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Il rischio di una recessione europea farà rinsavire (anche) la Germania. L’analisi di Polillo

I Paesi che presentano un forte attivo delle partite correnti della loro bilancia dei pagamenti (Germania, Olanda, Lussemburgo, Italia ed in parte la Spagna) devono puntare sulla domanda interna al venir meno dell’apporto con l’estero. Il commento di Gianfranco Polillo

 

Il rischio di una recessione europea può essere una buona notizia per l’Italia. Sempre che un ceto politico, pur con tutti i limiti finora dimostrati, ne sappia approfittare. Può sembrare un paradosso e forse lo è. Ma finora il suo forte avanzo della bilancia commerciale ha avuto un effetto narcotico. Ha impedito al Pil di scendere, ma quel modello di sviluppo export led, date le sue ristrette basi produttive (concentrate in una piccola area del Nord est) non ha avuto la forza di fare da “locomotiva” per il resto del Paese.

Venuta meno questa leva, soprattutto a causa della caduta del commercio internazionale e della crisi franco-tedesca, occorrerà trovare un’altra strada. Sempre che non si voglia seguire i nostri partner lungo la via della perdizione. Che in Italia, dato il diverso peso dei livelli di disoccupazione, sarebbe ben più dura. Con riflessi immediati non solo sugli equilibri sociali del Paese. In una situazione politica, per altro, già segnata da una confusione che non fa presagire alcunché di buono.

Com’è capitato anche in passato, è stata la Bce a lanciare il primo grido d’allarme, per bocca di Olli Rehn, membro del Board e governatore della Banca centrale finlandese. Senza giri di parole, ha anticipato quelle che saranno le future mosse della Banca, per il prossimo 12 settembre, quando, appunto, Mario Draghi riunirà il Consiglio. La Banca centrale, in quella occasione, potrebbe stupire tutti, andando ampiamente in overshoot rispetto alle aspettative di ritorno a una politica di stimolo diretto dell’economia.

Si ipotizzano, infatti, aste di rifinanziamento bancario a lungo termine (il cui ammontare, probabilmente, sarà ben superiore a quanto si pensasse e con condizioni di partecipazione ulteriormente di favore), tiering alla giapponese sui tassi applicati alle riserve in eccesso depositate presso l’Eurotower, taglio del costo del denaro di almeno 20 punti base nel suo riferimento benchmark e, nuovi acquisti a partire dal quarto trimestre di quest’anno, (si vocifera per 40 miliardi di ammontare mensili), anche nel comparto corporate. Insomma: fuochi d’artificio.

I falchi tedeschi dovranno stare al gioco. A Berlino, la crisi ha una doppia valenza ed incide direttamente sul “modello renano”. Soffre il polmone d’acciaio della meccanica, soprattutto sui mercati internazionali. E queste sofferenze trascinano nel baratro le grandi banche finanziatrici. Soprattutto Deutsche e Commerzbank, in borsa ai minimi storici. Per i bond della prima (Coco al 6 per cento) il mercato è arrivato a chiedere il 12,5 per cento. Un tasso da Paese sottosviluppato, che incorpora l’accresciuto rischio per gli investimenti.

Per l’Italia, come si è già visto durante la crisi di governo, con gli spread in calo, nonostante la confusione, è manna caduta dal cielo. Ma cullarsi sugli allori non basta. Una politica monetaria più accomodante, con riflessi positivi sugli equilibri del bilancio pubblico, non è sufficiente. I Paesi che presentano un forte attivo delle partite correnti della loro bilancia dei pagamenti (Germania, Olanda, Lussemburgo, Italia ed in parte la Spagna) devono reflazionare le loro economie. Sostituire una ripresa della domanda interna al venir meno dell’apporto con l’estero. Possibile solo mettendo in campo le necessarie riforme: quella fiscale soprattutto. Di questo dovrebbero discutere i nostri politici, invece di continuare a cullarsi nel bizantinismo della schermaglia parlamentare.

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