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Spread Recovery Fund

Italexit? Non ci sarà. Ecco perché. Report Citi

Spread, Btp, Italexit. Che cosa si legge nel report di Citi

Mentre si attende il dato sul debito pubblico dell’Italia aggiornato da Banca d’Italia e nelle prossime settimane terrà banco il giudizio di Moody’s (oggi Baa2) ed S&P (oggi BBB) sul rating (la prima lo pubblicherà entro fine mese e la seconda il 26 ottobre), sale la pressione sullo spread, che nelle ultime sedute si è attestato sopra i 300 punti base anche per via di un aumento delle posizioni short. In questo contesto Citi si chiede come mai non ci sia stato contagio nel resto dell’Ue e l’aumento dei rendimenti non abbia colpito anche gli altri Paesi.

Una delle ragioni è da ricercare nella tipologia di detentori del debito pubblico italiano. “I Btp sono nel portafoglio di investitori che capiscono molto bene la natura dei rischi sovrani nell’area euro e quindi sono nelle mani di soggetti che sono meno avversi a notizie negative sul rischio Paese”, afferma Citi. “Questo è in parte spiegato dal Qe della Bce che ha visto i non Paesi non Ue emergere come i maggiori venditori”, spiega Citi, “in termini di stock i titolo di Stato italiani nelle mani di questi Stati è attualmente a 664 miliardi di euro, rispetto a un ammontare di 763 miliardi prima della crisi dell’euro e di 592 miliardi ai minimi del 2012”.

L’investment bank poi osserva che i dati analitici su chi attualmente detiene i Btp non sono molto disponibili e la Bce per qualche ragione non fornisce un dettaglio elevato nelle sue statistiche (Securities Holdings). “Invece il Fmi ci permette di avere informazioni a livello di Paese su chi detiene il debito pubblico italiano, non soltanto i Btp, e da questi dati emerge che i maggiori detentori sono Spagna e Francia”.

“Abbiamo già detto che se in Btp sono in una terra di nessuno, allo stesso modo lo sono i titoli di Francia e Spagna. Questo vuol dire che il loro comportamento è assimilabile a quello di un investitore italiano? Dedurre questo è andare forse un po’ troppo lontano, ma c’è un certo fatalismo da considerare nelle scelte di questi due Paesi”, sottolinea Citi.

In dettaglio, sulla base dei dati del Fmi, analizzati da Citi, la Spagna ha 101,5 miliardi di dollari di titoli di Stato italiani, la Francia 101,4 miliardi di dollari, seguono gli Usa con 90,9 miliardi di dollari, poi la Germania con 63,2 miliardi di dollari e l’Olanda con 51,8 miliardi di dollari, poi Regno Unito (42,7 miliardi di dollari), e Lussemburgo (27,2 miliardi di dollari). Sopra l’asticella dei 10 miliardi di dollari ci sono anche Irlanda (16,5 miliardi di dollari) e Belgio (11,4 miliardi di dollari).

Tra gli altri motivi citati dall’investment bank per spiegare il mancato contagio c’è anche il fatto che l’ipotesi di Italexit non potrà ragionevolmente accadere. “Lo scenario di orrore che potrebbe derivare da un Italexit è così facile da comprendere che gli investitori scontano l’idea che le autorità politiche avranno un altro momento sul genere del “whatever it takes” (pronunciato dal presidente della Bce Mario Draghi all’apice della crisi dell’euro, ndr).

Inoltre, un’altra causa è la larga diffusione dei Btp in virtù della quale “qualsiasi eventuale sottopeso negli indici provocherebbe grandi flussi negli altri mercati”, aggiunge Citi. Infine, “c’è un livello per il rendimento del Btp al quale saremmo preoccupati, ma ancora non ci siano arrivati. Il mercato dei bond non si è chiuso per l’Italia, e l’accelerazione dei rendimenti ai livelli di stop, che crediamo avvenga al 4% è il punto nel quale riteniamo di dover agire su duration e rischi”, conclude Citi.

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

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