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Mercati Emergenti

Quale sarà l’impatto della guerra su materie prime e mercati finanziari

Tre mesi di guerra in Ucraina: il bilancio sui mercati e l’asset allocation. L'analisi di Filippo Casagrande, Head of Insurance Investment Solutions di Generali Asset & Wealth Management.

Nonostante il crescendo di tensioni attorno alla crisi ucraina, i prezzi delle materie prime energetiche hanno segnato un calo nell’ultimo mese. Mentre il prezzo del Brent ha continuato ad oscillare tra i 100 e i 110 dollari al barile, il prezzo del gas europeo in consegna a giugno ha segnato una decisa correzione al ribasso, tornando ai livelli pre-invasione e segnando un calo di quasi il 70% dai picchi raggiunti a inizio marzo.

La situazione è però meno rosea guardando le scadenze più lunghe dei contratti trattati sui mercati finanziari. I prezzi del gas in consegna a fine 2022 sono pressoché stabili, mentre per quelli in consegna nel 2023 e gli anni a venire si registrano nuovi massimi, a testimonianza che il mercato sta riprezzando al rialzo la possibilità di una prolungata fase di problemi alle forniture. Le tensioni sui prezzi del gas si stanno, inoltre, espandendo fuori dall’Europa e colpiscono anche gli Stati Uniti in misura sempre più marcata. Infatti, il prezzo del gas in consegna a giugno quotato negli Stati Uniti è salito fino al 55% rispetto a fine marzo e pressoché raddoppiato rispetto ai livelli precedenti all’inizio del conflitto, salvo poi correggere leggermente negli ultimi giorni.

In generale, la pressione sui prezzi delle materie prime rimane elevata. Continuano a salire i prezzi di grano e mais quotati negli Stati Uniti, ormai prossimi ai massimi storici dopo i rialzi tra il 40% e 50% registrati da inizio anno. Questo sta avendo pesanti ripercussioni sui prezzi al consumo dei generi alimentari, mettendo a rischio la sicurezza alimentare di milioni di persone nel mondo.

La corsa dell’inflazione e le politiche monetarie

Dopo il violento riprezzamento delle stime sui rialzi delle banche centrali avvenuto negli ultimi mesi, le ultime due settimane hanno visto una leggera correzione al ribasso. I commenti del presidente della Fed Powell – che ha escluso al momento la possibilità di rialzi da 75 punti base nel prossimi meeting della Fed – e i timori sulla crescita hanno, infatti, pesato sulle stime delle prossime mosse da parte della Fed e sulle prospettive future dell’inflazione .

L’outlook per l’inflazione non è però cambiato in misura significativa, con gli shock energetici che si sommano ad un quadro già complicato di inflazione sottostante, alimentata dalla forza del mercato del lavoro e dai passati stimoli fiscali e monetari.

Negli Stati Uniti l’inflazione ha segnato un leggero calo ad aprile, ma più contenuto rispetto alle stime degli analisti: l’inflazione core è scesa al +6,2% anno/anno, mentre l’indice complessivo si è assestato al +8,3%. Tale rallentamento è però guidato dalle componenti più volatili (in particolare pesa il calo dei prezzi delle auto usate), mentre le componenti più strutturali e legate all’andamento del mercato del lavoro (disoccupazione al 3,6% in aprile, praticamente ai livelli pre-Covid) e del mercato immobiliare continuano a segnare nuovi massimi. Nell’Eurozona, l’inflazione core ad aprile ha accelerato al 3,5% anno/anno (+7,5% l’inflazione complessiva), nettamente il livello più alto dalla nascita dell’euro. La disoccupazione ha segnato un ulteriore calo, al 6,8% a marzo, il livello più basso mai registrato nell’Eurozona.

