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Mes

Il Mes, i ricatti e la frenesia del Sole 24 Ore

Che cosa hanno scritto e che cosa non hanno scritto Buti (fino allo scorso aprile capo di gabinetto del commissario Gentiloni) e Vitali sul Mes. Il commento di Giuseppe Liturri

 

Si faccia una domanda, si dia una risposta. L’articolo di ieri sul Sole 24 Ore (“è ora ti ratificare il Mes, e creare le condizioni per non ricorrervi mai”), firmato da Marco Buti e Giampaolo Vitali, sembra ispirato da questa famosa frase di Gigi Marzullo.

Con l’essenziale precisazione che i due autori si fanno le domande (alcune sbagliate) che piacciono a loro, scambiandole per “dubbi” sul Mes, e non azzeccano nemmeno le risposte.

A sgombrare ogni dubbio, oggi sul Corriere della Sera il senatore Mario Monti ha definito l’articolo in commento “un’analisi oggettiva ed esauriente che ogni parlamentare dovrebbe leggere con attenzione”.

Forti di questo “autorevole avallo”, procediamo con ordine in questo vero e proprio museo degli orrori.

Per affermare la fine del collegamento tra Mes e stagione dell’austerità, peraltro derubricata con leggerezza come uno spiacevole errore, Buti e Vitali affermano che ora è diverso, poiché “L’Europa ha imparato dalla crisi finanziaria”. E cosa ha fatto? Ha creato il debito comune con il NextGeneration UE, secondo loro. Niente affatto, il NGEU è una insignificante tartaruga (appena 150 miliardi prestati agli Stati dopo quasi 3 anni di discussioni). È stata la Bce, detenendo oggi ben 720 miliardi di titoli pubblici italiani, a scendere in campo e tenere in piedi l’eurobaracca.

Non contenti, sconfinano proprio nell’errore fattuale quando affermano che “il nuovo Trattato del Mes ha previsto la creazione di interventi precauzionali proprio per evitare un suo intervento soltanto in condizioni di crisi manifesta. In questo caso, la condizionalità è molto più leggera, proprio per evitare le conseguenze perverse dell’austerità”.

Trasaliamo sgomenti di fronte a tanta “imprecisione”. Infatti gli interventi precauzionali sono ammessi anche dal testo vigente del Trattato del Mes, quindi nessuna “creazione”. Anzi, la riforma rende l’accesso alla linea precauzionale molto più gravosa, innalzando l’asticella delle condizioni di accesso (il famigerato allegato 3)  e sbatte molti Paesi (Italia in testa) verso la linea di credito a condizioni rafforzate, quella dove domina l’austerità del protocollo d’intesa. Altro che fine del legame tra Mes ed austerità. Il Mes riformato esalta l’austerità. Qui non si tratta di avere opinioni diverse, ma leggiamo attoniti delle enormità equivalenti ad affermare che il Sole gira intorno alla Terra.

Il viaggio prosegue leggendo che è vero che il “Mes ha aiutato le banche tedesche (e francesi, nda) durante la grandi crisi finanziaria”, consentendo al governo greco di disporre di fondi per onorare il proprio debito pubblico detenuto dalle banche franco-tedesche, oltre a sostenere le banche greche allegramente finanziate da tedeschi e francesi. Ma anche questo, per gli autori, non è un difetto del Mes ma un pregio perché essi hanno l’ardire di sostenere che di questo i greci dovrebbero essere grati, perché si è evitato che la Germania chiedesse “compiti a casa”, cioè ancora più austerità. Insomma, il merito del Mes è quello di aver messo in ginocchio la Grecia, anziché finirla con un colpo alla testa. Giudicate voi.

Arriva finalmente un dato preciso quando Buti e Vitale puntualizzano il potere di veto dell’Italia nelle decisioni d’urgenza (cioè quelle in cui il Mes dovrebbe servire a qualcosa) con il suo 17,7% del capitale. Peccato che in tutte le altre decisioni, con il 17,7% l’Italia pesi poco o nulla. Ma poi precipitano di nuovo nel buio quando danno la colpa alla natura di “istituzione intergovernativa” del Mes per spiegare perché tutti gli Stati hanno preso i prestiti del Sure ma nessuno ha utilizzato la linea di credito pandemica del Mes. A loro dire le condizioni erano “sostanzialmente le stesse”. Evidentemente gli Stati membri sono stati tutti di avviso diverso e non per il motivo esposto nell’articolo.

Ma le perle non sono terminate. A proposito della “ristrutturazione del debito come condizione per ottenere il prestito”, siamo al capovolgimento della realtà. Gli autori convengono che esiste un prestito precauzionale “a condizioni molto favorevoli in termini di condizionalità”. Peccato che, per loro stessa ammissione e come scritto già in precedenza, l’accesso a quel prestito sia consentito a Paesi “che rispettano le regole fiscali europee”, peraltro in questi mesi oggetto di riforma, e cioè in questo momento praticamente nessuno. Per differenza, il prestito a condizioni rafforzate prevede il rischio di ristrutturazione, per rendere sostenibile il debito pubblico del malcapitato Paese. Sono partiti per dimostrare l’assenza di rischio di ristrutturazione ed hanno finito per dimostrare il contrario. Un discreto autogol.

