare mele con pere – a febbraio ha fatto registrare una crescita del 0,9%, contro il 2,6%, 2,7% e 3,1%, rispettivamente di Eurozona, Germania e Francia. Distanze significative, come si vede.
Ma quello che sembrava inizialmente un fatto sostanzialmente attribuibile all’impennata dei prezzi energetici ed alla loro successiva repentina discesa, col passare dei mesi, sta diventando sempre più chiaro che è un primato derivante dall’andamento generalizzato di molte categorie di beni e servizi.
Proprio il dato di febbraio, ci offre un quadro in cui la spinta ribassista dei prezzi energetici si sta progressivamente attenuando ma viene compensata dalla significativa riduzione dell’inflazione dei prodotti alimentari (sia lavorati che non lavorati).
Altrettanto significativa è la discesa della cosiddetta inflazione di fondo o “core”(quella al netto di energia e alimentari freschi, in genere le componenti più volatili). In Italia, l’indice HICP passa dal 3% di gennaio al 2,7% di febbraio, mentre in Eurozona si attesta al 3,3% dal 3,6% di gennaio. Anche su questo fronte – molto più rilevante per le valutazioni della Bce – la differenza è significativa.
Febbraio porta buone notizie anche per l’andamento dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa” (beni alimentari, per la cura della casa e della persona) che scende ampiamente dal 5,1% al 3,7%. Allo stesso modo i prodotti ad alta frequenza d’acquisto, che pesano per il 40% sul paniere complessivo, registrano un’inflazione in discesa dal 3,5% al 2,9%.
Si tratta di variazioni molto importanti proprio perché fanno registrare un evidente beneficio per i consumatori appartenenti alle fasce a più basso reddito.
Questi dati preliminari di febbraio non fanno altro che girare il coltello nella piaga del rapporto tra la Bce e l’economia del nostro Paese. Infatti, se l’indice generale è più basso della media dell’Eurozona da “soli” 5 mesi, l’indice di fondo è più basso da ben prima.
Questo significa che la nostra inflazione è stata prevalentemente determinata dalla fluttuazione abnorme dei prezzi energetici ed ha interessato in minor misura il restante paniere di beni e servizi, che ha invece manifestato un andamento molto più moderato rispetto al resto dell’eurozona, Germania e Francia.
Considerato lo scarso impatto della Bce sull’andamento dei prezzi dei beni energetici, al nostro Paese è stata inflitta dalla Bce una “cura” non adatta, proprio perché la nostra inflazione – come dimostrato – si è gonfiata e sgonfiata da sola, seguendo le dinamiche dei prezzi di gas, energia e petrolio.
Più passano i mesi, più questo divario si aggrava, perché la cura dei tassi Bce continua ad essere somministrata a dose piena. Infatti i tassi Euribor a 1-3-6 mesi – su cui si basano tutti i finanziamenti a tasso variabile – non accennano a muoversi al ribasso.
Fino a quando sarà tollerabile questa situazione, anche e soprattutto dal governo di Giorgia Meloni che deve rifinanziare ogni mese qualche decina di miliardi di titoli pubblici in scadenza?