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Il Mes può davvero salvare Deutsche Bank?

Passato, presente e futuro del Mes e le potenziali crisi bancarie come quella di Deutsche Bank. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Nelle ore in cui Deutsche Bank fa vacillare i mercati, torna prepotentemente alla ribalta il ruolo del Mes come “salvatore” di banche in difficoltà.

Tema ancor più di attualità alla luce delle dichiarazioni del Presidente Giorgia Meloni dopo l’Euro Summit di venerdì, con le quali è stata ribadita la linea che il Parlamento già da novembre ha dettato al governo stesso: il Mes è strumento di ultima istanza in un quadro di regole che stanno cambiando e quindi prima si definisce un nuovo quadro di governo della politica economica europea (Patto di Stabilità, unione del mercato dei capitali ed unione bancaria) e poi, in conseguenza di tali scelte, si decide cosa fare di questo strumento disegnato per un’altra era geologica.

Abbastanza sorprendentemente – almeno per chi non lavora per gli interessi del nostro Paese – il comunicato conclusivo dell’Euro Summit non parla di Mes, ma parla esattamente di tutto ciò che deve precederlo.

Ma davvero il Mes (nella versione attuale o riformanda, differenza non banale, come vedremo) può svolgere un ruolo in una crisi di una banca con rilevanza sistemica, come Deutsche Bank, e quindi servirebbe subito ratificare la riforma?

La risposta è no. Per diversi motivi che illustreremo di seguito. Incluso il colpo di scena che troverete alla fine.

Basterebbe un argomento per terminare subito questo articolo: il prestito di sostegno del Mes (riformando) al fondo di risoluzione unico (SRF) sarebbe pari al massimo a 68 miliardi ed arriverebbe solo quando tale fondo avesse esaurito le proprie disponibilità e non avesse altre fonti disponibili (altri contributi straordinari delle banche, per esempio). Insomma davvero uno strumento di ultima istanza quando, dopo aver chiesto un adeguato sacrificio ad azionisti, obbligazionisti non garantiti e depositanti oltre i 100 mila (il famigerato bail-in), l’autorità di risoluzione avrebbe esaurito anche le proprie disponibilità (oggi intorno ai 70 miliardi) ed avrebbe bisogno di ulteriori fondi da prestare alla banca oggetto di risoluzione.

In definitiva, risorse limitate – a cui l’Italia dovrebbe per giunta generosamente contribuire – che sarebbero schiuma sulla battigia rispetto allo tsunami derivante dal dissesto di una banca come quella tedesca. Ricordiamo che la vicenda di Credit Suisse ha visto la banca centrale svizzera mettere a disposizione 200 miliardi di franchi ed altre risorse sostanzialmente illimitate.

Ma, nell’ipotesi in cui il Mes bastasse, cosa accadrebbe?

L’attuale Trattato del Mes prevede che, in caso di crisi bancaria, il Mes possa intervenire erogando prestiti agli Stati per ricapitalizzare le rispettive banche, come accaduto alla Spagna, beneficiaria di 41 miliardi tra 2012 e 2014. Questo intervento segue le regole di condizionalità degli altri prestiti del Mes agli Stati (precauzionale e a condizioni rafforzate), quindi richiede la stipula di un protocollo d’intesa più o meno rigido.

Poi c’è lo strumento di ricapitalizzazione diretta delle banche (DRI) da parte del Mes. Introdotto a fine 2014 e mai utilizzato, prevede proprio l’ingresso diretto del Mes nel capitale delle banche in crisi con un fondo disponibile di 60 miliardi.

Il tanto invocato prestito di sostegno del Mes al SRF origina proprio da qui. Per stessa ammissione del Mes, la ricapitalizzazione diretta è molto pericolosa per l’istituto lussemburghese in quanto costituirebbe un’esposizione diretta al rischio di default della banca ricapitalizzata e quindi peggiorerebbe il rating del Mes. Molto meglio (sempre per loro) far intervenire direttamente il SRF seguendo le regole per la risoluzione messe a punto con la direttiva sul bail-in (BRRD) e, nel caso di insufficienza di quest’ultimo, intervenire con un prestito di ultima istanza.