Proseguendo, riaffora la teoria del male minore a proposito delle riforme “lacrime e sangue” che i mercati imporrebbero allo Stato membro per sottoscrivere i suoi titoli, in caso di perdita dell’accesso ai mercati. Ammesso e non concesso che sia vero (i mercati non dettano riforme, vogliono stabilità finanziaria e cioè la Bce che faccia il proprio lavoro), questa è una strana teoria per giustificare il Mes: ti amputiamo un arto e ti lasciamo in stampelle, ma ringrazia che non te ne tagliamo due e finisci sulla sedia a rotelle.

Gli autori correttamente specificano i casi in cui si potrebbe accedere al Mes, cioè quelle di uno Stato costretto a pagare tassi di interesse molto elevati o proprio privo di accesso al mercato. In questo caso arriva il benefattore a finanziare a “tassi notevolmente inferiori”. Peccato che i Nostri non si soffermino sul carico di condizioni che accompagna quei tassi solo nominalmente inferiori, come la posizione di creditore privilegiato del Mes. Il Mes non regala nulla ed i tassi sono più bassi solo perché ha più garanzie e meno rischi rispetto ad un normale finanziatore. Il Mes costa meno perché compra meno rischio. È l’ABC della finanza, che ciascuno di voi può verificare quando in banca gli chiedono di pagare un tasso più basso per un mutuo ipotecario rispetto ad uno chirografario.

Così si arriva all’acuto finale.

Buti e Vitali ritengono che porre la ratifica del Mes come condizione per ottenere concessioni su riforma del Patto di Stabilità e completamento dell’unione bancaria, sia “largamente illusorio”.

Credono che sia addirittura “autolesionismo” non ratificare “essendo l’Italia comunemente inserita (quando? Da chi? Nda) tra i Paesi che potenzialmente potrebbero avere più probabilità di accedere al Mes”. Ma questa alla fine risulta l’ammissione clamorosa del legame tra ratifica ed accesso al Mes, che invece gli autori vorrebbero, almeno nel titolo, negare. Dobbiamo ratificarlo, perché potremmo essere i primi ad utilizzarlo. Non avremmo potuto leggere una confessione più completa.

Ratificare, secondo loro, sarebbe “un’iniezione di fiducia che avrebbe effetti favorevoli sugli altri tavoli europei”. Ma questo è solo un pio desiderio, peraltro smentito dai fatti e dalla storia delle trattative europee. Nemmeno verso i bambini si usa più questa puerile pedagogia da quattro soldi (“comportati bene e ti compro il gelato”).

La recente storia dell’unione bancaria (incompleta) è là a dimostrarci che abbiamo sempre ingoiato il boccone amaro ma non è mai arrivato quello dolce.

In conclusione, per non accedere al Mes basta fare riforme (per la crescita, ovviamente…) e conseguire avanzi primari di bilancio (la famosa austerità espansiva che lotta e vive insieme a noi). Ma se qualcosa andasse storto nell’applicazione di queste fallimentari prescrizioni di politica economica, allora c’è il Mes. In effetti non fa una grinza. Se somministri veleno, è normale prepararsi a correre in ospedale.

Ma questo è un quasi un dettaglio, perché le ultime righe vanno finalmente al dunque. C’è un problema di fiducia degli altri Stati nei nostri confronti, perché sembra che non rispettiamo i patti. Ma allora, obiettiamo, cosa esistono a fare le ratifiche da parte del Parlamento? E si palesa il ricatto: non siamo noi che non ratifichiamo il Mes perché vogliamo negoziare anche su altri dossier, come ipotizzato dagli autori. Il messaggio che l’articolo recapita è che da Bruxelles vogliono questo rito sacrificale per permetterci di accedere (come? Quando?) “alla possibilità di estendere l’orizzonte di riforma del Mes” (ma allora a cosa serve questa riforma, se ne dovremo fare subito dopo un’altra?) e completare l’Unione bancaria e le regole fiscali dell’eurozona”. La terza rata del PNRR – da mesi preda di continui rilanci e richieste di approfondimenti da parte della Commissione, quando sembrava ormai tutto risolto –  è là a dimostrare chi ricatta e chi è ricattato. E non è la prima volta che da Bruxelles trapela la tesi che senza ratifica del Mes, è tutto bloccato. È la Repubblica Italiana oggetto di un vile ricatto e dovrebbe rispondere in modo chiaro che l’unica riforma buona del Mes è quella che prevede la sua liquidazione. Siamo noi che dovremmo perdere la fiducia in istituzioni europee che agiscono in tale modo.

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