skip to Main Content

Patto Migrazione E Asilo

Quanto costa (e quanto vale) l’immigrazione in Italia

Analisi economica dell'immigrazione. L'intervento di Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini, Chiara Tronchin

Il tema dei costi dell’immigrazione continua ad essere al centro del dibattito pubblico italiano, con una percezione generalmente negativa da parte dell’opinione pubblica, evidentemente condizionata da luoghi comuni più che da dati reali. In particolare, si tende a sottostimare il peso dei lavoratori stranieri regolari, che invece ammontano a 2,4 milioni (un decimo dei lavoratori in Italia), pagano le tasse e versano i contributi, e a sovrastimare, al contrario, il numero di persone presenti nei centri di accoglienza (poco più di 100mila a metà del 2019).

Se si vuole, dunque, fare un bilancio dei “costi” e dei “benefici” dell’immigrazione in Italia, in primo luogo va chiarito a quali “immigrati” si fa riferimento. Se considerassimo solo i richiedenti asilo in attesa dell’esito della domanda di protezione internazionale e, quindi, temporaneamente a carico del sistema di accoglienza, è chiaro che avremmo un saldo negativo, almeno nell’immediato. Ma se consideriamo tutti gli immigrati regolarmente presenti in Italia, il beneficio diventa decisamente più visibile. Questi ultimi, infatti, sono mediamente più giovani degli italiani e prevalentemente in età lavorativa, lavorano, pagano le tasse, versano contributi e incidono poco su sanità e pensioni, le due voci più consistenti della spesa pubblica italiana.
In entrambi i casi, inoltre, si può decidere di analizzare solo i flussi monetari diretti (per quanto riguarda lo Stato) oppure andare ad ipotizzare anche costi e benefici indiretti (sociali, culturali, ambientali, ecc.). In questo contributo si è optato per la prima ipotesi perché, pur essendo meno esaustiva, è certamente quella che espone in misura minore a scelte metodologiche arbitrarie, garantendo in definitiva una maggiore oggettività.

LE DICHIARAZIONI DEI REDDITI DEI CONTRIBUENTI STRANIERI

Il bilancio tra costi e benefici dovuti alla presenza immigrata in Italia che presentiamo è riferito all’anno d’imposta 2017, l’ultimo di cui sono disponibili le dichiarazioni dei redditi, ed è costituito, da un lato, dal gettito fiscale e contributivo, e dall’altro dalla quota di servizi pubblici di cui gli immigrati usufruiscono (sanità, istruzione, ecc.).

I dati del Mef – Dipartimento delle Finanze sulle dichiarazioni dei redditi del 2018 mostrano che i contribuenti nati all’estero sono circa 3,9 milioni. Attraverso una comparazione tra questi dati e quelli relativi agli occupati di effettiva cittadinanza straniera rilevati dall’Istat (Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro 2017), è possibile stimare che i contribuenti di effettiva cittadinanza estera che hanno effettuato la dichiarazione dei redditi in Italia siano 2,3 milioni e che nel 2017 abbiano dichiarato redditi pari a 27,4 miliardi di euro, versando complessivamente 3,5 miliardi di Irpef.

Analizzando le principali nazionalità, esse rispecchiano sostanzialmente la distribuzione delle presenze in Italia: quattro delle prime dieci sono nazionalità europee (Romania, Albania, Ucraina e Moldavia), quattro sono asiatiche (Cina, Filippine, India e Bangladesh). Sud America e Africa sono invece rappresentate rispettivamente solo da Perù e Marocco.

A livello di reddito pro-capite, queste dieci nazionalità si trovano tutte al di sotto della media, evidentemente sbilanciata dalla presenza di contribuenti provenienti da paesi ricchi. Il valore pro-capite più basso si registra tra i contribuenti ucraini, probabilmente per la forte presenza di assistenti familiari destinatarie di redditi bassi.

