All’indomani di una delle sedute del Consiglio Europeo più lunghe e convulse, l’azione del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è stata salutata con termini che, messi in sequenza, non si ascoltavano dal ventennio del secolo scorso. Non siamo arrivati a “spezzeremo a le reni alla Grecia”, ma ci siamo andati vicini.
Ha tracciato il solco il portavoce del M5S, Vito Crimi che, giovedì sera, ancora prima della conclusione del Consiglio, scriveva su Twitter “grazie a Conte per aver saputo rappresentare e difendere l’Italia e gli italiani. Il nostro Paese e l’Europa hanno bisogno di un sostegno reale e incondizionato. Le logiche del passato sono inaccettabili, non rispondono alle sfide di oggi. Indietro non si torna” Seguito a ruota da Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, che, con tono belligerante, scandiva <<Conte testimonia dignità e fierezza di un paese che non si piega al MES. Altri ci hanno svenduto, ora il governo Conte non cede, non arretra. E lo fa con M5S compatto che chiude al MES e ad un’UE “meschina”. Alla faccia di chi ci dava dei “venduti”>>. Per concludere con Marco Travaglio che ieri titolava sul Fatto Quotidiano “il vaffa di Conte alla fu Europa. Il premier attacca il fronte del nord”. Tutti galvanizzati da Conte che finalmente aveva dissotterrato l’ascia di guerra dichiarando “Se qualcuno dovesse pensare a meccanismi di protezione personalizzati elaborati in passato allora voglio dirlo chiaro: non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l’Italia non ne ha bisogno”.
Tutto questo esibire i muscoli, perché nella dichiarazione finale del Consiglio è sparito ogni riferimento alla parola MES, che invece c’era nella bozza che circolava tra i diplomatici, con la quale si è aperto il confronto. Il documento recita “prendiamo atto dei progressi compiuti dall’Eurogruppo. In questa fase, lo invitiamo a presentarci proposte entro due settimane”. Il MES, parola citata ben 8 volte nella lettera del Presidente dell’Eurogruppo al Presidente del Consiglio Charles Michel, con dovizia di particolari sui dettagli concordati, è scomparsa del tutto. A questo punto non si capisce su cosa dovrebbero lavorare i ministri delle finanze nelle prossime due settimane, se erano stati proprio loro ad invitare i leader a prendere una decisione su alcune questioni dirimenti rimaste in sospeso sull’applicazione del MES. Questo rinviare la palla a soggetti di rango inferiore (i ministri delle finanze)che avevano rimesso ai capi di governo la patata bollente, proprio per definire gli aspetti più controversi, è un circolo vizioso che si commenta da sé.
Allora ci si chiede per conto di chi abbia lavorato il ministro Roberto Gualtieri martedì sera e nei giorni precedenti. Chi gli ha dato il mandato di avallare le conclusioni di Mario Centeno che prevedevano il MES come unico strumento pronto all’uso per fornire sostegno finanziario agli Stati alle prese con la crisi economica da COVID 19? Tanto pronto all’uso che il direttore del MES, Klaus Regling, aveva pure definito l’ammontare disponibile per ciascuno Stato, offrendoci la miseria di €35 miliardi?
La vicenda della riforma del MES aveva già aperto un serio problema nei rapporti tra Parlamento e Governo, che si era mostrato sordo agli atti di indirizzo del Parlamento per ben due volte e con due diverse maggioranze, a giugno ed a dicembre 2019. Ma ora si apre una voragine anche all’interno del Governo. C’è sintonia tra il mandante (Conte) ed il mandatario (Gualtieri)? Qual è la linea dell’Italia?
Martedì pomeriggio, prima dell’Eurogruppo, Gualtieri in audizione parlamentare aveva fatto esplicito riferimento alla possibilità di attivare il MES “senza condizionalità” e, in effetti, il comunicato di Centeno parlava di “termini e condizioni coerenti con la particolare natura della sfida condivisa da fronteggiare” ed era questo il sentiero su cui sembravano avviati i leader. Una condizionalità minima. Ma l’incantesimo si è rotto quando i leader hanno dovuto fare i conti con la realtà delle precise disposizioni del Trattato del MES che prevede “rigide condizionalità”. Prendere o lasciare. Tutte cose che Gualtieri conosceva già, ma che evidentemente riteneva accettabili. Il clima si è ancor più irrigidito quando la coalizione dei nove (Italia, Francia, Spagna ed altri) ha messo sul tavolo la proposta di “uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’UE per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri. Esso dovrà essere di dimensioni sufficienti e a lunga scadenza, per essere pienamente efficace e per evitare rischi di rifinanziamento ora come nel futuro”. I famosi, ma non meglio definiti, Eurobond o Coronabond.
