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Huawei e non solo, ecco la guerra tra Usa e Cina sui cavi sottomarini

L'approfondimento di Giuseppe Gagliano

Contrariamente alle convinzioni dell’opinione pubblica Internet non è una rete immateriale ma deve la sua esistenza e la sua efficacia a infrastrutture materiali.

Basti pensare che l’uso di Google è reso possibile dall’esistenza di 16 data center distribuiti negli Stati Uniti, in Europa, in Asia e in Sudamerica. Accanto ai data center l’amplissima rete di cavi in fibra ottica che connette fra di loro paesi e continenti permette ai data center di funzionare. Quanto al consumo energetico basterebbe ricordare che i data center consumano moltissimo e il consumo energetico da loro determinato raddoppierà ogni quattro anni.

Per quanto riguarda i cavi sottomarini dobbiamo tenere a mente che il 97% delle comunicazioni, ricorda Manlio Graziano nel suo saggio “Geopolitica.O rientarsi nel grande disordine mondiale” (il Mulino, 2019), passa proprio attraverso i cavi.

Secondo le stime più attendibili la rete sottomarina di cavi in fibra ottica ha una lunghezza totale di 900.000 km e cioè quasi due volte e mezzo la distanza tra la terra e la luna. Collocare i cavi in fibra ottica implica, fra le altre cose, uno studio morfologico e geologico dei fondali e delle coste poiché bisogna ad esempio evitare le zone più pescose. Inoltre, allo scopo di rendere efficiente la rete di cavi sottomarini, ogni 65 km diventa necessario costruire dei ripetitori.

Dal 2012 al 2017 i rapporti di forza in relazione alle infrastrutture sottomarine relative alla comunicazione Internet tra le potenze sono cambiati: se nel 2012 l’egemonia americana era indiscussa a partire dal 2017 la Cina rappresenta un credibile e pericoloso competitore. Inoltre, quando nel 2013 venne rivelato il ruolo della National security agency nello spionaggio a livello globale molti paesi – e fra questi certamente la Cina e il Brasile – furono legittimati a porre in essere una politica delle infrastrutture di rete autonome o in aperta competizione con quella americana .

È necessario inoltre osservare non solo la loro fragilità fisica ma anche la facilità con la quale è possibile compiere operazioni di spionaggio. Per esempio nel 2013, al largo di Alessandria, fu tagliato il cavo che stabiliva la connessione tra Europa ed Egitto finendo per bloccare per oltre una settimana l’accesso a Internet al 60% del paese. Tutto ciò sta a dimostrare come sia puramente illusorio attribuire una valenza sovranazionale a Internet.

La realtà è – rispetto ad una visione ideologica della realtà-  ancora una volta profondamente diversa: ieri come oggi le infrastrutture delle telecomunicazioni sono uno strumento formidabile per moltiplicare la potenza economica e militare degli Stati. A tale proposito basterebbe rileggersi due saggi di capitale importanza sia nel contesto geopolitico che storico apparsi in questi ultimi anni e cioè quello di Peter Hugill “La comunicazione mondiale dal 1844. Geopolitica e tecnologia” (Feltrinelli, 2005) e quello di Carlo Maria Cipolla “Veli e cannoni” (il Mulino, 2011) per comprendere in modo chiaro quanto abbia inciso la tecnologia nel corso della storia per il conseguimento della supremazia politica ,militare ed economica delle nazioni. Come ebbe modo di sottolineare uno dei più grandi studiosi di geopolitica e cioè Nicolas Spykman il miglioramento dei rapporti di forza diventa l’obiettivo primario della politica interna ed estera degli Stati e non c’è alcun dubbio che la tecnologia nel suo complesso sia un moltiplicatore di potenza economica e militare.

È evidente quindi il ruolo rilevante rivestito dai cavi sottomarini nel contesto della attuale guerra economica tra Cina e Usa.

Gli Usa hanno fino a questo momento svolto un ruolo fondamentale come players nel contesto del dominio delle infrastrutture digitali e non vogliono che la Cina, in particolare Huawei, possa ridimensionare in modo rilevante l’ egemonia conseguita.

La postura offensiva cinese anche nel contesto delle infrastrutture digitali sottomarine è dimostrata dal fatto che, in primo luogo, Huawei Marine Networks Co., di proprietà del gigante delle telecomunicazioni cinese, ha posato un cavo di 6mila chilometri tra il Brasile e il Camerun e, in secondo luogo, ha iniziato a lavorare su un’altra rotta di 12mila chilometri che collega l’Europa, l’Asia e l’Africa (progetto questo denominato Peace cioè Pakistan & East Africa Connecting Europe determinante per la One Bel ,One Road ) e sta completando i collegamenti tra il Golfo della California e il Messico. In totale, l’azienda sta lavorando su circa 90 progetti per costruire o aggiornare collegamenti in fibra ottica sul fondo marino.

È evidente che Washington vede questa espansione come una delle principali minacce di spionaggio e sta attuando una forte pressione sui suoi alleati, avvertendoli che limiterebbe la condivisione nel contesto della cooperazione militare se Huawei dovesse riuscire a costruire l’infrastruttura di Internet mobile di prossima generazione, cioè il 5G. A tal proposito la Cina mira a diventare la prima potenza industriale e tecnologica entro il 2025 e intende perseguire questa finalità anche attraverso il controllo della tecnologia legata al 5G, la cui potenzialità è ovviamente anche connessa al controllo dei cavi sottomarini.

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