Passano i giorni ma la delusione per la mancata ratifica della riforma del Trattato del Mes non si placa. Un fatto che la dice lunga sul valore del no del Parlamento, altrimenti non ne parlerebbe ancora dopo 30 giorni da quel voto. Un evento di portata storica, perché è la prima volta che l’Italia – dopo più di 30 anni di assenso incondizionato – solleva un’obiezione.
Oggi è stata la volta del direttore generale del Mes, Pierre Gramegna, intervistato da Federico Fubini sul Corriere della Sera.
Qualcosa a metà strada tra spot promozionale (un appello del tipo: aiutateci, siamo una grande banca, ma senza clienti!), autoassoluzione e tentativo di forzare la mano con qualche velata minaccia. Se qualche parlamentare avesse ancora dei dubbi sul voto del 21 dicembre, Gramegna li fa svanire in un colpo solo.
Per non togliere nulla all’autenticità delle parole di Gramegna, commentiamo i passaggi salienti, in un ideale botta e risposta con il lussemburghese che rischia di perdere il lavoro. Avrebbe dovuto farlo Fubini ma, se lo avesse fatto, non ci sarebbe stato bisogno di quest’articolo. Noi cogliamo fior da fiore.
“Più di dieci anni fa, durante la grande crisi finanziaria, non c’era uno strumento per aiutare i Paesi che avevano perso l’accesso ai mercati finanziari — risponde Gramegna in eccellente italiano —. Per questo abbiamo creato il Mes, che ha aiutato cinque Paesi con il suo sostegno finanziario. Il Mes è un atto di solidarietà nato dalla necessità, come spesso succede in Europa: un altro esempio è il programma Next Generation EU nato durante la pandemia. Il rischio che un Paese o più Paesi perdano l’accesso ai mercati finanziari o che questo sia troppo oneroso esisteva prima, esiste oggi e esisterà anche domani. Il Mes mi fa pensare a un’assicurazione antiincendio: se uno ce l’ha e la casa non gli va a fuoco è molto felice, però non disdice l’assicurazione; viceversa, quando la casa brucia, è contento di essersi assicurato. In quel senso l’espressione “obsoleto” non mi appare la più adatta».
E veniamo alla “modernizzazione” che avrebbe portato la riforma del Trattato.
Ricompare il paracadute, che però si apre quando lo Stato membro e il suo sistema bancario giacciono sfracellati al suolo. Perché cosa pensate che accada ad una grande banca le cui difficoltà richiedano prima il bail-in fino al 8% del passivo, con sacrificio di azionisti, obbligazionisti e depositanti oltre € 100.000 e poi l’esaurirsi dei circa 80 miliardi del fondo di risoluzione? Se questa è la modernità, no, grazie Dottor Gramegna, non compriamo nulla e cerchi di restare ben lontano dalla nostra casa, che di assicuratori di questo genere non ne abbiamo bisogno. Risparmiamo al lettoreil commento sul ruolo “preventivo” del Mes, con la sua analisi di sostenibilità del debito pubblico, che equivale a gridare “al fuoco” quando c’è un fiammifero acceso, e le condizioni di accesso alle linee di credito, rese più gravose.
«Prima di tutto, l’idea è di utilizzare appieno il nuovo trattato quando sarà ratificato. Ma nel dialogo sono emerse tante ipotesi. Ci sono Paesi che hanno ricordato di essere vicini geograficamente alla Russia e non lontani dalla guerra in Ucraina. Come può aiutare il Mes? Oggi non è previsto. Alcuni Paesi hanno certe idee e vorrei poterle discutere ulteriormente. Purtroppo diventa difficile, visto che la modernizzazione decisa nel 2021 non può ancora entrare in vigore».
