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Tunisia

I motivi economici delle strepitii politici della Russia contro l’Italia

L'analisi di Gianfranco Polillo

Secondo la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, “Roberto Cingolani che ha presentato il suo piano per ridurre la dipendenza dell’economia italiana dagli idrocarburi russi” non ha fatto altro che seguire le imposizioni su Roma da parte di Bruxelles, che a sua volta agisce su ordine di Washington. Ma alla fine saranno gli italiani a soffrirne”. Così su Telegram. Un richiamo così personalizzato e puntuale è circostanza poco usuale negli annali della diplomazia. Ma ormai la Russia di Putin ci ha abituato a ben altro. Figuriamoci, allora, se questo goffo richiamo possa essere pietra dello scandalo. Meglio, invece, cercare di capire le ragioni che hanno portato a questo piccolo assalto all’arma bianca contro l’Italia considerata, a torto o ragione, il ventre molle dell’Europa.

Le prime che vengono alla mente sono di natura squisitamente economica. Nel 2021 le importazioni di gas russo, in Italia, secondo i dati del Mise sono state pari a poco meno di 30 mila miliardi di metri cubi. Quasi il doppio delle quote del 2010, quando la prevalenza dei rifornimenti era ancora assicurata dall’algerina Sonatrach. Ma allora la “rivoluzione” del duo Berlusconi (Presidente del consiglio e Ministro dello sviluppo economico) Scaroni (ad di Eni) a favore di Gazprom doveva ancora materializzarsi. Sarà quindi un caso se lo stesso Scaroni, in perfetta sintonia con Matteo Salvini, lamenti l’eccessivo peso delle sanzioni, che farebbero più male all’Italia che non alla Russia?

Allo stato attuale le importazioni di gas russo sono più che dimezzate. Certo l’aumento dei prezzi che è intervenuto, per Mosca, non solo ha limitato i danni, ma si è tradotto in un forte utile, che gli uomini della Lega si sono subito sbracciati nel sottolineare.  “Ottimo Salvini – ha cinguettato qualche giorno fa Claudio Borghi – che ha il coraggio di dire che le sanzioni alla Russia fanno male a noi mentre la Russia fa 70 miliardi di surplus commerciale e quindi non pare il caso di continuare su questa strada.” Ma che succederà domani, quando non solo l’Italia, ma l’Europa stessa, sarà in grado di sviluppare il suo piano di diversificazione delle fonti? A chi sarà venduto il surplus estrattivo della Russia. Alla Cina, che già acquista, con un forte sconto, la merce più trasportabile, vale a dire il petrolio? O all’India, che si trova in condizioni analoghe. E l’eccesso di produzione di gas, nell’immediato poco trasportabile, se non per mezzo di pipeline, che fine farà? Continuerà ad essere bruciato nella stazione di compressione di Portovaya? Va bene che nel “lungo periodo saremo tutti morti”, ma attenti a non enfatizzare troppo il singolo istante. È come quello che cadeva da ventesimo piano ed al diciannovesimo si consolava: “per il momento tutto bene”.

Un secondo motivo, facilmente intuibile, è indissolubilmente legato alla situazione politica italiana. Nel dibattito elettorale il problema “sanzioni” è stato ed è al centro dello scontro politico. Del resto non poteva essere altrimenti. La posta ha un’importanza tale da sovrastare qualsiasi altra considerazione. Il tema è quello della “scelta di campo”: con l’Occidente o con i suoi nemici. E che tipo di nemici poi: assoluto disprezzo di qualsiasi regola internazionale, il mentire sapendo di mentire, la perdita di qualsiasi credibilità non essendoci soluzione di continuità tra la politica e l’economia. E quindi un rapporto ancillare della seconda rispetto alla prima: per cui gli stessi contratti a medio e lungo termine, regolarmente sottoscritti, possono essere cancellati con un semplice tratto di penna, se il potere assoluto del capo lo richiede. L’insorgere di una disistima destinata a pesare lungamente nei futuri rapporti commerciali della Russia con qualsiasi altro partner che vorrà scegliersi. Che non potrà avere certezza del rispetto degli impegni assunti.

