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Israele Iran

Quali saranno gli effetti della guerra Hamas-Israele sulle materie prime

La guerra fra Hamas e Israele sta raggiungendo una portata tale da spingere gli asset finanziari a reagire: gli asset rischiosi si sono indeboliti, mentre sono salite le materie prime. L'analisi di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm.

Il 28 ottobre si è chiusa la terza settimana di conflitto in Israele. Per quanto sia difficile distogliere il pensiero dalle migliaia di persone direttamente coinvolte e nonostante la valutazione di una situazione geopolitica così complessa imponga una grande dose di cautela, il nostro compito è quello di cercare di considerare i diversi scenari possibili e i potenziali effetti della crisi sulle materie prime e sui portafogli degli investitori.

LE MATERIE PRIME TORNANO A SALIRE

Negli ultimi anni i mercati sono spesso stati capaci di guardare oltre i rischi geopolitici, ma in questa occasione riteniamo che la crisi abbia raggiunto una portata tale da spingere gli asset finanziari a reagire. In sintesi, gli asset rischiosi come le azioni si sono indeboliti, mentre sono salite le materie prime come l’oro e il petrolio. Tuttavia, la crisi mediorientale non è l’unico fattore a guidare i mercati finanziari in questo momento: negli Stati Uniti, ad esempio, i rendimenti dei titoli di Stato sono aumentati e non hanno fornito il ritorno sicuro che molti si aspettavano, mentre gli investitori azionari continuano a concentrarsi sulle prospettive di crescita in un contesto di tassi di interesse in aumento.

TRE POSSIBILI SCENARI

A questo punto, vogliamo considerare tre possibili scenari: una crisi ristretta, con il conflitto limitato a Israele e Gaza; una crisi regionale più ampia, che potrebbe coinvolgere direttamente l’Iran e gli Stati Uniti; e infine una sorta di de-escalation del conflitto attuale.

Il terzo scenario porterebbe a una ripresa degli asset rischiosi e, molto probabilmente, a un calo di oro e petrolio, mentre i primi due sarebbero verosimilmente forieri di prudenza sui mercati: gli asset rischiosi rimarrebbero sotto pressione, mentre alcune materie prime energetiche e l’oro potrebbero trarne beneficio. Riteniamo che, al momento, i prezzi di alcuni asset, come il petrolio, già riflettano in parte questo primo scenario. Se invece si dovesse concretizzare la seconda ipotesi, quella del conflitto regionale, gli asset finanziari sarebbero impattati più duramente, con un ulteriore aumento dei prezzi delle materie prime e un peggioramento del sentiment degli investitori.

COSA SUCCEDERÀ AI TITOLI DI STATO?

Un tema interessante è il comportamento dei titoli di Stato: teoricamente gli asset sicuri dovrebbero trarre beneficio da uno scenario di cosiddetto “risk-off”, ma negli ultimi giorni i rendimenti obbligazionari sono generalmente aumentati. A nostro avviso, questa dinamica si può spiegare con alcune considerazioni: nei mercati sviluppati l’inflazione rimane piuttosto elevata e l’aumento dei prezzi del petrolio potrebbe esacerbare la situazione, complicando il compito delle Banche Centrali, il cui mandato si concentra sull’inflazione interna piuttosto che sulla reazione agli shock geopolitici. Inoltre, le curve dei rendimenti sono ancora invertite, per cui i titoli di Stato a breve pagano di più. Riteniamo che l’obbligazionario governativo performerà meglio degli asset rischiosi, ma per il momento restiamo ancora cauti sull’acquisto di titoli di Stato a più lunga scadenza.

Oggi potremmo trovarci a metà strada tra il primo e il secondo scenario: il conflitto sul campo continua e la prospettiva di una crisi regionale è ancora realistica.

DOBBIAMO ASPETTARCI UN’ESCALATION?

Ci auguriamo di assistere al più presto ad un’attenuazione del conflitto, ma dal punto di vista dei mercati finanziari, la domanda da porsi è dove potrebbero arrivare l’escalation e i disordini, con il rischio che la violenza determini effetti a catena anche sugli asset finanziari.

Continueremo a monitorare la situazione, ma riteniamo che il nostro posizionamento sia sufficientemente prudente nel contesto attuale. A livello di benchmark interni, siamo sottopesati sulle azioni, sovrappesati sui titoli di Stato (soprattutto a breve scadenza) e continuiamo a mantenere un’ampia esposizione alle materie prime.

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