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Debito

Come ridurre il debito pubblico?

Tutti i nodi del debito pubblico italiano. Il punto di Gianluca Zappa

Il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, nel rispondere, a margine di una riunione dell’Ecofin, all’omologo collega tedesco, preoccupato per l’aumento dei tassi (dovendo pagare 40 miliardi di euro di interessi), gli faceva notare che l’Italia ne paga 90. Si tratta di 50 miliardi di risorse finanziarie in più rispetto alla realtà teutonica che ogni anno vengono sottratte ai contribuenti.

COSA DICONO LE AGENZIE DI RATING

Il grande peso degli interessi passivi necessari per finanziare l’enorme debito pubblico Italiano non ha impedito però alle agenzie di rating di confermare il proprio giudizio sul paese ad “Investment grade”, con addirittura Moody’s che ha migliorato l’outlook da negativo a stabile.

Le agenzie di rating peraltro, così come pure la Commissione Europea, nell’analizzare la legge di bilancio evidenziano i punti deboli della nostra economia costituiti, principalmente, da una crescita prospettica del prodotto interno lordo tra le più basse tra i paesi europei, oltre che da un debito pubblico che continua ad aumentare in valore assoluto.

IL PROBLEMA DEL DEBITO PUBBLICO

Il debito pubblico ha da tempo sfondato i 2800 miliardi e si avvia velocemente a superare la soglia dei 3000 miliardi, traguardo che, stando a quanto previsto dalla Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, sarà raggiunto nel 2025.

Al contempo però il rapporto tra debito pubblico e Pil è previsto sostanzialmente stabile a circa il 140% fino al 2026.

L’incremento del debito pubblico in valore assoluto comporta un corrispondente incremento degli interessi passivi che, sempre dalla Nadef sono previsti in

  • circa 78 miliardi nel 2023, pari al 3,8% del Pil;
  • circa 89 miliardi nel 2024, pari al 4,2% del Pil;
  • circa 94 miliardi nel 2025, pari al 4,3% del Pil;
  • circa 103 miliardi nel 2026, pari al 4,6% del Pil.

Le conseguenze sono che l’Italia vanta il certo non glorioso primato di avere, in rapporto al Pil, il terzo debito pubblico più grande tra tutti i paesi OCSE dopo Giappone e Grecia, e di essere il paese europeo che paga i tassi di interesse più alti sulle emissioni dei propri titoli di Stato, superando perfino la Grecia.

L’IMPATTO DELLA SPESA PER GLI INTERESSI

La spesa per interessi sottrae risorse finanziarie che potrebbero essere destinate per investimenti produttivi, o impiegate per migliorare l’equità sociale. Basti pensare che solo nel 2024 l’Italia spenderà per interessi 33 miliardi di euro in più rispetto a quanto pagato in media dagli altri stati europei.

Finora l’inflazione ha contributo ad una certa stabilità del rapporto debito pubblico/Pil grazie all’incremento del Pil nominale. Ma l’inflazione erode il potere di acquisto delle persone incidendo sui consumi e produce un incremento dei tassi di interesse con cui sono collocati i titoli governativi, obbligando lo Stato ad operare in deficit per recuperare le risorse finanziare necessarie a garantire la stabilità finanziaria del sistema paese.

Si innesca così un circolo vizioso che, tra bassa crescita economica, alto debito pubblico, crescenti interessi passivi da pagare e quindi minori risorse finanziare a disposizione, indebolisce la sostenibilità del debito pubblico stesso nei prossimi anni, con il rischio che, prima o poi, qualcuno ci venga a chiedere il conto scaricandone il peso insopportabile sulle generazioni future.

COSA FARE CONTRO IL DEBITO PUBBLICO

Il debito pubblico è quindi un nemico che va combattuto con decisione e la sua riduzione dovrebbe essere la priorità per ogni governo.

Innanzitutto occorrerebbe interrogarsi su come lo stato spende ed impiegare al meglio le risorse disponibili, evitando il ripetersi di iniziative a dir poco avventate quali il reddito di cittadinanza e il super bonus 110%, il cui costo è stato e sarà sostenuto dall’intera collettività a vantaggio di pochi.

Poi, bisogna sfruttare al meglio tutte le risorse che la Commissione europea, tramite il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ha messo a disposizione dell’Italia per la modernizzazione del paese e per le riforme.

Con riguardo ad esempio alla riforma del sistema fiscale, il 97% del gettito fiscale proviene da solo 16 degli oltre 100 tributi e tasse. Occorrerebbe quindi eliminare la maggior parte dei troppi micro-tributi inutili, che generano entrate insignificanti a fronte di una opprimente burocrazia e con alti costi di gestione a carico dei contribuenti e dello stato.

Una leva importante da utilizzare per la riduzione del debito pubblico è senza dubbio l’azione da esercitare sull’ingente patrimonio immobiliare pubblico, valutato circa 1800 miliardi di euro di cui 300 miliardi cedibili secondo il Mef, per il quale va redatto un preciso inventario dell’esistente e impostata una proattiva politica di riqualificazione e valorizzazione, evitando di pagare affitti per immobili avendone di vuoti a disposizione e riscuotendo canoni di locazione a valori di mercato.

C’è poi il grande tema dell’evasione fiscale, altro punto dolente del sistema Italia, se si pensa che nel nostro paese, membro del G7 e con un’economica considerata tra le più avanzate del mondo, il 40% dei circa 41 milioni di contribuenti IRPEF, circa 17 milioni di persone, dichiara meno di 15mila euro lordi, dove per esser considerati benestanti dal fisco è sufficiente dichiarare un reddito superiore a 50mila euro lordi.

LA LOTTA ALL’EVASIONE

La lotta all’evasione è sempre stata combattuta introducendo periodicamente nuovi balzelli e tasse, aumentando la burocrazia con il risultato di un fisco oppressivo specialmente nei confronti della classe media che viene puntualmente tartassata.

Per una efficace lotta all’evasione forse è necessario cambiare prospettiva, considerare cioè il contribuente non per ciò che dichiara e quindi su dati cartacei molte volte purtroppo poco affidabili, ma per quello che spende, consuma ed investe.

Nell’era della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, dato che tutti gli italiani sono in possesso di un codice fiscale, non dovrebbe essere troppo difficile reperire tutti i dati e gli elementi necessari per avvicinarsi quanto meno il più possibile alla reale situazione reddituale di un soggetto, fatti salvi tutti i casi in cui la maggiore capacità di spesa rispetto al reddito dichiarato deriva per esempio da altri componenti il nucleo famigliare, da donazioni o lasciti ereditari.

Considerando le cupe prospettive internazionali e non avendo sfruttato il periodo dei tassi zero della Bce, di tempo per iniziare un deciso programma di riduzione del debito pubblico non è rimasto molto, ma ci vuole una volontà politica che guardi al futuro mettendo in secondo piano il consenso.

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