Tutto questo sta venendo alla luce nel dibattito interno italiano. Ed ecco allora che le parole dei soli amici di Putin non bastano più. Neppure quando sono camuffate nei nobili richiami a favore della pace. Del resto che credibilità può esservi quando le immagini mostrano che si può utilizzare impunemente una centrale nucleare, a Zaporizhzhia, come avamposto e fortezza per le proprie truppe, nonostante i pericoli che una simile scelta può comportare? Ed ecco allora lo scendere in campo di Maria Zakharova: non tanto rivolta verso gli italiani. Troppo smaccate le parole usate, quanto verso il fronte interno, sempre più dubbioso circa le sorti di quell’”operazione militare speciale” che ha sempre più il volto di una vera e propria guerra di lungo periodo.

Ma c’è solo questo, o non anche il tentativo di dimostrare che quelle sanzioni, come ricordava Borghi, fanno più male agli italiani che presto saranno chiamati a subirne le conseguenze, che non a chi le subisce? Generalmente i teorici del “non facciamoci del male” guardano alla realtà russa, basandosi essenzialmente su due soli parametri: l’andamento delle partite correnti della bilancia dei pagamenti ed il valore del rublo nei confronti del dollaro. Ovviamente i due parametri sono tra loro correlati. Il surplus delle partite correnti porta infatti ad una rivalutazione del rublo nei confronti delle altre monete. Mentre l’eventuale riduzione del surplus o addirittura il deficit determina una situazione opposta. Rispetto allo scorso marzo, quando a seguito dell’invasione il rublo era crollato, il recupero c’è stato. Ma nel medio periodo i dati offrono un’immagine diversa.

Secondo l’ultimo bollettino della banca centrale russa, nel mese di giugno 2022 rispetto al 2018 il rublo si è svalutato del 21 per cento rispetto al dollaro, mentre nei primi sei mesi di quest’anno, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, la perdita di valore era stata del 2,4 per cento. Nonostante il forte attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti che è risultato pari a 70,1 miliardi di dollari. Ottenuto grazie ad un forte avanzo delle esportazioni (più 25,2 miliardi rispetto al semestre dell’anno precedente), ma anche a seguito di una forte contrazione delle importazioni, per 20,9 miliardi, dovute alle sanzioni. Contrazione che rappresenta la vera palla al piede dell’economia russa.

“Il valore delle importazioni di beni e servizi – commenta la Banca – si è contratto del 22%” nel secondo trimestre dell’anno “a causa delle nuove sanzioni. Il maggiore calo delle importazioni russe è dovuto alla contrazione degli scambi commerciali con l’UE, che ha introdotto sei pacchetti di sanzioni nel 2022. Secondo Eurostat, il valore delle esportazioni dell’UE verso la Russia è sceso di oltre la metà nel periodo di aprile-maggio 2022. Oltre all’UE, gli Stati Uniti, Australia, Giappone, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito, Corea del Sud e Taiwan hanno imposto divieti alla fornitura di prodotti ad alta tecnologia alla Russia.”

Ma anche sul fronte delle esportazioni le cose non sono state rose e fiori. “Secondo la Banca Mondiale, – continua impietosa l’Istituto – il prezzo del Brent è aumentato del 64% a 113 dollari USA al barile in media nel secondo trimestre del 2022, a causa di una domanda crescente, di un’offerta limitata e all’esaurimento delle scorte. L’effetto positivo per le esportazioni russe è stato limitato dallo sconto con cui il petrolio russo è stato venduto a causa delle difficoltà di vendita dovute alle sanzioni. Tuttavia, anche tenendo conto dello sconto sostanziale, il prezzo del greggio russo Urals era di quasi 80 dollari USA al barile.” Sennonché, facendo due conti è facile vedere come la perdita, rispetto alla dinamica del mercato, sia stata pari a circa il 30 per cento. Se a questo sommiamo i costi del gas bruciato a Portovaya, a causa della scarsa flessibilità della logistica del pipeline, si può vedere quanto sia elevato il prezzo dell’invasione.  Ultima notazione, infine, l’andamento delle riserve valutarie. Ammonterebbero a poco più di 584 miliardi di dollari, ma dall’inizio dell’anno sono diminuite del 7,3 per cento.