L’analisi del reddito medio dichiarato conferma il gap esistente tra contribuenti italiani e stranieri: ciascun contribuente nato in Italia ha dichiarato infatti, mediamente, 21.410 euro, quasi 10mila euro in più rispetto ad un contribuente straniero (11.960 euro). Il differenziale si ripercuote anche sull’aliquota media, che risulta essere del 19,1% per gli italiani e del 12,6% per gli stranieri.

 

IL CONTRIBUTO FISCALE E PREVIDENZIALE DEGLI IMMIGRATI

Il gettito Irpef rappresenta la principale componente del gettito fiscale riconducibile ai contribuenti stranieri in Italia. Oltre ai 3,5 miliardi di euro già citati, vanno considerate anche le addizionali comunali e regionali, che portano il gettito complessivo a 3,8 miliardi.

Anche per le altre voci di entrata è possibile stimare la quota riconducibile agli immigrati. Va considerata, ad esempio, l’imposta indiretta sui consumi, che può essere stimata applicando un’aliquota media del 12,5% (derivante dalle rilevazioni sui consumi). Se si ipotizza che il reddito delle famiglie straniere sia speso in consumi soggetti ad Iva per una quota del 90% (escludendo rimesse, affitti, mutui e altre voci non soggette a Iva), si può stimare un valore complessivo dell’imposta indiretta sui consumi di 3,1 miliardi di euro.
Vi sono poi altre imposte su beni di consumo: tabacchi, rifiuti, lotterie, tasse auto, carburanti, canone tv. Per alcune di queste voci abbiamo un’indicazione sull’incidenza dei consumi degli stranieri sui consumi totali: ad esempio, l’Istat riporta che i cittadini con almeno 14 anni di età che fanno uso di tabacchi sono il 23,2% tra gli stranieri e il 25,8% tra gli italiani; possiamo così calcolare l’incidenza dei fumatori stranieri sul totale, pari al 7,3%. Per quanto riguarda le tasse sulle auto e sui carburanti, utilizziamo un’incidenza degli stranieri pari al 5,4%. Per la voce “lotto e lotterie” utilizziamo come incidenza l’8,1%, ovvero quella della popolazione straniera adulta nell’anno di riferimento (2017). Per il canone tv, invece, l’incidenza delle famiglie straniere (6,9%). Calcoliamo inoltre circa 500 milioni di tassa sui rifiuti, pari a circa il 5% del totale. Sommando le varie voci otteniamo una somma complessiva stimabile in 4,0 miliardi.

Un’ulteriore fonte di introito per le casse dello Stato è rappresentata dalle spese per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno, che in media ammontano a 200 euro pro-capite. Poiché i permessi a scadenza nel 2017 erano 1,4 milioni e si può ipotizzare che almeno 1 milione sia stato rilasciato la prima volta o rinnovato in quell’anno, ne risulta una stima di circa 200 milioni di euro; vanno aggiunti anche circa 30 milioni dovuti alle 146mila acquisizioni di cittadinanza italiana (spesa media di 200 euro pro-capite).

Sommando tutte le voci sopraelencate, si perviene a un ammontare di 11,1 miliardi di euro versati dai cittadini stranieri nel 2017.

Oltre al gettito fiscale, vanno anche considerati i contributi previdenziali. Questi, pur non essendo una vera e propria imposta, nell’immediato rappresentano comunque un sostegno per le casse dello Stato (sistema “a ripartizione”). Alcuni studiosi sostengono che nel computo vada tenuto conto anche del “debito previdenziale implicito”, ovvero l’importo delle pensioni che gli immigrati riceveranno in futuro. In realtà, su questo tema l’ex Presidente dell’Inps Tito Boeri ha chiarito che le pensioni che riceveranno gli immigrati saranno sicuramente più basse rispetto al totale dei contributi versati, dato che oltre il 99% di essi ha cominciato a lavorare in Italia dopo il 1996 e dunque andrà in pensione con il sistema contributivo (cfr. Relazione annuale Inps, 2017). Inoltre, andrebbero considerati anche i contributi “persi” dagli immigrati che fanno rientro in patria, per cui è difficile pervenire a una stima annua. Dai dati Inps sappiamo che nel 2017 le entrate contributive riconducibili agli stranieri sono state 13,9 miliardi, di cui 11,5 da privati e 2,4 da altre gestioni.

