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I 3 pilastri del Made in Italy post Covid. Report Unicredit

Numeri, tendenze, scenari e suggerimenti dal rapporto Unicredit sul Made in Italy post Covid

 

Si è conclusa a Milano la roadmap virtuale nell’ambito del programma «UniCredit per l’Italia» lanciato dal gruppo bancario guidato dall’amministratore delegato, Jean-Pierre Mustier. L’obiettivo del progetto incentrato sul Made in Italy è quello di riflettere sugli scenari economici post Covid e sulle strategie per la ripartenza delle eccellenze italiane.

Il dossier

Lo studio di Unicredit, basato sui dati Istat, ha analizzato due settori italiani che hanno svolto un ruolo fondamentale durante il lockdown: quello farmaceutico e quello dell’healthcare. Il rapporto evidenzia come i due comparti contribuiscano al Pil italiano per il 10%, generando 110 miliardi di fatturato, grazie a circa 25 mila imprese attive.

Le tendenze

“Con la tappa milanese si è chiusa il ciclo di incontri The Italian Way di UniCredit in cui abbiamo colto l’occasione per una riflessione approfondita sulle strategie di rilancio dei settori di eccellenza del Made in Italy, quali: Pharma&Healthcare, Fashion, Cinema, Agrifood, Arredo & Design, Vino e Meccanica strumentale – ha commentato Andrea Casini, co-ceo Commercial Banking Italy UniCredit – Il settore farmaceutico si eè rivelato fondamentale nella gestione della crisi sanitaria e performante anche in termini di redditività”.

Il settore farmaceutico

«Il comparto farmaceutico, che registra circa 20 mila imprese attive e genera 90 miliardi di fatturato, è risultato immune al virus in termini di tenuta dei margini e propensione agli investimenti, grazie alla solidità delle imprese e alla flessibilità finanziaria che ha permesso una straordinaria velocità di reazione alla crisi», si legge nello studio di Unicredit.

Il settore healthcare

Al contrario di quello farmaceutico, il settore healthcare ha registrato delle gravi perdite in seguito all’emergenza sanitaria. Durante il periodo del lockdown, infatti, sono saltati circa 600 mila interventi chirurgici e 12 mila esami radiologi e del sangue. Questi danni potrebbero costare al comparto tra il 4 e il 5% del suo fatturato annuo.

I nodi

Il rapporto mette a fuoco tutte le criticità del sistema sanitario nazionale. In primis le inefficienze del modello organizzativo, ma anche la cronica assenza del personale sanitario soprattutto infermieristico. La carenza di infermieri, inoltre, aumenterà ogni anno a causa dello squilibrio tra pensionamenti e nuove assunzioni. Infine un altro punto debole del nostro sistema sanitario nazionale è il gravo ritardo italiano nei processi di digitalizzazione della sanità. «La pandemia, se da un lato mette in luce l’enorme potenziale delle tecnologie digitali applicate alla salute, dall’altro deve rappresentare un campanello d’allarme per attivare una stagione di investimenti», si legge nel dossier del gruppo bancario.

Le proposte

Lo studio dell’Unicredit, dopo aver evidenziato le criticità, sottolinea strategie e opportunità di crescita. Sono tre i pilastri della ripartenza per le aziende che lavorano nella filiera Pharma & Healthcare.

La Silver Economy: L’Italia è la nazione europea con la più alta percentuale di anziani nella popolazione attiva (il 34%), è necessario dunque investire nelle occasioni di business legate all’invecchiamento demografico.

La digitalizzazione: Nei prossimi 5 anni il valore globale del settore della sanità digitale è previsto quintuplicare, raggiungendo i 504 miliardi di dollari, con una crescita media annua del 29% rispetto al 2018. Il settore farmaceutico è tra i comparti più avanzati a livello tecnologico, contrariamente a quello dell’healthcare che deve colmare il gap.

La sostenibilità: Healthcare e finanza sostenibile viaggeranno sempre più insieme nei prossimi anni. L’impatto della pandemia, infatti, ha posto l’accento sulla necessità di promuovere modelli di crescita più inclusivi e responsabili. «Considerata la crescente richiesta da parte degli investitori, nel post Covid si attende una forte crescita del mercato globale dei social Bond che hanno registrato un’impennata delle emissioni durante il periodo di lockdown», conclude lo studio dell’Unicredit.

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