Fin qui gli aspetti positivi, che tanto piacciono agli amici italiani di Putin. Poi ci sono quelli negativi, che hanno una consistenza forse maggiore. A partire dai livelli d’inflazione, che la stessa banca centrale, nelle sue “linee guida di politica economica”, nello scenario di base, prevede entro una forchetta compresa tra il 12 ed il 15 per cento a fine anno. Attualmente (luglio 2022) è al 15,1 per cento. Quasi il doppio di quella europea, dovuta, a sua volta, a cause ben diverse. Mentre in occidente pesano soprattutto i prezzi dei prodotti energetici, con il loro impazzimento dovuto alle manipolazioni di carattere politico, in Russia sono state soprattutto le sanzioni, che hanno interrotto il normale flusso produttivo, determinando strozzature nell’offerta dei singoli prodotti e di conseguenza un aumento dei loro prezzi relativi.

Nel primo semestre del 2022, scrive sempre la Banca centrale russa: “molti produttori di auto, elettronica, chimica e altri beni hanno interrotto le loro forniture alla Russia. Secondo Eurostat, nel periodo aprile-maggio 2022 si è registrato un calo delle importazioni su base annua, in quanto l’Unione Europea ha interrotto le forniture di computer, trattori e pezzi di ricambio per auto, e quasi completamente le forniture di autovetture alla Russia. Le importazioni di servizi hanno risentito di un calo considerevole del trasporto aereo di passeggeri e merci, nonché dalle restrizioni imposte su altri tipi di servizi, come le assicurazioni. Anche il valore delle importazioni è stato trascinato al ribasso da strozzature nei pagamenti e nella logistica. Diverse compagnie internazionali di trasporto container si sono rifiutate di fornire servizi alla Russia.”

Il risultato di tutto ciò si tradurrebbe in una brusca caduta del Pil, che la stessa Banca stima tra il 6 ed il 4 per cento. Si tratterebbe, in questo caso, di un risultato pari a quello del 1998, che, com’è noto, segnò gli ultimi anni del potere di Boris Eltsin. Che poi sia questo il risultato più probabile è tutto da dimostrare. Il FMI, ad esempio, prevede un crollo dell’8,5 per cento, il più alto in assoluto del periodo più recente della storia russa, una volta superato il trauma dell’implosione. Bloomberg, analizzando un documento riservato prodotto da economisti russi che ha potuto visionare, sembra convalidare le previsioni della Banca per l’anno in corso, salvo prevedere una caduta ben maggiore (-8,3 per cento del Pil) l’anno successivo.

Stesse conclusioni, infine, da parte di uno studio approfondito della Yale School of Management, che esamina il core business dell’economia russa, traendo conclusioni a dir poco preoccupanti. Eccesso di pessimismo? Forse. Trattandosi, al momento, di semplici previsioni si può sostenere tutto ed il contrario di tutto. La sostanza è tuttavia resa evidente dalle recenti dichiarazioni del vicepresidente della Banca centrale, Dmitry Tulin. Secondo il quale le banche russe, a seguito delle sanzioni imposte, avrebbero perso 1.500 miliardi di rubli (24,95 miliardi di dollari) nei primi sei mesi di quest’anno. E se Putin è costretto a licenziare altri generali, non lo fa soltanto perché non è contento degli scarsi successi militari conseguiti. Ma perché sempre più convinto che il tempo lavori contro i suoi piani. Il costo di una lunga guerra di logoramento, nonostante l’arsenale atomico a disposizione, non sembra essere compatibile con l’economia di un Paese che è sempre vissuto soprattutto sulla semplice esportazione di prodotti energetici e materie prime.

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