Sommando il gettito fiscale e i contributi previdenziali, risulta che i contribuenti stranieri hanno assicurato entrate per le casse dello Stato italiano pari a 25,0 miliardi di euro durante il 2017.

STIMA DELLA SPESA PUBBLICA PER L’IMMIGRAZIONE: COSTI MEDI PER SETTORE

Per quanto riguarda la spesa pubblica, esistono due modi per quantificare la quota attribuibile alla popolazione immigrata: il costo “medio”, ovvero il rapporto tra i costi totali e il numero di beneficiari per ciascuna componente di spesa, oppure il costo “marginale”, inteso come misura dell’incremento del costo specificamente dovuto all’aumento dell’utenza.
Prendendo in esame i settori del welfare, dell’accoglienza e della sicurezza, che assorbono quasi per intero le spese sostenute per gli immigrati, si può calcolare la quota parte riconducibile agli immigrati.

Il primo settore analizzato è quello della sanità. Per stimarne i costi possiamo fare riferimento ad una ricerca pubblicata nel 2018 dalla Regione Emilia-Romagna sulla spesa sanitaria orientata all’utenza immigrata, che riportava un’incidenza della spesa per gli immigrati pari al 6,4% (tenendo conto che parliamo di una delle regioni con la più alta presenza straniera). Ripartendo la spesa sanitaria per macro-voci, possiamo calcolare come l’incidenza degli stranieri sia del 4,1% sulla spesa farmaceutica, del 5,1% su quella ambulatoriale e del 5,4% su quella ospedaliera. In questo caso l’incidenza della componente immigrata è piuttosto bassa per due ragioni principali: la bassa età media e alcune specificità negli stili di vita, come il consumo prevalente di farmaci generici o lo scarso ricorso a visite specialistiche. Sui 117 miliardi complessivi, dunque, agli stranieri sono riconducibili 5,6 miliardi di euro.

Nel settore della scuola la spesa italiana si attesta sui 55 miliardi (tra le più basse d’Europa in rapporto al Pil) quasi interamente relativa al personale. Non consideriamo invece la spesa per l’università (così come non ne consideriamo le entrate), dato che tra gli iscritti stranieri (4,6% del totale) non sappiamo quanti siano realmente residenti in Italia e quanti vi trascorrano solo un periodo finalizzato agli studi. Con una lieve ma costante crescita, gli alunni con cittadinanza non italiana hanno raggiunto nelle scuole quota 826.000, pari al 9,4% del totale: per questo, si può calcolare una spesa di 5,2 miliardi di euro. In questo caso appare evidente il limite della metodologia dei costi medi: pur essendo gli stranieri quasi un decimo degli alunni, gli investimenti specifici per la componente straniera (mediatori culturali, corsi pomeridiani, ecc.) sono molto limitati.

Il terzo settore è quello dei servizi e degli interventi sociali a livello comunale, un settore molto frammentato dove la spesa è ferma da anni a circa 7 miliardi di euro e dove bisogna distinguere tra i servizi rivolti solo agli utenti stranieri per la loro integrazione (come i corsi di italiano e i mediatori culturali), che rappresentano appena il 2,5% della spesa sociale, e i servizi nei quali gli stranieri sono utenti generali, soprattutto settori quelli a sostegno della povertà e dei minori. Complessivamente si raggiungono poco meno di 300 milioni di euro.

