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Consiglio

Tutti i casini nel bilancio dell’Unione europea

Bilancio dell'Unione europea: problemi, sfide e incognite. L'analisi di Giuseppe Liturri

Il Consiglio Europeo straordinario di giovedì scorso pare sia stato dominato dal braccio di ferro tra il premier ungherese Viktor Orban e gli altri leader. Ma questa è stata solo la cortina fumogena che ha impedito di ragionare sulle oggettive difficoltà del bilancio della UE a reggere le tante, troppe, sfide che sta raccogliendo negli ultimi anni. Troppe cose da fare e poche risorse finanziarie su cui far leva, con i fondi russi sequestrati nel mirino.

Ma questa che sembrava una nostra azzardata interpretazione, nata dopo aver letto le conclusioni della riunione, è ormai convinzione diffusa anche presso autorevoli quotidiani, Come il Washington Post del 2 febbraio.

Orban ha solo astutamente sfruttato quest’occasione come contropartita per oliare i meccanismi che tuttora bloccano i fondi di coesione e del NGEU, trattenuti dalla Commissione per presunte violazioni dello Stato di diritto, a favore del proprio Paese. Se il problema fosse stato davvero la destinazione dei fondi all’Ucraina, non si sarebbe certo accontentato di una relazione annuale della Commissione, un dibattito sull’attuazione dello strumento di finanziamento ed una eventuale proposta di riesame (“se necessario”) dello strumento tra due anni. Appena sufficienti per cadere in piedi, ma non certamente una significativa contropartita.

IL CINEMA DEL CONSIGLIO EUROPEO E IL PROBLEMA DEI SOLDI

Al netto di questo “cinema” in favore di telecamere, sono passati appena 3 anni da quando, a fine dicembre 2020, si raggiunse un faticoso compromesso – anche in quel caso fronteggiando l’opposizione strumentale di Orban – sul Quadro Finanziario Pluriennale che, dal 2021-2027, prevedeva circa 1.100 miliardi spese, finanziate come al solito, per la gran parte (70-80%) dai contributi degli Stati in proporzione al reddito nazionale lordo (Rnl) e da una quota unionale del gettito IVA.

Da allora, a Bruxelles hanno scoperto di aver esaurito qualsiasi margine di flessibilità per fronteggiare gli aiuti all’Ucraina – finora la Commissione ha deciso prestiti per circa 70 miliardi – e per coprire il costo degli interessi sulle obbligazioni emesse per il NextGenerationUE. Quest’ultimo capitolo è si sta rivelando un pozzo senza fondo. Infatti la previsione iniziale di 14,9 miliardi per il settennio basava su tassi non superiori al 1,15% fino al 2027. Con l’aumento dei tassi, la Commissione ha stimato che il buco oscilli tra 15 e 24,8 miliardi solo sul triennio 2025-2027. Ci sono poi altre richieste per l’emergenza migrazione, la gestione delle frontiere, la difesa, gli aiuti per le calamità naturali. Una lunga lista della spesa formulata dalla Commissione che è sul tavolo dei leader dal 20 giugno scorso e su cui le divisioni sono state profonde.

LA PAZZA IDEA SULLA BANCA CENTRALE RUSSA

Il problema principale è sempre stato quello di dove prendere i soldi. La Banca Mondiale stima che il costo di ricostruzione dell’Ucraina sia pari a $ 411 miliardi e finora i Paesi occidentali hanno impegnato ben € 228,6 miliardi in aiuti di varia natura e noi siamo stati 6 mesi bloccati per 50 miliardi (17 sovvenzioni e 33 prestiti). E qui è balenata la “pazza idea” di mettere le mani sui fondi della Banca Centrale russa e di altre entità private, sequestrati nel 2022.  Già a metà dicembre le conclusioni riportarono che “Il Consiglio europeo ribadisce l’invito a compiere progressi decisivi, in coordinamento con i partner, sulle modalità con cui le entrate straordinarie detenute da entità private derivanti direttamente dai beni bloccati della Russia potrebbero essere destinate al sostegno dell’Ucraina […] In tale contesto, prende atto delle recenti proposte relative alle entrate straordinarie derivanti da beni russi bloccati.”

E giovedì i leader sono tornati sul tema, ribadendo che “potenziali entrate potrebbero essere generate in virtù dei pertinenti atti giuridici dell’Unione, per quanto riguarda l’uso di entrate straordinarie detenute da entità private derivanti direttamente dai beni bloccati della Banca centrale di Russia”.

I fondi russi sequestrati ammontano a circa 260 miliardi, la gran parte in deposito presso la società belga Euroclear (191 miliardi) che proprio giovedì ha comunicato che nel 2023 hanno generato proventi finanziari per € 4,4 miliardi che non sono stati corrisposti ai legittimi beneficiari. Da Bruxelles si attende a breve una norma che ne dispone l’accantonamento obbligatorio, ma la confisca è un passo che non si riesce a compiere. Il punto è che da tempo la Bce ma anche Francia e Germania hanno avvertito che passare dal sequestro alla confisca, non solo dei proventi ma anche dei capitali, creerebbe una notevole instabilità finanziaria e danneggerebbe l’euro come valuta di riserva internazionale, perché tale mossa potrebbe indurre altre banche centrali a spostare altrove le loro attività finanziarie in euro. Al massimo sarebbe legalmente possibile imporre una tassa sugli extraprofitti.

IL MONITO DI PANETTA

A questo proposito, da ultimo, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha lanciato un chiaro monito venerdì 26 parlando a Riga – ignorato dai giornali italiani ma ripreso con ampio risalto dal Financial Times – e avvertendo che detenere una moneta di uso globale come l’euro impone delle responsabilità e “usarlo come un’arma ne riduce la sua attrattività e incoraggia l’uso di valute alternative”. Non a caso il cinese renminbi ha superato l’euro come seconda valuta più usata al mondo nelle transazioni commerciali.

Non si è riferito specificamente ai piani del Consiglio e della Commissione, ma era là che puntava.

Sempre sul quotidiano londinese, per superare gli ostacoli legali, è stata avanzata la suggestiva proposta di ordinare che i fondi russi siano investiti in bond di guerra ucraini, con rischio di perdita del capitale in caso di danni di guerra ulteriori.

Allora il Consiglio – aldilà dei proclami – per il momento si è assicurato che le maggiori spese siano finanziate con i contributi degli Stati. Si sfrutterà il plafond aggiuntivo richiesto per garantire il NextGenEU pari al 0,6% del RNL di ciascuno Stato, oltre al 1,40% preesistente. Per indorare la pillola amara dei 64,6 miliardi di maggiori spese, si è deciso di tagliare 10,6 miliardi da altri capitoli di spesa e – al netto di 33 miliardi che sono comunque prestiti – si è ridotto a soli 21 miliardi il fabbisogno effettivo da coprire con maggiori “risorse proprie”. Il curioso nome con cui la UE chiama i soldi “nostri” che gli versiamo.

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