skip to Main Content

Merkel Conte Italia Germania

Il vitale bazooka della Germania e la mortale gabbia dell’Italia

Ecco come la Germania e l'Italia affrontano in maniera diversa il contagio economico da Coronavirus. L'analisi di Giuseppe Liturri

Dopo le voci che si rincorrevano già da alcuni giorni, questo pomeriggio la Germania ha ufficialmente messo in campo il suo bazooka. Soldi veri, non quelli “mobilitati”, per usare l’espressione del ministro Roberto Gualtieri, finalizzata ad auspicare la moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Con un voto del Bundestag atteso nei prossimi giorni, sarà eliminato il vincolo costituzionale che pone un freno all’indebitamento federale, che è stato fissato nella misura massima del 0,35% del PIL (al netto delle oscillazioni del ciclo economico).

Una svolta epocale per un Paese che ha fatto del “schwarze null” un totem della propria politica economica.

Si tratta di un piano per €356 miliardi (756 miliardi, tra prestiti e garanzie) all’incirca il 10% del PIL, così articolato:

  1. 156 miliardi di spese supplementari nel bilancio 2020;
  2. 100 miliardi per un fondo (WSF) di stabilizzazione a favore delle imprese danneggiate dalla crisi, che prevede l’assunzione diretta di partecipazioni societarie; questo fondo sarà inoltre dotato di €400 miliardi di garanzie statali per i debiti di imprese colpite crisi;
  3. Infine un prestito statale da €100 miliardi a favore di KFW (equivalente tedesco della Cassa Depositi e Prestiti) che potrà utilizzarli per fornire credito illimitato ad aziende in difficoltà.

L’intervento del fondo equivale ad uno intervento straordinario dello Stato nel settore privato. “Non permetteremo che ci sia una svendita degli interessi economici ed industriali tedeschi”, così ha commentato il ministro tedesco Peter Altmaier.

La Costituzione tedesca consentiva di derogare al vincolo di bilancio in caso di emergenze eccezionali come una catastrofe naturale ed il Bundestag provvederà immediatamente a votare in tal senso.

Il piano tedesco “fa scopa” con l’annuncio della BCE di mercoledì sera. La Germania troverà un acquirente immediato (sul mercato secondario) per il proprio debito nella BCE che avrà a disposizione una capacità di acquisto fino a dicembre pari a circa 1.060 miliardi. E non dimentichiamo che la Germania fa affidamento su una quota di ripartizione degli acquisti del 18,3% (contro l’11,8% dell’Italia).

Ma c’è di più. Come subito osservato da autorevoli commentatori, con questa mossa il governo tedesco allontana dall’orizzonte della BCE delle nubi che si stavano addensando all’indomani del varo del programma straordinario di acquisti. Infatti, il maggior debito tedesco consentirà alla BCE di non superare con i suoi acquisti la fatidica soglia del 33% del totale del debito pubblico tedesco che, con gli acquisti partiti nel 2015, si stava pericolosamente avvicinando a quella soglia. Ricordiamo che essa è una linea rossa invalicabile per non far cadere la BCE sotto l’accusa di finanziamento monetario del deficit, rigidamente vietato dai Trattati.

In assenza di quelle emissioni di debito, quel limite sarebbe stato raggiunto nel terzo trimestre 2020, ponendo in serie imbarazzo il consiglio direttivo della BCE, nel quale i falchi hanno subìto “obtorto collo” l’impegno della Presidente Christine Lagarde ad impegnarsi “senza limiti”.

A questo punto diventa imbarazzante il confronto con quanto sta accadendo in Italia. Una manovra nell’ordine del 10% del PIL sarebbe stata per noi pari a 170 miliardi, contro i 20 (25 di stanziamento lordo) appena utilizzati con il Decreto Legge 18. La sproporzione tra i due interventi è evidente.

La Germania ha debito/PIL pari all’incirca al 60% ed ha così potenza di fuoco quasi infinita ed oggi affronta la necessità della crisi da COVID-19 con adeguate risorse. Il Presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha commentato “in passato era stato messo in discussione il tema dei conti pubblici in ordine, ora possiamo dire di aver fatto bene, ora abbiamo lo spazio per gestire la crisi. Partiamo da una posizione vantaggiosa”.

Ci sarebbe molto da dire su come la Germania è giunta oggi ad avere i conti in ordine. Su come negli ultimi 20 anni ha gestito la propria politica economica, senza coordinamento con quella degli altri Paesi dell’eurozona, che con la loro domanda hanno assecondato la propensione all’export della Germania. In altre parole, mentre gli altri spendevano la Germania aveva gioco facile nel comprimere il proprio bilancio e presentarsi oggi come campione virtuoso. Peraltro al riparo dal rischio di veder rivalutata la propria moneta.

Ma non è questa la sede. Qui preme rilevare solo che i Paesi dell’eurozona si presentano all’appuntamento con questa crisi epocale in posizione fortemente asimmetrica e quindi interessi contrastanti. C’è chi può affrontarla con i propri bilanci e chi no. E quindi gli strumenti da applicare devono necessariamente essere diversi. I tedeschi non hanno bisogno degli eurobond o coronavirus bond o che dir si voglia e premono, giustamente dal loro punto di vista, per far sì che chi ha bisogno di risorse eccedenti le capacità dei propri bilanci, entri in programmi di assistenza finanziaria (MES o simili) e si sottoponga alle relative condizionalità.

Mentre i tedeschi sono partiti alla grande per la loro strada, come al solito in solitudine, noi ci dibattiamo ancora in un anacronistico sistema di regole che vede in piedi l’articolo 81 della Costituzione sull’equilibrio di bilancio e la Legge 243/2012 che lo attua. Basti pensare che per autorizzare quei, a questo punto modesti, maggiori 20 miliardi di indebitamento netto, si è dovuti passare da una relazione del Governo al Parlamento approvata da parte di quest’ultimo a maggioranza assoluta. Una liturgia che è durata quasi una settimana e che il nostro Paese non si può più permettere.

A prescindere dal problema, non secondario, del reperimento delle risorse, è opportuno che il Parlamento si riunisca urgentemente per sbarazzarsi di quegli inutili orpelli normativi e definisca una volta per tutte che si spenderà “qualsiasi cifra dovesse rendersi necessaria”. Il Paese ha bisogno di risposte ed il Parlamento è chiamato a darle.

Back To Top