Un altro settore molto dibattuto è quello della casa, caratterizzato da polemiche sulle assegnazioni, dato che il numero degli alloggi disponibili è piuttosto scarso sia pure in un paese dove l’80% delle famiglie possiede una casa di proprietà. In realtà, le stime disponibili indicano che gli stranieri rappresentano il 7,1% dei beneficiari: valore che indubbiamente aumenta per le nuove assegnazioni, ma che viene rallentato a causa dello scarso turn over. Per la casa, dunque, la quota destinata agli immigrati arriva appena a 43 milioni, pari al 7,1% su un totale di 610 milioni spesi per la voce “abitazione”.

Vanno poi considerati i settori della giustizia (tribunali e carceri) e della pubblica sicurezza. Anche in questo caso, come nella scuola, l’elemento preponderante è costituito dai costi del personale e gli indicatori più attendibili sugli stranieri sono quelli relativi alle denunce e al numero degli imputati, che oscillano attorno al 25% del totale, mentre i condannati e i detenuti superano il 30% del totale nazionale. Considerando che le cause riguardanti cittadini stranieri si concentrano nel penale (escludendo, ad esempio, cause civili, tributarie, successioni, ecc.), possiamo attribuire all’utenza straniera un costo di 2,9 miliardi di euro.

Il quinto settore esaminato include tutti gli aspetti di competenza del Ministero dell’Interno che rientrano nella missione “immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti”, per un totale di circa 3,2 miliardi di euro. Nonostante il tema monopolizzi il dibattito politico, negli ultimi cinque anni non è stato fatto molto per razionalizzare il frammentato sistema italiano di accoglienza, ma si è agito solo sul versante emergenziale. Il costo giornaliero per migrante accolto è aumentato, passando dai 35,4 euro del 2015 ai 38,6 del 2016, fino a raggiungere i 44,7 euro del 2017. A questi vanno aggiunti circa 700 milioni per la voce “sicurezza e controllo nei mari, nei porti e sulle coste”, che portano il conteggio complessivo della voce “immigrazione e accoglienza” a un totale di 3,9 miliardi.

Il sesto ed ultimo settore è quello dei trasferimenti monetari diretti. Al contrario degli italiani, in questo caso le spese per l’assistenza prevalgono su quelle per la previdenza. Anche in una fase di congiuntura economica positiva come il 2017, l’incidenza degli stranieri è relativamente più alta nelle misure di sostegno al reddito o legate al numero di figli (cassa integrazione, mobilità, disoccupazione, assegni familiari, ecc.). L’incidenza scende invece sensibilmente per quanto riguarda le pensioni (ovvero la voce più consistente): appena 0,3% per quelle di vecchiaia e 1,8% per quelle assistenziali. Secondo i dati Inps, dunque, le varie voci raggiungono complessivamente 6,8 miliardi di euro.

Complessivamente, il totale delle spese a costo medio nel 2017 è di 24,8 miliardi, arrivando a rappresentare circa il 3% della spesa pubblica italiana. La componente che è cresciuta di più in questi anni è quella relativa all’accoglienza dei profughi, come logica conseguenza delle dinamiche degli sbarchi. Fa altresì riflettere che la spesa per l’accoglienza dei profughi (che include anche il controllo degli irregolari e i rimpatri) rappresenti il 16% del totale, evidentemente a discapito delle politiche per l’inclusione sociale e per l’integrazione lavorativa: si consideri che i migranti ospitati nei centri di accoglienza in Italia non sono mai stati più di 200mila all’anno, meno del 4% della popolazione straniera residente.

IL METODO DI CALCOLO MARGINALE

Come accennato in precedenza, la stima basata sulla spesa media non misura l’effettivo incremento di spesa dovuto alla presenza immigrata, in particolare in quei settori in cui la spesa è desti-nata principalmente ai costi del personale (come la scuola), rispetto ai quali la crescita di utenza dovuta alla componente straniera non ha comportato un investimento pubblico maggiore.