A quel punto, come riportato sia da Financial Times che da Bloomberg, Angela Merkel è stata categorica: “ci sono aspettative irrealistiche, il nostro strumento preferito è il MES”. Prontamente spalleggiata dal Premier olandese, Mark Rutte, nel solito ruolo del poliziotto cattivo, che ha aggiunto “in nessuna circostanza l’Olanda accetterebbe gli Eurobond, essi sono estranei al progetto dell’Unione Monetaria”. Ci ha pensato il leader portoghese Antonio Costa a fornire una sintesi del clima arroventato creatosi in Consiglio, sia pure a distanza, quando a definito “ripugnante” e “privo di senso” il commento del ministro delle finanze olandese, relativo alla scarsa disciplina di bilancio dei paesi del sud Europa. Ma il blocco tedesco ha ragione. L’Unione è stata concepita in modo da evitare rigorosamente ogni ipotesi di condivisione di responsabilità di bilancio. I Trattati sono disseminati di barriere invalicabili, tra cui spicca quella degli articoli 123 e 125 del TFUE, che disciplinano il divieto per la BCE di finanziamento monetario del deficit degli Stati. E, qualora qualche Stato sia in difficoltà, c’è il MES, l’accesso al quale è condizionato alla sottoscrizione di un protocollo di intesa che prevede rigide condizioni a garanzia del rimborso del debito (art. 136/3 TFEU). Sono le regole che abbiamo firmato nel 1992 a Maastricht e nel 2009 a Lisbona. Ed i tedeschi hanno ragione a richiamarne l’applicazione. Il pensiero tedesco è efficacemente riassunto in questo articolo pubblicato su “Die Welt”, in sintesi: “la Merkel è rimasta irritata dall’aggressività manifestata da Conte… i tedeschi sono preoccupati che il tasso di interesse per il debito pubblico tedesco potrebbe aumentare di circa un punto percentuale a causa degli eurobond, causando un aumento dell’esborso per interessi sui Bund… Tutto ciò sarebbe un brutto affare per i contribuenti in Germania, Lussemburgo, Austria e Paesi Bassi, mentre altri paesi risparmierebbero denaro.” Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sul perché la Merkel tiene il punto, questo dovrebbe essere sufficiente a spiegarlo. L’opinione pubblica tedesca non vuole condivisione di debito e, per citare un famoso brocardo, “nemo potest ad impossibile obligari”.
Quello che, nelle intenzioni di Gualtieri, avrebbe dovuto essere solo la negoziazione di dettagli, si è rapidamente trasformato in un calvario per Conte che si è infine arroccato in una posizione condivisibile, ma politicamente molto pericolosa e non più rimangiabile. Cosa spera di ottenere in questi 14 giorni? Che dal cilindro spunti il coniglio di un prestito della BEI o del MES senza condizioni? Regling lo ha detto chiaramente: gli eurobond ci sono già e sono i titoli emessi dal MES e dalla BEI, che prestano agli Stati secondo regole ben definite; solo in questo modo è possibile la garanzia di tutti gli Stati. Altri voli pindarici non sono politicamente sostenibili, né in Germania, né altrove.
A mettere un puntello alla traballante posizione di Gualtieri, non difeso nemmeno dal PD, è poi arrivato sabato un comunicato da “fonti di Palazzo Chigi” secondo cui “Il Presidente del Consiglio con il Ministro Gualtieri e l’intera compagine di governo sono in totale sintonia sui dossier europei e sulla linea adottata dal governo italiano nell’ultimo Consiglio europeo. L’Ue ha davanti a sé una sfida epocale, e di conseguenza – è la posizione unitaria del governo – bisogna porre in essere uno sforzo straordinario, sia in campo economico sia in campo sanitario, per affrontare e superare al più presto questa fase emergenziale. Pertanto, precisano fonti di palazzo Chigi, le ricostruzioni apparse su alcuni quotidiani che riferiscono di attriti e divergenze nella maggioranza sono completamente prive di ogni fondamento”. Una smentita è una notizia data due volte.
Nella stessa giornata, il Presidente Conte ha ritenuto opportuno, per la prima volta, comparire in conferenza stampa con il ministro Gualtieri, a voler fugare ogni dubbio sull’intesa tra i due. Ma il contrasto è nei fatti: se il tuo ministro dell’Economia firma un documento che contiene indicazioni che tu fai platealmente a pezzi due giorni dopo, il problema c’è ed è pure grosso.
Ora Conte, dopo aver stracciato le slide che illustravano l’adesione al MES, deve spiegare al suo ministro dell’Economia cosa intende fare e, soprattutto, deve chiedergli di agire secondo le sue indicazioni e rispondere solo a lui. Altrimenti la sua si rivelerà presto un’improvvida fuga in avanti.
(versione integrata e aggiornata di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)