Insomma quando in Europa si sono resi conto che è impossibile fare un’Unione Bancaria senza avere un fondo di risoluzione con risorse “credibili”, allora, per renderla “credibile” si sono inventati il prestito “paracadute” del Mes al SRF, di durata triennale aumentabile di altri due anni. Basti considerare che il SRF (partito nel 2016) è ancora in un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2023, quando dovrebbe raggiungere un importo pari al 1% dei depositi bancari dell’eurozona.

Il prestito del Mes deve essere “fiscalmente neutro”. Cioè, nel medio termine, quel prestito deve essere restituito facendo leva su contributi e prelievi provenienti dal settore bancario che già alimenta il SRF con contributi annuali.

Ecco perché è più sicuro, dal punto di vista del Mes, prestare al SRF anziché ricapitalizzare una singola banca. Si rischia meno. Il prestito di sostegno del Mes conviene al… Mes.

Ma ora arriva il colpo di scena. Se pensate a quanto accaduto negli ultimi due fine settimana negli USA ed in Svizzera, queste sono decisioni da prendere in tempi ristrettissimi ed invece le decisioni del Mes richiedono talvolta – oltre alle delibere del consiglio dei governatori e di amministrazione – anche il coinvolgimento dei parlamenti nazionali (vedi alla voce B come Bundestag). Allora il Trattato riformando prevede una procedura d’urgenza che richiede però una maggioranza qualificata dell’85%. E sapete qual è la quota dell’Italia (terza, dopo Germania e Francia)? 17,7%. Quindi senza il consenso dell’Italia (o Germania o Francia), il Mes (riformando) non può correre in soccorso di nessuno.

Merita sottolineare che il prestito del Mes al SRF è cosa ben diversa da quello erogato agli Stati nella duplice forma di prestito precauzionale (PCCL) o a condizioni rafforzate (ECCL). Le condizioni che regolano l’accesso a questi ultimi sono ben definite nell’allegato 3, che richiama al rispetto di parametri di finanza pubblica che sono oggetto di revisione, un altro buon motivo per cui non ha senso ratificare una cosa che domani sarà già vecchia.

Invece le condizioni del prestito sostegno del Mes sono definite nell’allegato 4 e non riguardano affatto lo stato di salute della finanza pubblica dello Stato in cui risiede una banca che è oggetto dell’intervento del SRF e, in ultima istanza, del prestito del Mes. Sono proprio due mondi diversi da non confondere.

Quindi potrebbe ben accadere che il SRF (spalleggiato dal Mes) intervenga su una banca italiana, a prescindere dal fatto che i nostri conti pubblici rispettino certi parametri.

Non a caso, il Trattato riformando prevede all’articolo 12 il comma 1 (interventi per la stabilità finanziaria degli Stati) ed il comma 1 bis (prestito di sostegno del Mes al SRF). Il primo intervento è disciplinato dagli articoli da 14 a 18 (protocollo d’intesa in testa). Il secondo dall’articolo 18-bis. Ci sarà pure un motivo per averli tenuti distinti, o no?

In conclusione, il Mes (attuale e riformando) è l’ultima ruota (di scorta) di un carro così precario che non riesce nemmeno a tenere la strada, ma la si vuole utilizzare come ruota sterzante.

Non sappiamo (né ci illudiamo) i risultati che il governo Meloni riuscirà ad ottenere sui temi in discussione. Ma non possiamo non registrare che, dopo anni di sudditanza, ci affacciamo in Europa con una posizione negoziale degna di questo nome.

Si metta mano alla stabilità del carro, se ci sono la volontà e la capacità per farlo. Perché se si insiste sul Mes, aumenta il sospetto che serva per altro, non per le banche.

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