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Inps, è giunta l’ora di separare l’assistenza dalla previdenza. Appello ai politici

La separazione, nei bilanci Inps, tra prestazioni previdenziali ed assistenziali si può e si deve fare ed a tal fine occorre, oltre ad un risveglio di dignità ed onestà politica, aumentare l’efficienza della macchina organizzativa. L'intervento di Michele Poerio, segretario generale Confedir e presidente di Federspev

I dati di seguito riportati e parzialmente esplicitati in un mio precedente articolo, derivano dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, Presieduto dal Prof. Alberto Brambilla.

Risulta, pertanto, che, nel 2022, la spesa per il welfare (pensioni, sanità e assistenza) ha assorbito oltre la metà di quella pubblica totale, cioè il 51,65%.

Della spesa genericamente attribuibile al capitolo “pensioni”, 157 miliardi sono stati assegnati nel 2022 a oneri assistenziali (con crescita del 126% rispetto ai 10 anni precedenti), mentre la spesa di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni IVS (invalidità, vecchiaia, superstiti) è stata nel 2022 pari a 247,58 miliardi (con crescita del 17% rispetto ai 10 anni precedenti), con incidenza sul PIL 2022 del 12,97%. Se tuttavia sottraiamo gli oneri assistenziali per maggiorazioni sociali, le integrazioni al minimo, e la GIAS (Gestione per gli Interventi Assistenziali dei dipendenti pubblici), pari in totale a 23,79 mld., l’incidenza sul PIL scende a 11,72%, dato assolutamente in linea con la media Eurostat (che è del 12,6%). Se poi dovessimo escludere, oltre alle integrazioni al minimo e alla GIAS, anche i 59 mld. di imposte IRPEF in quanto “partita di giro” (tasse che nei Paesi dell’Unione europea e dell’area OCSE sono mediamente molto più basse), l’incidenza sul PIL scenderebbe ancora all’8,64%.

E tuttavia le nostre Istituzioni trasmettono in sede Europea i dati sulle pensioni in modo indistinto e cumulativo, così che la loro incidenza sul PIL risulta erroneamente del 16,7%.

Ecco spiegata la ragione che induce la UE, l’OCSE, il Fondo Monetario Internazionale e quant’altri ad insistere per riforme previdenziali in Italia, ponendo nel mirino soprattutto gli anticipi rispetto alle pensioni di vecchiaia, le pensioni di invalidità, le pensioni di reversibilità, le solite pensioni cosiddette “d’oro”, ecc.

Nonostante i dati allarmanti anzidetti, che si rispecchiano anche nel  numero di 6.551.533 pensionati totalmente o parzialmente assistiti nel 2022, cioè il 40,61% del totale (16.131.414, dati ufficiali INPS), la Commissione tecnica istituita per studiare il problema, che ha lavorato solo per un semestre  del 2021  attraverso comitati tecnici ristretti e rifuggendo riunioni plenarie, regnante il Ministro del Lavoro Andrea Orlando, transitato disinvoltamente dal Pci al PD, ha concluso che “non appare praticabile una separazione netta della previdenza dall’assistenza anche a causa della natura spesso ibrida della prestazione che rende complicata una distinzione delle fonti di finanziamento”: integrazione al minimo, 14esima, maggiorazioni sociali, quote di Tfr, assegno sociale di disoccupazione, reddito di cittadinanza, ecc., vengono, infatti, tutti considerati interventi di natura ibrida che cumulano caratteri propri sia dell’assistenza che della previdenza.

Queste conclusioni, neanche ufficializzate, avranno forse soddisfatto il Ministro Orlando ma hanno ricevuto il “ni” della CGIL ed il “no” di CISL e UIL e di tutto il sindacalismo autonomo, certamente quello più rappresentativo del ceto medio e delle classi dirigenti e di importanti istituzioni quali la Banca Mondiale ed altre.

In tale confusione imperversa la discrezionalità politica, aprendo le porte ad abusi dei legislatori di ogni tipo, nei confronti dei quali e della mala legislazione anche la Corte costituzionale non ha posto alcun argine in questi anni.

Ed invece per dissipare la confusione basterebbe risalire all’art. 38 della nostra Costituzione, che distingue nettamente l’assistenza vera e propria (comma 1), dalla previdenza (comma 2),ma anche alla legge 88/1989,ex art.37, mai fino ad oggi applicata.

L’assistenza ha come preciso obiettivo quello di tutelare i soggetti in condizione di bisogno; è attuata direttamente dallo Stato, dalle Regioni e dagli Enti Locali attraverso erogazioni economiche o mediante prestazioni sociali specifiche, comunque con risorse derivanti dalla fiscalità generale.

La previdenza ha diversa origine ed obiettivo: si alimenta attraverso i contributi versati dai lavoratori e dai datori di lavoro durante l’attività lavorativa per maturare il diritto, al termine della prestazione lavorativa, ad una “retribuzione differita”, su cui si sono spese pagine, argomentazioni e sentenze da parte della Corte costituzionale.

