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Pensioni

Che cosa sta combinando il governo sulle pensioni

L’intervento di Stefano Biasioli

Il governo aveva detto che non avrebbe aumentato le tasse e – invece – nel 2019 la pressione fiscale crescerà di almeno 0,5 punti percentuali. Nell’80% dei comuni italiani aumenteranno l’IMU e la TASI, con un balzello complessivo 2019 pari a circa 1,8 miliardi in più rispetto agli attiuali 16,3 (dati di Confedilizia e Confcommercio). Con lo Stato che, sugli immobili, si prende altri 4 miliardi, più o meno.

Avevano detto che avrebbero colpito le “pensioni ricche” non coperte da adeguati contributi. Colpito, ma solo dopo un ricalcolo dei contributi versati. Invece:

a) hanno imposto ai “pensionati dorati e parassiti” (così li hanno definiti) un ulteriore contributo di solidarietà deciso “a capocchia” sia come livello di partenza (100.000 euro lordi/anno) che come percentuale di taglio, taglio assolutamente non lineare. Tagli pesanti, per altri 5 anni, che si sommano a quelli del triennio 2014-2016;

b) hanno imposto un taglio netto alla rivalutazione pensionistica non tornando alle percentuali previste dalla legge 388/2000 (90% per le pensioni da 3 a 5 volte il minimo INPS; 75% oltre quel valore) ma inventandosi nuove fasce e nuove percentuali di rivalutazione, ovviamente peggiorative rispetto alle regole del 2000 e della Legge Renzi-Poletti del settembre 2015.

Salvini e Di Maio hanno dichiarato che i “tagli sarebbero stati di pochi euro”, facendo finta di dimenticare che questi nuovi tagli triennali si aggiungono a quelli del periodo 2014-2018. Danno reale e persistente, che si aggiunge al fatto che tutti sanno che la rivalutazione ISTAT (1.1% per il 2019) arriva in ritardo e non rappresenta l’inflazione reale, quella che sentiamo nelle nostre tasche, ma quella decisa da “soggetti terzi, su un paniere cangiante di consumi” (Lenin, 2018).

“Tagli di pochi euro”, ha detto Salvini, mangiando pane e nutella. “Tagli di pochi euro, per aiutare i poveri”, ha detto Di Maio, con quel solito sorriso stampato.

Cazzola, Brambilla e NOI LEONIDA abbiamo dimostrato, conti alla mano, che non si tratta di pochi euro, ma di un taglio ingiustificato e permanente, perché irreversibile. A dimostrazione di quanto sopra, rinviamo alle tabelle presenti sul sito dell’APS-LEONIDA o su quello gemello di PENSIONATI ESASPERATI.IT.

I numeri dell’INPS 2016 dicono che “le pensioni assistenziali ” (ossia quelle non legate a contributi versati) sono il 19% delle pensioni totali. Per l’assistenza l’INPS (tutti NOI !), spende 22,7 miliardi di euro ovvero l’8,1% della spesa complessiva. Si tratta di 4.421.968 pensioni, con un valore medio di 396 euro lordi per 13 mesi o 429 euro lordi/mese per 12 mesi. Poiche’, in teoria, ogni pensionato italiano dispone di 1,429 pensioni, la cifra si alza a 613,04 euro/mese per 12 mesi o 565,88 euro /mese/13 mesi.

Per passare ai “famosi ” 780 euro di DIMAIO occorrerebbero (780-566) 214 euro/mese ovvero 2.782 euro/persona/anno. Per una spesa complessiva – per i 4.421.968 “soggetti assistiti”- di circa 12,3 miliardi di euro per singolo anno.

Ma i denari rapinati ai pensionati con pensioni superiori a 3 volte il minimo INPS (che vale circa 507 euro/mese) supereranno a fatica i 2 miliardi/anno.

Facili le conseguenze: non più di 719.000 persone potranno ottenere l’integrazione piena. Oppure, tutti i 4.421.968 “tizi” riceveranno una integrazione pari a 38 euro/mese, inferiore quindi al famoso bonus renziano.

NOI di APS LEONIDA CI RIUNIAMO A PADOVA, il 19 GENNAIO 2019, per INIZIARE LA RACCOLTA DEI DENARI PER LE NUOVE AZIONI LEGALI.

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