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Il buon governo di Draghi. Fatti, numeri e confronti

L'economia italiana e gli ultimi provvedimenti del governo Draghi analizzati da Gianfranco Polillo

 

Non si può certo dire che il continuo sfottò di Marco Travaglio abbia prodotto l’effetto sperato. Quello di Draghi non sarà stato il “governo dei migliori”, ma comunque le distanze, in termini di risultati, con la doppia esperienza di Giuseppe Conte restano incolmabili. A dimostrazione del fatto che all’Italia non servono supereroi. Bastano uomini normali. A condizione che siano guidati da quel tanto di disinteresse personale e si dimostrino refrattari alle lusinghe di possibili imbonitori, allevati nel circo barnum del “Grande fratello”.

Con l’ultimo decreto legge, il Governo mette a disposizione di famiglie ed imprese risorse per 17 miliardi di euro. Serviranno per alleviare soprattutto i morsi del caro vita. Di quella inflazione da costi, nata prima dell’invasione russa dell’Ucraina, ma divenuta più aspra dopo i 163 giorni di guerra. Poche settimane prima, un altro decreto aveva stanziato altri 35 miliardi di euro: più o meno con le stesse finalità. Una vecchia promessa di Mario Draghi (non è questo il momento di togliere, ma di dare) è stata quindi mantenuta. Il totale, nei primi otto mesi scarsi dell’anno, è di 52 miliardi di euro. Quasi 3 punti di Pil.

Basterebbe questo. Che, tuttavia, non è il piatto forte. L’aspetto più importante è dato dalla sostenibilità finanziaria dell’intervento. Contrariamente a quanto reclamava Matteo Salvini (è indispensabile uno sforamento di 50 miliardi), i conti appaiono in ordine. O meglio seguono il decorso annunciato dall’ultimo Def. Con l’indebitamento netto che dovrebbe scendere dal 7,2 al 5,6 per cento. Ed il rapporto debito/Pil dal 150,8 al 147 per cento.

Diversi i fattori che hanno contribuito a questo successo. A partire da un tasso di crescita, in termini reali, che ha bruciato le più nere previsioni. Finora la crescita acquisita, secondo la certificazione dell’Istat, è stata pari al 3,4 per cento. Ben sopra l’ipotesi di fine anno (3,1 per cento) del Def. E dopo il 6,6 dello scorso anno. Derubricato, sempre da quelli de Il fatto quotidiano, a “semplice rimbalzo”. Puro autolesionismo. Per completezza è bene ricordare che le previsioni di Confindustria per l’anno in corso non andavano oltre l’1 per cento.

L’inflazione, a sua volta, pur producendo danni, ha dato una mano. Ha gonfiato il Pil nominale e quindi ridimensionato il rapporto degli aggregati di finanza pubblica, i cui valori sono rapportati, appunto, a questa maggiore grandezza. Ha anche dato una spinta ai consumi, che tuttavia non sono cresciuti, come pure potevano. Specie nel settore dei beni durevoli e degli investimenti ha, comunque, spinto aziende ed imprese ad anticipare le loro decisioni, per spuntare un prezzo seppur leggermente minore, rispetto al trend dei mesi a venire.

A loro volta i tassi d’interesse, seppure in aumento, sono risultati, in genere, negativi dal punto di vista reale. Confrontati cioè con il tasso d’inflazione. Se ne è avvantaggiato soprattutto il bilancio dello Stato. Oggi sul mercato secondario un titolo di stato (ad esempio BTP Italia), con scadenza media 6 anni, rende il 2,43 netto, come interessi. Quando il tasso d’inflazione è pari al 7,9 per cento. Ne deriva che, per coloro che hanno acquistato alla pari il titolo, al momento dell’emissione, la perdita, in conto capitale, si avvicina all’11 per cento. Una sorta di piccola patrimoniale per coloro che hanno bisogno di realizzare e fare cassa.

Nonostante questi inconvenienti, in economia non esistono pasti gratis, l’inflazione, comunque, ha aiutato. Ma soprattutto è stata la BCE che ha, finora, impedito agli spread di crescere più di tanto. Lo ha potuto fare continuando ad acquistare titoli del debito pubblico italiano, contenendo gli spread. Acquisti che, nell’ultimo mese, sono stati pari a circa 10 miliardi di euro, grazie alle risorse ottenute dal rimborso dei titoli giunti a scadenza ed acquistati in precedenza nell’ambito del PEPP (pandemic emergency purchase programme).

Discrezionalmente, la Banca centrale ha cambiato il mix degli acquisti, in precedenza rigidamente vincolati. Ha potuto così aiutare l’Italia, insieme (comunque molto meno), alla Spagna e alla Grecia. Ma solo perché il quadro complessivo del Paese era tale da garantire i requisiti di stabilità richiesti. E forse, anche perché, al timone di Palazzo Chigi era il past president dell’Istituto.

Si dirà: ma Giuseppe Conte ha fatto ben altro. Veramente dai dati non risulta. A meno che non sia colpa di Eurostat, nei 988 giorni del suo Governo (dal 1 giugno 2018 al 13 febbraio 2021), il tasso di crescita dell’economia italiana è stato il più modesto dell’Eurozona. Meno 2,5 per cento in media, con la massima caduta del 9 per cento nel 2020. Semplice sfortuna? Può darsi. Sennonché l’anno successivo, l’Italia balza in testa. Settima posizione nell’Eurozona, ma seconda (subito dopo la Francia) tra i Paesi maggiori. Nei primi sei mesi di quest’anno comunque l’Italia ha fatto meglio anche dei cugini d’oltre Alpe.

Comunque sia, altra considerazione, il ristoro dei due Governi (giallo verde e rosso) è stato decisamente superiore. Vero: più di 105 miliardi di euro. L’80 per cento in spesa corrente, il resto in conto capitale. Cui aggiungere altri 20 miliardi di minori entrate. Un totale di oltre 125 miliardi di euro. Per fortuna, la spesa per interessi è leggermente diminuita (un risparmio di poco più di 8 miliardi), ma il salasso è stato imponente. Si poteva forse risparmiare qualcosa? Forse si: basti pensare al reddito di cittadinanza ed al super bonus del 110 per cento per l’edilizia. Il primo a favore dei meno abbienti, il secondo dei più ricchi. In entrambi i casi una normativa che non passerà certo alla storia come fulgido esempio del buon legiferare.

Ma con quali conseguenze? Il livello di indebitamento che, all’inizio del 2018 era risultato pari al 2,4 per cento, alla fine di quell’esperimento, raggiungerà il 9,6 per cento. Roba da anni ‘70. A sua volta, il rapporto debito/Pil crescerà addirittura di 21,1 punti, dal 134,2 al 155.3 per cento. Vero Guinness dei primati, considerato che un balzo così alto non si era mai verificato dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Facile allora vedere quale era stata la filosofia di quei due Governi. Spendere senza alcuna preoccupazione, approfittando del via libera consentito dall’Europa a seguito dell’epidemia di Covid. Come se alla fine quei debiti – cosa che il Governo Draghi ha già cominciato a fare – non dovessero essere ripagati.

Ed allora facile la conclusione. Gli italiani saranno anche stati “un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”, come aveva immaginato Benito Mussolini, nel suo discorso alle Nazioni Unite. Ma per garantire il buon governo del Paese, basta molto meno. Non abbiamo nemmeno bisogno “dei migliori”, come ironizza il Fatto quotidiano. Basta conoscere un poco le cose e comportarsi di conseguenza, non perdendo di vista un’interesse di carattere più generale.

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