Gramegna è ancora convinto che questa riforma sarà ratificata. Forse non ha capito la portata del voto italiano e non ha alcun rispetto per il nostro Parlamento. La modernizzazione di cui parla Gramegna è stata firmata nel 2021, ma le trattative partirono nel lontano 2017, per poi giungere ad una sostanziale definizione nel dicembre 2019. Poi il Covid fece slittare tutto di un altro anno. Si tratta di un’era geologica fa. Non è la prima volta che ci si accorda su un testo del Mes e poi si abbandona tutto per scriverne un altro. Accadde proprio all’inizio della sua storia, nel 2011. A luglio 2011 si raggiunse un accordo firmato dal ministro Tremonti dell’allora governo Berlusconi che non fu mai ratificato. I lavori ripresero e Mario Monti firmò un altro testo a febbraio 2012, poi ratificato dal Parlamento a luglio 2012. Se la realtà è cambiata, eccome se è cambiata, si scriva un nuovo testo adeguato alle esigenze attuali, non a quelle di un mondo che è già cambiato due volte sotto i nostri piedi.
“…Il ministro Giorgetti ha sottolineato all’Eurogruppo lunedì scorso che legalmente il governo italiano può ripresentare la ratifica al Parlamento, dopo sei mesi. Non ha detto che lo farà e per quello penso dobbiamo utilizzare anche i prossimi mesi per capire come l’Italia vuole muoversi, in modo che io stesso e i governi dei 19 Paesi possano trovare soluzioni. Il Mes è una struttura molto, molto forte, con 81 miliardi di capitale versato e una capacità di prestito fino a 500 miliardi. Sarebbe bene utilizzarlo al meglio».
Come non leggere in queste righe il grido disperato di una banca che è priva di clienti? Forse a Gramegna non è ancora chiaro che c’è stato un voto del Parlamento, e non c’è null’altro da capire. Il resto è arrampicarsi sugli specchi e avanzare (nemmeno troppo) velate minacce. Il miglior modo di utilizzare il Mes è quello di metterlo in liquidazione e restituire all’Italia 14 miliardi, con Gramegna costretto a cercarsi un altro lavoro. In subordine, se altri governi avessero altre idee, le mettano sul tavolo.
Poi sgonfia con uno spillo il pallone del “piano B” avanzata da La Repubblica. Che, ad evidenza, è esistito solo nella mente fantasiosa di chi ne ha parlato.
«Non riesco a immaginarmi un Mes dove l’Italia non sia presente. Anche perché il Mes protegge tutti, inclusa l’Italia. Una soluzione a 19 mi sembra poco sana e da un punto di vista politico, ma anche del diritto internazionale, quasi impossibile».
Voi immaginate a chi ha creduto per settimane (ne parlano dal giorno dopo al no alla ratifica) a questa sensazionale bufala, che Gramegna ha doverosamente e pietosamente sepolto.
E chiudiamo in bellezza con la mezza ammissione che nemmeno il prestito paracadute serve a qualcosa.
«Dipende del tipo di crisi: se una crisi tocca una sola banca, o se questa banca è così grande da produrre un effetto domino su altre banche dello stesso Paese o di altri Paesi. Oggi il Fondo di risoluzione ha 80 miliardi di euro. Se il paracadute venisse approvato, il Mes potrebbe intervenire a prestargli altri 68 miliardi. Poi il Fondo delle banche dovrebbe rimborsare il Mes, dunque il denaro dei contribuenti è protetto. Oggi la situazione è tranquilla, ma le crisi possono arrivare all’improvviso. Guardiamo cos’è successo al Credit Suisse e quanto è accaduto in America la primavera scorsa».
Già quel “dipende” in apertura, ci fa capire che il Mes è una coperta troppo corta. Perché in caso di crisi di una banca sistemica, quei miliardi sarebbero spazzati via come farebbe un’onda con la schiuma sulla battigia. E, forse non rendendosi conto del boomerang lanciato in questo modo, Gramegna ricorda proprio la crisi del Credit Suisse e delle banche Usa. Sapete quanto ha messo a disposizione la Banca Nazionale Svizzera in poche ore nello stesso giorno del marzo del 2023? 168 (dico centosessantotto) miliardi di franchi svizzeri.
Ci dispiace, dottore Gramegna, nessuno ha bisogno di un autocarro dei pompieri che trasporta combustibile, anziché schiumogeno antiincendio.