Dal  1988-1989 sono stati fatti tentativi per  separare, nei bilanci INPS, le due prestazioni ed è stata anche istituita a tal fine una speciale Gestione dei trattamenti assistenziali (GIAS), da finanziarsi a carico della fiscalità generale, ma il sistema si è subito ingarbugliato perché questa Gestione viene anche utilizzata per alcune prestazioni previdenziali, che non risultano totalmente coperte dai contributi versati.

Tutto ciò è stato voluto da classi politiche irresponsabili, incuranti del dissesto economico delle Casse previdenziali, come del bilancio dello Stato, per puro disegno elettoralistico, cioè per “comprare”un consenso immeritato attraverso elargizioni assistenzialistiche insostenibili, oltre che immorali (andare in pensione con 14 anni 6 mesi ed un giorno di attività lavorativa).

Proprio per queste ragioni  la separazione, nei bilanci INPS, tra prestazioni previdenziali ed assistenziali si può e si deve fare ed a tal fine occorre, oltre ad un risveglio di dignità ed onestà politica, aumentare anche l’efficienza della macchina organizzativa attraverso una banca dati dell’assistenza e di una anagrafe centralizzata dei lavoratori attivi, assieme ad un attento monitoraggio tra i diversi erogatori di prestazioni assistenziali e l’utilizzo di strumenti di verifica sicuri per la certificazione dei bisogni “veri”, senza i quali gli oneri assistenziali in particolare non potranno essere stabilizzati. Il Governo Draghi ha dato impulso a tale orientamento politico-organizzativo, forse anche per questo è durato poco.

Ma anche la previdenza vera e propria è in sofferenza, in particolare per la crisi demografica e per l’ingresso tardivo delle giovani generazioni nel mondo del lavoro, cosicché il parametro di 1,5 lavoratore attivo per 1 pensionato (ritenuto  sufficiente per mantenere in equilibrio il sistema) è sceso, anche se di poco (1,444), sotto tale soglia . Ed allora quali rimedi approntare?

  1. Formare una classe politica competente ed esperta da sottoporre al giudizio degli elettori, perché non è vero che “1 vale 1”, infatti chi conosce ed è esperto vale molto di più dell’ignorante “scappato di casa”.
  2. Combattere la denatalità con incentivi e servizi idonei: meno di 400.000 nati all’anno sono davvero troppo pochi per un Paese come il nostro, di quasi 59 milioni di residenti, in costante decrescita.
  3. Intervenire sul mercato del lavoro calibrando meglio la formazione in rapporto al futuro lavoro, rafforzando politiche attive e strumenti di incontro tra domanda ed offerta.
  4. Individuare strumenti sicuri per accertare la situazione economica dei singoli e delle famiglie, fare controlli fiscali e contributivi più serrati, combattere risolutamente e finalmente il cancro della evasione ed elusione fiscale.
  5. Fare attenzione che la tecnologia applicata ai percorsi di lavoro e la moda green, o la intelligenza artificiale, non massacrino i livelli occupazionali, specie giovanili.
  6. Non seguire i “cattivi maestri” nel far debiti o nel regalare “diritti” a chi non li ha maturati e non li ha meritati : un Paese con 3.000 mld. di debito, che deve pagare almeno 80 mld. di interessi sul debito ogni anno, non può permetterselo!
  7. Limitare le troppo numerose forme di anticipo pensionistico, che impoveriscono il sistema, e comunque limitarle ad un numero modesto di anni (massimo 3-5).
  8. Bloccare l’anzianità contributiva agli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne per l’anticipo, con riduzioni solo per le donne madri e i lavoratori precoci, con incentivi per quanti scelgano di restare oltre i limiti di vecchiaia, massimo fino ai 70 anni.
  9. Migliorare il tasso di sostituzione dei cosiddetti “contributivi puri”, perché le attuali regole sono troppo disarmoniche rispetto a quelle degli altri lavoratori (cosiddetti retributivi o misti).
  10. Finire di accanirsi contro i titolari di pensioni medio-alte, sostenute da adeguate contribuzioni, così da negare loro una indicizzazione dignitosa del loro assegno pensionistico, di fatto gravandoli di una doppia tassazione impropria: si tratta infatti di una categoria fiscale che rappresenta il 5% dei contribuenti totali e paga già il 40% del carico IRPEF dell’Italia intera.

Speriamo,quindi, che l’attuale classe politica cessi di dare cattiva prova ed immagine di sé, alzi il suo sguardo oltre il primo appuntamento elettorale e pensi invece al bene comune ed agli interessi dell’intero Paese, nella consapevolezza che l’irresponsabile loro comportamento (polli di manzoniana memoria), almeno in questi ultimi 15-20 anni, ha già tenuto lontano dalle urne il 40-45% dei cittadini. Gli argomenti veri su cui impegnarsi  non mancano: attuazione seria del Pnrr,“ultima spiaggia per noi”; emergenza climatica; disinnescare i molteplici focolai di guerra, ecc.;ecc.; altro che interessarsi di gossip o di Sanremo!

Mi rendo conto che il decalogo su prospettato (sicuramente da ampliare) non è di rapida e facile attuazione ma la speranza è pur sempre l’ultima dea!

Ed allora non rimane che sperare in Dio: se ha fatto il Mondo in una settimana, forse potrà fare il miracolo di salvare l’Italia, diciamo nel prossimo triennio.

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