Secondo i dati di Bloomberg, la stima dell’inflazione media per il 2022 negli Stati Uniti è salita al 7,0%, rispetto al 6,2% di fine marzo, e al 6,5% in Eurozona, dal 5,6% di fine marzo. I confronti con le stime a fine 2021 danno un’idea ancora più chiara dell’entità delle revisioni: si partiva infatti dal 4,4% negli USA e dal 2,45% in Eurozona. Continuano anche a salire le stime per l’inflazione media nel 2023, arrivate al +3,0% negli Stati Uniti (+2,35% a fine 2021) e al +2,4% in Eurozona (+1,5% a fine 2021).

Sebbene i numeri di inflazione abbiano fin qui sorpreso costantemente al rialzo, va detto che nei prossimi mesi potremmo cominciare ad assistere ad un calo, in ragione della graduale riduzione degli effetti base legati agli aumenti dei prezzi dell’energia e di alcuni beni e servizi volatili. Il moderato calo dell’inflazione registrato ad aprile negli Stati Uniti va in questa direzione. Va però ricordato che l’inflazione sottostante rimane persistente e non mostra ancora segnali di rallentamento. Essa, infatti, segue le dinamiche del mercato del lavoro e del mercato immobiliare con un ritardo di 6-9 mesi, e al momento tali mercati potrebbero non essere ancora arrivati al picco del ciclo .

I mercati finanziari e le prospettive

Dopo le pesanti perdite subite durante il mese di Aprile sia nel comparto obbligazionario sia in quello azionario, il mese di maggio ha visto inizialmente un proseguimento di questo trend negativo. I timori sulla crescita e il rialzo dei tassi reali hanno spinto le borse al ribasso, mentre gli spread del credito hanno toccato i nuovi massimi da inizio anno, superando quelli raggiunti a inizio marzo nei giorni immediatamente successivi allo scoppio della guerra in Ucraina.

Un timido accenno di recupero si è poi registrato nella seconda settimana di maggio, assieme alla riduzione delle aspettative di rialzo dei tassi delle banche centrali e un calo dei rendimenti. I tassi core, dopo essere saliti di altri 10-25 punti base (pb) nella prima settimana, sono tornati a scendere. I tassi decennali in Germania e Stati Uniti avevano, infatti, superato ampiamente l’1% e il 3% rispettivamente, salvo poi ritracciare e assestarsi leggermente sotto queste soglie.

Cali più marcati per i tassi a breve, specie nel Regno Unito (2 anni a -37 pb da fine aprile) dopo che la Bank of England ha segnalato poca convinzione nell’indicare nuovi rialzi dopo aver portato i tassi all’1% nel meeting di inizio mese. L’irripidimento delle curve dovrebbe però essere temporaneo: l’aumento dei tassi BCE e Fed dovrebbero favorire un nuovo appiattimento, con una possibile re-inversione della curva statunitense.

Gli spread pubblici e privati hanno continuato a muoversi al rialzo, ma quelli pubblici hanno ritracciato in misura più marcata nella seconda settimana. Lo spread BTP-Bund, dopo aver sfondato quota 200 pb, è sceso nuovamente in area 190 pb. Per contro, gli spread del credito hanno segnato aumenti significativi: +17 pb per l’Investment Grade europeo, +47 pb per l’High Yield europeo. Negli Stati Uniti, in forte rialzo l’HY (+70 pb), che finora si era difeso bene in termini relativi.

Per quanto concerne il mercato azionario, l’indice MSCI World ha segnato un ulteriore calo del 3,2% (in dollari) dai livelli di fine aprile. A guidare i ribassi ancora una volta in comparto Growth (-5,4% in Europa vs un calo dell’1,1% segnato dal Value), con il Nasdaq in calo del 4,2% ma in rialzo del 6% dai minimi segnati nel mese. Male anche la Cina (MSCI China -6,9%), dove pesano le dure politiche di lockdown contro il Covid.

Guardando al futuro, rispetto allo scenario di fine aprile si comincia a registrare un certo affaticamento nelle dinamiche di crescita che comincia a pesare sulle aspettative di rialzo dei tassi. Alcuni indicatori di questo scenario, come il rapporto tra prezzi di rame e oro, sembrano aver segnato un picco e segnano una flessione in ragione dei timori sulla crescita.