Dal 2008 al 2017 la spesa pubblica italiana è aumentata da 740 miliardi a 840, ma se si esclude l’inflazione l’aumento reale si può calcolare in circa 10 miliardi medi l’anno. Considerando che l’incidenza media degli immigrati sulla popolazione nello stesso decennio è stata del 7,5% (dal 6,5% del 2008 all’8,5% del 2017), ne consegue che l’aumento marginale dei costi loro riferiti non supera i 750 milioni annui (cioè il 7,5% di 10 miliardi). Sommando i 7,1 miliardi dei trasferimenti monetari (6,8 miliardi più 0,3 per casa e servizi sociali), si ottiene un totale di 7,9 miliardi, pari allo 0,9% di tutta la spesa pubblica italiana.

CONCLUSIONI

L’analisi fin qui illustrata conferma come il saldo tra entrate e uscite imputabili all’immigrazione sia sostanzialmente positivo e oscilli tra +0,2 e +3,2 miliardi, a seconda del metodo di calcolo, anche nell’anno di massima pressione sul fronte dell’asilo e dell’accoglienza. Inevitabilmente, infatti, già nel 2018 la spesa per l’accoglienza è destinata a diminuire come conseguenza del calo degli arrivi. Da questi dati possiamo trarre alcune considerazioni.

In primo luogo, rispetto agli anni precedenti è evidente il progressivo aumento dei costi dell’accoglienza (inclusi rimpatri, soccorsi in mare, corsi di lingua e spese sanitarie), quadruplicati rispetto al 2014. Uscendo dalla mera contabilità finanziaria, va sottolineato che la spesa per l’accoglienza, qualora ben gestita, potrebbe rappresentare un investimento nel caso in cui ai migranti presenti nei centri di accoglienza venissero dati gli strumenti e l’opportunità di guadagnare autonomia (formazione linguistica, lavoro, casa, ecc.). Ad oggi, invece, il dibattito si concentra solo sul come ridurre gli arrivi, senza alcun ragionamento sulle effettive esigenze del mercato del lavoro.

Peraltro, il numero di migranti accolti nei centri di accoglienza sta diminuendo ad un ritmo netta-mente inferiore rispetto al calo degli arrivi: questo comporterà che la questione dell’accoglienza (e quindi dei suoi costi) dovrà essere gestita ancora per molto tempo, nonostante la politica dei “porti chiusi”.

Un altro elemento di crescente rilievo è il fenomeno delle naturalizzazioni. Nonostante il lieve calo del 2017 (da 200mila a 146mila), negli ultimi dieci anni più di un milione di immigrati ha ottenuto la cittadinanza italiana, uscendo così dalle statistiche sugli stranieri. Si tratta dunque di un calo solo contabile, dato che molte di queste persone sono ancora sul territorio italiano.

Infine, molti ritengono che l’occupazione immigrata abbia l’effetto negativo di “togliere” opportunità di lavoro per gli italiani. Nonostante il numero degli occupati stranieri e quello dei disoccupati italiani siano simili (poco meno di 2,5 milioni), la diversa struttura della popolazione italiana e immigrata (per titolo di studio, età, genere) determina una netta complementarietà occupazionale. Inoltre, il lavoro non è un bene scarso, per cui la presenza immigrata “toglierebbe” opportunità agli autoctoni, ha piuttosto un effetto moltiplicatore, poiché ogni posto di lavoro creato contribuisce alla crescita economica e porta nuove opportunità per tutti.

Oltretutto, viste le dinamiche demografiche della popolazione autoctona (l’Istat prevede che nel 2050 vi saranno 6 milioni di lavoratori in meno rispetto ad oggi), nel prossimo futuro sarà impossibile fare a meno della forza lavoro di origine immigrata, sia per la progressiva diminuzione della popolazione in età lavorativa, sia per la necessità di garantire servizi fondamentali come l’assistenza agli anziani.

L’integrazione degli immigrati continuerà quindi a portare benefici a livello economico, garantendo forza lavoro, consumi e nuovi investimenti, a patto che i processi di inclusione siano sostenuti da una programmazione efficace.

Back To Top