Dal Rapporto pubblicato dal ministero del Lavoro il 9 giugno risulta che nel primo trimestre del 2021, le attivazioni dei contratti di lavoro, calcolate al netto delle trasformazioni a tempo indeterminato, sono risultate pari a 2 milioni e 293 mila, in calo del 12,2% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (pari a 319 mila contratti in meno), e hanno riguardato circa 1 milione e 813 mila lavoratori, in calo tendenziale del 12,0%, pari a -247 mila persone. Considerando anche le trasformazioni a tempo indeterminato, pari a 127 mila, il numero complessivo di attivazioni di contratti di lavoro raggiunge 2 milioni e 420 mila, in calo del 12,5% (pari a 347 mila attivazioni in meno), rispetto al corrispondente periodo del 2020.
La riduzione tendenziale più consistente in termini relativi si osserva per la componente femminile (-14,7%, rispetto a -10,9% per quella maschile) e nelle regioni del Nord (-15,2%).
Le attivazioni nell’Industria in senso stretto, che rappresentano il 10,3% del totale, presentano nel primo trimestre del 2021 una diminuzione tendenziale pari a -8,8%, che interessa maggiormente le donne (-13,2%, mentre per gli uomini risulta -6,9%). Il calo tendenziale dei lavoratori attivati, al netto delle trasformazioni, viene determinato per effetto di un calo tra gli uomini, pari a -123 mila unità, e di una maggiore diminuzione tra le donne, pari a -124 mila unità), e si può osservare una variazione negativa percentuale maggiormente evidente per gli individui con età fino a 24 anni (-13,4% per gli uomini e -21,5% per le donne). Nel trimestre in esame si registrano 1 milione 593 mila cessazioni di contratti di lavoro, con un significativo decremento, pari al 23,4% (-486 mila unità) rispetto allo stesso trimestre del 2020, che coinvolge in misura maggiore la componente femminile (-24,0%) nei confronti di quella maschile (-22,9%). I Servizi, in cui è concentrato il 73,9% dei rapporti cessati (l’88,8% quando il rapporto di lavoro interessa la componente femminile), rappresenta il settore maggiormente interessato dalla riduzione delle cessazioni. Nel primo trimestre 2021 si registrano 1 milione 178 mila rapporti giunti a conclusione nel settore dei Servizi, in decremento di 420 mila, pari a -26,3%.
È legittimo a questo punto chiedersi come si concretizzerà il Pnrr e l’impatto per le donne italiane.
Nel Pnrr si dice si punta a incoraggiare l’occupazione femminile attraverso investimenti per potenziare l’offerta di asili nido e di servizi per la cura degli anziani e dei portatori di handicap. È la conferma che per far crescere l’occupazione femminile le misure prioritarie riguardano il lavoro di cura, che è principalmente a carico delle donne.
Per la cura ai disabili e alle persone in difficoltà nella Missione 5 “Inclusione e coesione” il Pnrr stanzia in totale un miliardo in due investimenti distinti, mentre per il supporto e l’assistenza domiciliare agli anziani la Missione 6 “Salute” dedica 4 miliardi di euro. Uno sviluppo adeguato di asili nidi (oggi la spesa pubblica in questo campo è solo lo 0,08 per cento del Pil, tra le più basse di Europa) rappresenta uno degli strumenti più importanti per sostenere il lavoro delle donne negli anni cruciali della maternità e per sostenere una natalità in declino.
Secondo i dati e le stime per garantire un posto al nido a un bambino su tre, con rette comparabili a quelle della scuola per l’infanzia, bisognerebbe investire 4,8 miliardi e poi spendere circa 4 miliardi l’anno per la gestione del servizio. Un maggiore sforzo iniziale si ripagherebbe nel tempo con un circolo virtuoso. Infatti, si creerebbero nuovi posti di lavoro (educatori, servizi, e altro) con un conseguente incremento delle entrate fiscali e una crescita dei consumi, il che porterebbe a un aumento del Pil.