Ciò potrebbe tradursi in maggiori resistenze per i tassi di interesse nel continuare la loro salita , iniziata da gennaio 2022. Si potrebbe trattare di una prima importante stabilizzazione dei tassi governativi (almeno statunitensi) e se dovessimo vedere una diminuzione della volatilità dei tassi, questo potrebbe favorire un ritorno dei flussi in questa classe di attivi, stabilizzando così il mercato obbligazionario governativo.

Per quanto concerne, invece, gli attivi più rischiosi, rimane elevata l’incertezza. L’aumento dei tassi reali ha sì portato ad una riduzione dei multipli di borsa, ma non abbiamo fin qui assistito ad una correzione delle stime di crescita degli utili delle imprese. In caso di un proseguimento dei segnali di rallentamento della crescita, ciò si tradurrebbe in pressioni al ribasso sulle stime, potenzialmente pesando quindi sui listini azionari e i settori a maggior beta del mercato del credito.

Con queste premesse, riteniamo che le seguenti siano le principali linee guida per la gestione dell’allocazione tattica dei portafogli:

  • Manteniamo un sottopeso nella componente azionaria. Gli aumentati rischi sulla crescita pesano sull’attrattività di questa classe di attivi, nonostante un calo già significativo dei multipli di borsa. La maggiore correzione del comparto Growth e dei listini americani rispetto al comparto Value e alle borse in Europa avvenuta nell’ultimo mese è stata significativa e suggerisce una maggior cautela nei posizionamenti relativi all’interno di questa asset class.
  • Per quanto concerne il mercato obbligazionario, riteniamo che le soglie psicologiche del 3% per il tasso decennale Treasury americano e dell’1% per il tasso Bund tedesco rappresentino un possibile livello per spostarsi verso un atteggiamento più costruttivo sui titoli governativi. Il trade-off tra politiche monetarie restrittive e impatto sulla crescita diventa infatti sempre più evidente, e ciò potrebbe scoraggiare ulteriori spinte al rialzo dei rendimenti. Manteniamo una preferenza per le parti lunghe rispetto alle parti brevi, dove i rendimenti possono ancora muoversi verso l’alto in ragione delle politiche monetarie di Fed e BCE.
  • Al tempo stesso, continuiamo a cercare occasioni di investimento nel mondo obbligazionario non-governativo. In particolare, nuove emissioni nel credito Investment Grade di qualità, particolarmente a sconto e quindi a spread molto interessanti, possono essere il modo migliore per aggiungere esposizione credito. Con lo stesso principio e attenzione alla selezione, alcuni nomi nella fascia meno rischiosa del comparto High Yield europeo risultano attraenti. Ribadiamo la maggiore cautela sul mercato High Yield americano, i cui spread rimangono ancora compressi relativamente al mondo europeo ed emergente, nonostante i rialzi degli ultimi giorni.
  • Parimenti, manteniamo l’interesse verso il comparto dei bond emergenti in valuta locale, dove i rendimenti offerti sono molto elevati grazie all’azione preventiva della maggior parte delle banche centrali emergenti. Molti paesi e rispettivi mercati emergenti hanno già affrontato negli ultimi mesi e trimestri cicli di rialzo dei tassi molto aggressivi da parte delle loro banche centrali. I bond emergenti in valuta locale sono una delle poche categorie di attivi che mostra ritorni positivi dall’inizio dell’anno e riteniamo che ciò possa continuare. Similmente, anche i listini azionari emergenti sono meglio posizionati a quelli dei paesi sviluppati e le valutazioni relative ancora vicine ai minimi storici suggeriscono che sia un buon momento per considerare un’allocazione maggiore a questa classe di attivi
  • Continuiamo infine nell’allocazione nei Private assets, debito ed equity, tuttavia con forte focus su specifici settori e geografie.

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