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A Bruxelles si sono accorti che l’Unione monetaria funziona male?

Che cosa emerge dal comunicato finale dell'Euro Summit. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Non c’è da abbandonarsi a facili entusiasmi, ma dal comunicato finale dell’Euro Summit conclusosi ieri a Bruxelles, arrivano timidi segnali di riconoscimento degli argomenti su cui il governo di Giorgia Meloni sta battendo da mesi, a proposito delle regole di governo e coordinamento della politica economica degli Stati membri dell’eurozona.

Le parole del comunicato sono anche il riconoscimento della tanta strada ancora da fare per arrivare ad un’architettura completa e funzionale, ammesso e non concesso che sia possibile, dell’eurozona e dell’intera Unione Europea.

L’Euro Summit è un po’ il gemello del Consiglio Europeo. Di cui condivide le stesse finalità di coordinamento che sono però limitate ai Paesi dell’eurozona e quindi con specifica attenzione ai temi del funzionamento dell’unione monetaria. Vi partecipano il Presidente della Commissione e dell’Eurogruppo e il Presidente della Bce. Poi c’è la versione XL (cosiddetto formato inclusivo) che vede presenti anche i capi degli altri Paesi della UE, ma non dell’eurozona. Per cui si fatica a coglierne le differenze con il Consiglio Europeo.

Sorvolando su questi aspetti procedurali, il comunicato appare scritto dalla Meloni.

Una pagina secca articolata in tre punti per evidenziare tre cose.

La prima, a rischio di autocompiacimento, sottolinea la discreta performance dell’economia dell’europea ad inizio 2023, a dispetto delle pessimistiche previsioni. Ci permettiamo di osservare che tutto ciò è stato ottenuto al prezzo di massicci deficit pubblici finalizzati al contenimento dell’impatto dei prezzi energetici ed anche grazie alle favorevoli condizioni climatiche che hanno favorito il contenimento dei consumi. Insomma è andata bene, ma i costi – come l’astronomico deficit della bilancia commerciale zavorrata dall’import dei prodotti energetici – sono stati rilevanti.

Il secondo passaggio è quello della scoperta dell’acqua calda e cioè “che il quadro di governance economica è un pilastro fondamentale dell’architettura della UEM”. Nulla però si specifica su quale sia quel “quadro”. Quello sospeso dal 2020? Quello riformato ipotizzato dalla Commissione nel novembre scorso e su cui siamo ancora a “caro amico ti scrivo”? Non è dato sapere. Il richiamo fatto in quel modo significa tutto ed il contrario di tutto. Soddisfa i falchi perché taglia le ali a chi vorrebbe metterlo in secondo piano. Soddisfa le colombe perché un “pilastro fondamentale” deve essere ben costruito, altrimenti è una zavorra, non un pilastro.

Il terzo punto, tocca il tasto dolente dell’architettura finanziaria ed ha il coraggio di dichiarare che il Re è nudo. Infatti, prende atto che l’unione del mercato dei capitali non esiste e quindi “chiede di intensificare gli sforzi collettivi al fine di farla avanzare”. E poi prende atto che l’unione bancaria è incompleta (quindi non è) ed i leader “chiedono di proseguire gli sforzi volti a completarla”.

Esattamente gli stessi argomenti del governo italiano, usati per spiegare la mancata ratifica del Mes: se ci mancano o sono da riformare i pilastri dell’architettura finanziaria, a cosa serve avere uno strumento che si pone come accessorio e di ultima istanza, se la prima linea di difesa non esiste nemmeno?

Ci sarebbe da disquisire sulla non banale differenza tra “intensificare” (riferito all’unione del mercato dei capitali) e “proseguire” (riferito all’unione bancaria). Una distinzione semantica niente affatto casuale, alla luce dell’usuale lavorio negoziale “parola per parola” che caratterizza questi comunicati.

Ma per oggi ci fermiamo qua e portiamo a casa il risultato che anche a Bruxelles si sono accorti di quanto sia ancora incompleta (e disfunzionale) l’Unione monetaria.

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