Se la percentuale di donne al lavoro arrivasse al 60 per cento, il Pil crescerebbe di 7 punti percentuali, secondo le stime di Banca d’Italia. Tra l’altro, una maggiore offerta di nidi sarebbe di aiuto e incoraggerebbe le famiglie a fare figli e aumenterebbe il capitale cognitivo dei bambini con effetti sui risultati scolastici negli anni seguenti e poi nel mercato del lavoro. Vero è che ci vogliono una molteplicità di interventi su vari ambiti per ridurre in modo efficace il divario di genere e per compiere lo sforzo saranno necessari congedi parentali e un sistema fiscale che non penalizzi il lavoro del “secondo” lavoratore in famiglia. Per i congedi parentali oggi le possibilità sono quelle previste dalle norme uniformate alle Direttive Ue e non ci sono presupposti per aumentarli ma si suggerisce di usare nella contrattazione di prossimità lo strumento dei Fondi bilaterali per ampliare il loro uso per un accesso a permessi ulteriori finanziati attraverso i fondi (Accordo interconfederale sulla governance della bilateralità Confcommercio cgil/cisl/uil 20 febbraio 2014) che ora supportano la formazione e potrebbero intervenire e sostenere in una logica di sussidiarietà e dunque di sostegno al reddito del lavoratore e lavoratrice che si deve assentare dal lavoro per congedi parentali. Le misure sembrano progettate su un filo sottile che corre tra il contrasto e la conferma dello schema culturalmente consolidato per cui alla donna, e solo a lei, sono affidati i carichi di cura. Bisogna creare i presupposti per distribuire i carichi di cura: si tratta di costruire una governance collaborativa e prefigurare l’impatto sulla coesione sociale.
Nella Missione 1 sarà necessario indicare investimenti specifici per l’occupazione femminile cioè essere supportate per portare i loro talenti nei progetti di trasformazione digitale, portando le proprie competenze peculiari nel sistema industriale ed economico.
Nel 2020 le startup innovative, fondamentali per l’innovazione digitale del nostro paese erano 12.068. Le startup innovative a guida femminile solo 1598, ovvero il 13,2%. Bisogna spiegare e prevedere come supportare la nascita e crescita di startup innovative digitali femminili. Dedicato alla digitalizzazione del paese, a cui sono destinati circa 40 miliardi, e indicare le misure specifiche su come avvicinare le donne alle tecnologie richieste dai lavori del futuro.I problemi del gender digital mismatch e del digital gender gap bisogna specificare cosa si dedica all’up-skilling e re-skilling delle donne di tutte le fasce di età, per abbattere gli stereotipi tech di genere e avvicinare le donne ai lavori IT e TLC.
Ad oggi le donne rappresentano solo il 16% della forza lavoro tech e vi è quindi un grave problema di gender digital mismatch: ci saranno posti di lavoro, ma le donne non potranno proporsi perché non saranno qualificate. Le donne, dunque, rischiano di rimanere ancora di più ai margini dei nuovi lavori disponibili. L’indice di “divario di genere” (Gender Gap Index) della Ue rivela come le donne risultino sottorappresentate nelle nuove tecnologie e non siano sufficientemente presenti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, delle startup digitali e dei prodotti ad alta tecnologia.
È necessario dunque favorire, con strumenti formativi specifici, la presenza delle donne nello sviluppo di queste piattaforme tecnologiche. Le donne saranno escluse da questi nuovi posti di lavoro, se non ci saranno piani nazionali strategici mirati ad avvicinare le donne in tutte le fasi lavorative alle materie tech Il Piano parla genericamente di formazione e investe invece sulle competenze STEM solo delle studentesse delle scuole superiori. Studi dimostrano che già dalle primarie si dovrebbe avvicinare le bambine a questi temi e che la scelta delle superiori ha già creato un divario di genere tra le ragazze. In pochissime seguiranno studi tecnici. Anche il temine STEM, è da approfondire. Le donne da anni si laureano in numero maggiore rispetto agli uomini in matematica, biologia, scienze e medicina e iI vero problema da colmare sono materie quali l’informatica ed ingegneria, esattamente le materie che stanno creando e plasmando il mondo dove le donne sono sottorappresentate. A questo proposito facciamo presente che nel Pnrr sono previste Clausola Condizionalità alle aziende: per esempio nelle Discipline STEM le imprese non riescono a trovare le figure professionali e le competenze, e nuove professionalità.
Dato da tenere sotto controllo: per le imprese che parteciperanno ai progetti finanziati dal Pnrr e dai Fondi React-Eu e FCN, previsioni dirette a condizionare l’esecuzione dei progetti all’assunzione di giovani e donne.
Ma non sarà facile.