Pensavamo di avere risolto il problema della capitalizzazione delle banche dovuto soprattutto all’impatto della crisi. ma il percorso viene ora, quasi improvvisamente, ostacolato dall’allargamento degli spread e dal loro impatto, appunto, sulle banche.
LE TENSIONI NELLA MAGGIORANZA DI GOVERNO
Per la verità, questa volta la maggioranza mostra di avere iniziato a capire che porsi questo problema non significa voler fare un regalo agli istituti o ai «cattivi» banchieri ma è imposto dalla necessità di prevenire il consolidarsi del circolo vizioso tra banche e Tesoro, con gravi conseguenze a catena sulla tutela del risparmio, nonché, più in generale, sulle condizioni di vita dei cittadini.
I RISCHI INCOMBENTI
C’è, dunque, la mano di una certa responsabile attenzione ai rischi incombenti, ma c’è pure l’altra mano che, dando prova di una schisi del decisore, si appresta a incidere con misure fiscali restrittive sulle stesse banche le quali, così, mentre dovrebbero predisporsi ad affrontare impegni strategici rilevanti per il loro futuro, entrano, invece, nell’orbita dei possibili gravi impatti del finanziamento del Tesoro e della stretta fiscale, a meno che su quest’ultima non sopravvengano dei salutari ripensamenti. Ritenere, però, che tutto si esaurisca all’interno delle sole banche è pura illusione, dal momento che il materializzarsi di questi rischi impatterà sicuramente su risparmiatori e prenditori di crediti, su famiglie e imprese.
CHE COSA HA AUSPICATO DRAGHI DELLA BCE
Che fare? Mario Draghi ha detto che occorre abbassare i toni nella «confrontation» con l’Unione europea, non mettere in discussione la permanenza nella moneta unica e adottare politiche adeguate per ridimensionare gli spread. Poi ha precisato che egli resta ancora fiducioso che un compromesso possa raggiungersi tra Governo italiano e Commissione Ue sulla manovra finanziaria. Quanto alle politiche contro l’allargamento dei differenziali, ovviamente espresse così sinteticamente, esse costituiscono, in effetti, un insieme che per ora non trova affatto riscontro adeguato nelle decisioni dell’Esecutivo.
COME HA RISPOSTO DI MAIO
Alle parole di Draghi non si può tuttavia rispondere, come ha fatto il vice premier Luigi Di Maio, sostenendo che gli spread crescono perché si teme un’uscita dell’Italia dalla moneta unica con la conseguente ridenominazione: questo, semmai, è un rischio che può apparire in una lunga prospettiva. Ora, invece, i dubbi nei risparmiatori e negli investitori, nonché nei mercati in genere cominciano a sorgere, purtroppo, sull’affidabilità del debitore, sulla sua capacità di governare gli effetti di una manovra finanziaria che si ritiene fondata, per esempio, su previsioni di crescita irrealizzabili e su di un debito che difficilmente calerà.
LE DIVERGENZE TRA GOVERNO E COMMISSIONE UE
È questo timore che va sconfitto. In questa situazione, poiché entrambe le parti – Governo italiano e Commissione Ue – dicono di voler dialogare dopo la bocciatura del programma di bilancio, allora va chiarito che non può non trattarsi, se dialogo vi sarà, di una interlocuzione per la quale ambedue i soggetti siano indisponibili a mediazioni. Dialogare mantenendo ferme le posizioni dell’Esecutivo italiano, come qualche esponente della maggioranza ha detto, pur dopo i responsi delle agenzie di rating, da ultimo quello di Standard & Poor’s comunque lo si valuti, equivale a non volere affatto il dialogo.
LE FISSAZIONI DELLA COMMISSIONE DI BRUXELLES
Ovviamente considerazioni uguali valgono per i falchi che compongono la Commissione, che, però, non rappresenterebbero la maggioranza. È, dunque, il momento di passare alle scelte concrete. Modificare nelle scadenze le misure che si vogliono introdurre con la legge di bilancio, programmare meglio gli obiettivi di crescita e di produttività, dare un’autonoma evidenziazione alla strategia per il debito non farebbe di certo perdere la faccia alla compagine governativa. Allora si potrebbe riscontrare se la Commissione si attesta su di un rigorismo dannoso, senza muoversi dalle sue posizioni rispondendo con un vieto «non possumus» oppure se coglie l’apertura e decide di avviarsi per la strada del compromesso. Adesso non vi è alternativa a un accordo, per quanto faticoso sia il suo conseguimento. A esso la Bce deve dare il proprio contributo.
CHE COSA PU’ FARE LA BCE
Ma, in questa fase, l’Istituto non potrebbe sottrarsi a una valutazione degli effetti di contagio che potenzialmente il caso italiano è suscettibile di provocare. Draghi vi ha fatto riferimento parlando, tuttavia, di un contagio assai limitato. Naturalmente, occorrerebbe distinguere coerentemente la condizione di non solvibilità da quella di transitoria illiquidità e su questa base imperniare, al di là delle operazioni Omt, gli altri strumenti dei quali genericamente ha parlato Draghi allorché ha detto che con la fine del quantitative leasing non vengono meno gli strumenti di cui dispone la politica monetaria.
LA BCE TRA PASSATO E PRESENTE
Bisogna distinguere, anche perché non ha tutti i torti chi sostiene che a temperare gli spread debbono poter concorrere anche le banche centrali. Quello che avvenne in Italia negli anni novanta con la Banca d’Italia di Antonio Fazio dimostra che a una nettissima riduzione dei differenziali può dare un apporto fondamentale una banca centrale. Governo, Commissione Ue, istituzioni e soggetti economici debbono fare la propria parte. Ma la Bce non si può attestare solo sulla disponibilità alle Omt. Non solo moniti, dunque, da parte della Bce, ma anche un agire concreto, ancorché circoscritto.
(articolo pubblicato su Mf/Milano Finanza)